Francesco Foscari: differenze tra le versioni

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Vita.
Fu il sessantacinquesimo [[doge (Venezia)|doge]] della [[Repubblica di Venezia]].
 
Uomo tutto dedito agli studi. Della sua vita possediamo poche notizie, desumibili soprattutto dalle sue stesse opere e da Plinio, che in una lettera a Traiano ne sottolinea la rettitudine e l'erudizione. Nato da una ricca famiglia dell'ordine equestre, S. rifiutò tuttavia la carriera di amministratore o di soldato riservata in genere a quelli del suo rango. Uomo dedito agli studi, intimo amico di Plinio il Giovane (il quale lo introdusse nelle simpatie di Traiano, facendogli anche conferire lo "ius trium liberiorum", una sorta di sussidio familiare che in casi eccezionali veniva concesso anche a scapoli benemeriti), nonché avviato alla carriera retorica e forense, lo storico consacrò tuttavia tutta la sua vita a ricerche erudite che, per certi aspetti, richiamano quelle di Varrone: ma la sua attività - come vedremo - si limitò quasi interamente al genere biografico.
Francesco Foscari nacque in [[Egitto]] dove suo padre era stato esiliato. A 18 anni giunse per la prima volta a Venezia. Al servizio della Repubblica fece una veloce e brillante carriera: all'età di 27 anni diventò senatore, a 31 anni membro del Consiglio dei Dieci e a 45 procuratore della Repubblica di San Marco. Fu ambasciatore di Venezia presso l'imperatore [[Sigismondo del Sacro Romano Impero|Sigismondo]] e presso il sultano [[Maometto I]] e operò come tutore di [[Gian Francesco Gonzaga]].
 
Alla corte di Adriano. Grazie all'amicizia del prefetto del pretorio Setticio Claro (anch'egli amico di Plinio, sopravvissuto a quest'ultimo, e che avrebbe continuato comunque a proteggere il nostro autore), intorno al 120 S. riuscì ancora a diventare segretario "ad epistulas" (incaricato cioè della corrispondenza) nei servizi dell'imperatore Adriano. A quest'alto incarico egli poté essere chiamato dopo aver dato buona prova delle sue qualità di funzionario amministrativo, prima come sovrintendente di tutte le biblioteche pubbliche di Roma, poi come "a studiis" (quasi un nostro ministro della cultura e dell'istruzione). Tutte queste mansioni, e in special modo l'ultima in ordine di tempo (quella di segretario), gli permisero di accedere liberamente agli archivi del Palatino, per cui le sue informazioni ci hanno permesso di ricostruire e di conservare documenti che, senza di lui, sarebbero andati completamente perduti. Nessun altro storico, infatti, poteva averne conoscenza.
Stando alle dichiarazioni dei contemporanei egli era un brillante oratore con un'eccellente memoria e con una grande capacità di persuasione.
 
L'allontanamento dalla corte e il ritiro negli studi. Dopo il rovescio politico del suo protettore, tuttavia, anche l'incarico di S. presso la corte non durò molto a lungo. Nel 122, Adriano lo allontanò con un pretesto, perché, a quanto pare, alcuni dignitari, e lui fra gli altri, avevano instaurato un'eccessiva familiarità nell'ambiente dell'imperatrice Sabina. S., così, trascorse gli ultimi anni della sua vita immerso negli studi ed attendendo alla pubblicazione delle sue vaste e numerose opere.
Fu eletto a quarantanove anni il [[15 aprile]] [[1423]] e grazie a lui la [[Repubblica di Venezia]] ebbe il dogato più lungo (più di 34 anni) e con la maggiore espansione territoriale della sua storia.
 
Opere.
La sua reggenza fu caratterizzata da guerre (prima coi [[Visconti]] e poi coi [[Impero ottomano|Turchi]]), da lotte interne tra le grandi famiglie e da calamità naturali come la [[siccità]] ([[1424]]), le molte [[marea|maree]], la gelata della [[Laguna di Venezia|laguna]] ([[1431]]) che paralizzò la città per mesi, il [[terremoto]] ([[1451]]) ed infine la [[peste]] che gli uccise quattro degli undici figli.
 
