Enactment: differenze tra le versioni
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Jacobs vs Theodore Jacobs |
T. vs Th. |
||
Riga 2:
In [[psicanalisi]] con '''enactment''' si definisce la tendenza e l'insieme dei messaggi, consapevoli e inconsapevoli, che il paziente mette in atto per attivare nello [[psicanalista]] il fenomeno del [[controtransfert]], alludendo al complesso di agiti di natura non impulsiva del rapporto tra paziente ed analista.<ref>Filippini S., Ponsi M. (1993): ''Enactment'', Riv. Psicoanal., '''39''' (3): pp. 501-516.</ref><ref>Ponsi M. (2012): ''Evoluzione del pensiero psicoanalitico. Acting out, agire, enactment'', Riv. Psicoanal., '''58''' (3): pp. 653-670.</ref>
Il termine è stato introdotto nella letteratura psicoanalitica alla fine del secolo scorso da Theodore Jacobs (1986), suscitando ben presto un considerevole interesse.<ref>Jacobs
In [[psicoanalisi relazionale]] è consuetudine utilizzare la parola enactment per spiegare la ''riesperienza'' di un ruolo assunto nell’infanzia, che viene recitato sul palco dello studio dell’[[psicoanalista|analista]]: a quest’ultimo è data una parte che dovrà recitare; entrambe le parti in questa situazione perdono il loro senso di distanza, interagendo in modo verbale e non verbale, portando all’interno del [[setting]] delle dinamiche intrapsichiche sotto forma di interazioni. Secondo i teorici relazionali anche se gli enactment sono ''pattern'' inconsci di interazioni diadiche ai quali sia l’analista sia il paziente contribuiscono, essi vengono generalmente considerati come iniziati dal paziente. Nella prospettiva della psicoanalisi relazionale, l’aspetto centrale del cambiamento terapeutico è dato dal districarsi del paziente e dell’analista dai pattern inconsci ripetitivi grazie all’acquisizione della consapevolezza riflessiva dell’interscambio relazionale e del contributo di ciascuno.
|