Cena in Emmaus (Caravaggio Milano): differenze tra le versioni
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Raffigura l'episodio del [[Vangelo di Luca]] (Lc 24,13-35).
Fu realizzato da Caravaggio a [[Palestrina]] o a [[Zagarolo]], feudi dei suoi protettori Colonna, subito dopo essere scappato da Roma per l'assassinio di Ranuccio Tommasoni. Come racconta il suo biografo, Bellori, fu commissionata dal marchese Patrizi; si trattava quindi di un'opera destinata alla devozione privata.<ref>Giovan Pietro Bellori, Le vite de' Pittori, Scultori et Architetti moderni, 1672.</ref>
== Descrizione e stile ==
Il rimando immediato è alla [[Cena in Emmaus (Caravaggio Londra)|tela col medesimo soggetto]] del [[1601]] e conservata a [[Londra]]; ma mentre nella prima c'era più luce e la composizione era più complessa, qui la scena è estremamente semplice e scura, con pochi oggetti sul tavolo che creano profonde ombre.
Rispetto alla tela giovanile, il momento qui raffigurato è successivo, in quanto il pane appare sulla tavola già chiaramente spezzato. Caravaggio vuole evidentemente rappresentare il momento del congedo. Al posto dell'accurata natura morta che compariva sulla tavola dell'opera londinese, che comprendeva una splendida canestra di frutta molto simile alla celebre [[Canestra di frutta|canestra]] conservata all'[[Pinacoteca Ambrosiana|ambrosiana]], qui compaiono solo pochi elementi poveri e dimessi: il pane, la brocca dell'acqua, due semplici piatti. La gamma cromatica è notevolmente ridotta, tendente al monocromo, con poche tinte terrose dalle quali si stacca soltanto l'azzurro della tunica di Cristo. Lo stile abbandona decisamente la grande accuratezza che aveva caratterizzato le opere giovanili, dove venivano enfatizzati i dettagli in grado di conferire verità e concretezza alla scena. Qui la resa più sommaria contribuisce a focalizzare l'attenzione sul forte contenuto emotivo del soggetto, che colpisce fortemente lo spettatore non più distratto dalla minuzia dei particolari. Permangono comunque brani di notevole naturalismo che mostrano l'eccezionale perizia dell'autore, quali il contrasto fra le due mani appoggiate alla tavola, giovane e delicata quella del Cristo, segnata dal sole e dalla fatica quella del pellegrino.<ref>Mina Gregori,, ''Caravaggio'', p. 123, op.cit.</ref>
Il Cristo di Brera non ha più nulla a che vedere con quello androgino di Londra: qui è un uomo stanco, col viso profondamente segnato dal dolore e dalle fatiche. Grande attenzione è posta anche nella descrizione dell'aspetto umile e dimesso dei pellegrini, dell'oste e della serva, indugiando sui volti e sui colli rugosi come già nella celebre e di poco precedente [[Madonna dei Pellegrini]].
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