Opere minori. A noi S. è noto soprattutto come autore del "De viris illustribus" e del "De vita Caesarum", ma abbiamo notizie di molti altri scritti, alcuni riportati nella "Suda" (il lessico greco-bizantino composto intorno al 1000), altri conosciuti per altra via. Tutte queste opere "minori", scritte in greco o in latino, sono andate perdute, ma è utile ricordarne almeno i titoli e gli argomenti, a testimonianza degl'interessi svariati e della vasta erudizione svetoniana: "Historia ludicra", sui giochi romani; "De anno romanorum", sul calendario; "De genere vestium", sull'abbigliamento; "De notis", sulle abbreviazioni e sui segni diacritici usati dagli editori; "De republica Ciceronis", sul pensiero politico appunto dell'Arpinate; "De regibus", sui re stranieri; "De institutione officiorum", sui pubblici incarichi; "De rebus variis"; "De vitiis corporalibus", sui difetti fisici; "De rerum natura"; "De animalium naturis" e infine le due opere enciclopediche: "Roma" sulla vita pubblica e privata dei Romani e "Prata", sul mondo umano e su quello fisico. Si può supporre che alcune di queste opere fossero confluite o facessero parte delle due enciclopedie.
Nel [[1430]] [[Andrea Contarini]], provocato dai Loredan, attentò alla vita del doge, pugnalandolo.
Nel [[1450]] Jacopo, l'unico figlio ancora in vita, fu accusato dell'assassinio di Almorò Donà; nonostante la totale assenza di prove Jacopo fu esiliato ma tentò di ritornare in patria. Il [[Consiglio dei Dieci]] scoprì il complotto, processò Jacopo e lo condannò ad un anno di carcere. Il Doge non intercesse per il figlio e questi morì nel [[1457]].
 
De viris illustribus. Nell'opera sugli "uomini illustri" (o almeno così ritenuti dagli studiosi alessandrini) della latinità (pubblicata dopo il 113 d.C.), S. non limitava la propria indagine alla cerchia dei politici e dei militari. Un libro era dedicato agli oratori, un altro ai poeti, altri ancora ai grammatici, ai rètori, ai filosofi, eccetera. Di questo panorama così vasto, a noi restano unicamente le notizie riguardanti grammatici e rètori, particolarmente preziose per la conoscenza dell'insegnamento a Roma e della sua storia. Degli altri "capitoli", disponiamo solo di notizie staccate o frammentarie. Quelle sugli scrittori (particolarmente importanti quelle su Terenzio, Virgilio, Orazio, Lucano) furono tra l'altro utilizzate da san Gerolamo per la sua "Cronaca", ed è quindi possibile, in una certa misura, ricostruirle.
Da questa vicenda venne tratta l'opera di [[Giuseppe Verdi]] ''[[I due Foscari]]''. Il Doge non riscuoteva più la simpatia di alcune famiglie, in quanto le lunghe guerre avevano impoverito le casse dello stato. Con la debole accusa di non presenziare alle sedute, nel [[1457]] tre nobili del Consiglio dei Dieci si recarono a casa sua e gli tolsero il corno ducale e spezzarono l'anello ordinandogli di abdicare, pena la confisca di tutti i beni. Il vecchio doge, ormai esausto ed umiliato si ritirò nella sua casa dove spirò sette giorni più tardi. A causa dell'agitazione delle famiglie rimaste fedeli al doge il Consiglio impose alla moglie, contraria all'ipocrisia, i funerali di stato.
 
In queste biografie erudite, S. si preoccupa fondamentalmente di raccogliere una documentazione, molto meno di controllarne e criticarne la validità: non si lascia mai andare a considerazioni o valutazioni personali, ma si limita a riferire i dati raccolti dalle fonti ed esporli, accostandoli gli uni agli altri. E’ un testimone (uno dei primi) della tradizione scolastica (noi diremmo universitaria) che si forma e si svilupperà, con variazioni diverse, durante tutta la parte finale dell'antichità e nel Medio Evo, ad es. nei commentari di Donato (su Virgilio e su Terenzio) alla fine del IV secolo, e in quelli di Servio (che visse intorno al 400 d.C.) su Virgilio.
{{Successioni|titolo=Dogi veneziani|periodo=[[1423]]-[[1457]]
|precedente=Tommaso Mocenigo|successivo=Pasquale Malipiero}}
 
Per ogni biografia, S. si attiene ad uno schema invariato, desunto dai biografi ellenistici: inizia col nome dell'autore trattato, poi fa seguire la discendenza, le notizie sulla condizione sociale, sugli studi e sulla formazione letteraria, quindi passa a fornire notizie sulle qualità morali ed intellettuali, sui fatti più salienti della vita, sulle opere, e infine conclude coi dati relativi alla morte ed alle statue dedicate all'autore.
{{Venezia e Laguna}}
 
Il biografo si sofferma su aneddoti e particolari curiosi, facendo luce anche sui fatti intimi e privati dell'autore trattato. Fedele poi alla sua formazione "burocratica", S. assai spesso insiste su episodi nei quali il personaggio era stato in rapporto coi potenti, come ad es. nel caso di Orazio con Augusto.
[[de:Francesco Foscari]]
 
[[en:Francesco Foscari]]
De vita Caesarum [vers.lat] [trad.it]. Qualunque possa essere l'importanza delle biografie composte da S. sugli scrittori, nella formazione della storia letteraria come genere, quella delle "Vite dei Cesari" (pubblicate dopo il 121 d.C.) è, ovviamente, di gran lunga più considerevole, giacché, per le parti ormai perdute degli "Annali" e delle "Storie" di Tacito, esse rappresentano una preziosa fonte sostitutiva: non dimentichiamo, a tal proposito, ch'esse ci sono giunte praticamente in versione integrale. Tuttavia, le biografie degli imperatori (12, da Cesare a Domiziano) non sono opere storiche nel senso comune del termine: della cronologia e della concatenazione degli avvenimenti, infatti, nonché delle loro cause e dei loro effetti, esse tengono conto in modo molto approssimativo. Ogni fatto è, invece, anche qui classificato (pressappoco) secondo una categoria ben definita: infanzia, origine, carattere, ritratto fisico, ritratto intellettuale, attività militari, giochi offerti al popolo, eccetera. Anche in questo caso, poi, la componente critica personale o valutativa del biografo è pressoché inesistente (del resto, egli era più che altro un uomo di scuola, pressoché a digiuno di politica nel senso alto del termine).
[[fr:Francesco Foscari]]
 
[[nl:Francesco Foscari]]
Altro vantaggio, per noi, delle "Vite dei Cesari" è il fatto che S. attinge notizie da opere ormai perdute degli storici dell'impero. Ciò permette di ritrovare una prospettiva più giusta sugli avvenimenti e sugli uomini che sono stati oggetto a volte di appassionata ammirazione e altre volte di odio feroce.
[[pl:Francesco Foscari]]
 
[[ru:Фоскари, Франческо]]
Considerazioni.
 
I modelli e le fonti per una nuova forma di storiografia. Il modello, per entrambe le opere, è quello delle biografie "alessandrine", per non parlare delle influenze formali più direttamente romane: gli "elogia" e le "laudationes funebres". Non solo.
 
Riguardo la seconda, si aggiunge la consapevolezza in S. che quella del genere biografico è la forma storiografica più idonea a dar conto della nuova forma che il potere ha assunto (quella individualistica, personale, del principato) e che la biografia dei singoli imperatori è la più adatta a fungere da criterio di periodizzazione della storia dell’Impero. Dunque, il nostro autore <<inaugura una maniera nuova [di fare storiografia], applicando il metodo della biografia letteraria alla biografia politica>> [Funaioli].
 
Riguardo le fonti, invece, esse furono sicuramente molteplici, ma è quasi impossibile determinarne genesi e modalità: sembra che s. abbia trascurato Tacito, probabilmente perché non ne condivideva le idee; ha sicuramente fatto poi un accurato spoglio degli archivi imperiali per le biografie sui Cesari; ma non ha disdegnato infine neanche l'apporto di fonti, come dire, "orali" (dicerie, ricordi personali o di seconda mano…) nella raccolta dei gustosi e talora piccanti aneddoti che costellano le sue opere.
 
I caratteri. Così, nella tendenza - tanto deplorata come deteriore gusto del pettegolezzo - ad insistere sulla vita privata degl’imperatori descrivendone eccessi ed intemperanze, sui particolari futili e scandalistici, si inclina oggi a vedere (anche) la manifestazione di una volontà obiettiva e demistificante, dell’intento di fornire un ritratto integrale e quanto possibile verosimile ed "umano" del personaggio trattato.
 
Ne risulta un tipo di storiografia ch'è stata detta "minore" (rispetto soprattutto a quella "aristocratica" di Tacito), che delinea anche, in qualche modo, i tratti del suo destinatario, che è lo stesso ordine dei funzionari e degli "equites" cui lo storico apparteneva, il punto di vista attraverso cui le singole vicende sono osservate e valutate.
 
Lo stile. Riguardo allo stile, infine, è da dire che S. scrive senza prolissità e senza ricercatezze arcaicizzanti o preziosismi moderni, con una lingua fondamentalmente chiara e semplice, e con un fraseggio gustosamente rapido e vivace: uno stile, insomma, ch'è <<un abile compromesso fra il classicismo (più o meno ciceronianeggiante) e il manierismo della moda del tempo>> [F. Cupaiuolo].