Battaglia di Calatafimi: differenze tra le versioni
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L'organizzazione interna e le tattiche di impiego delle compagnie Cacciatori avrebbero dovuto seguire il modello dell'esercito piemontese, come in qualche modo ambiguamente indicato dallo stesso Garibaldi nell'ordine del giorno del 7 maggio: «L'organizzazione è la stessa dell'Esercito Italiano, a cui apparteniamo»<ref>Giuseppe La Masa, ''Alcuni fatti e documenti della rivoluzione siciliana del 1860'', p. XIV, e L.E.T. ''L'insurrezione siciliana'', p. 460</ref>. Tuttavia la modesta qualità dei fucili, la penuria di munizioni e l'approssimativo addestramento di larga parte dei Cacciatori (bilanciato però dal loro grande entusiasmo e spirito combattivo) fecero sì che le procedure di impiego prescritte dallo stesso Garibaldi fossero invece decisamente orientate sull'assalto alla baionetta, come indicato nell'ordine del giorno n. 5 del 10 maggio: «Bisogna esser ben parchi di tiri e ricorrere, se si debba pugnare, allo spediente più spiccio della baionetta»<ref>Crispi, ''I Mille'', p. 396. La direttiva venne riconfermata anche nel successivo ordine del giorno n. 6 del 12 maggio «Si devono fare pochissimi tiri in caso di incontro, e caricare il nemico alla baionetta ove occorra». Queste direttive furono ben recepite dai volontari, vedi. G. Bandi, ''I Mille da Genova a Capua'', p. 160 «… il fucile non dev'essere che il manico della baionetta»</ref>. Un vantaggio importante era nella qualità di larga parte degli ufficiali, che a partire dallo stesso Garibaldi avevamo quasi tutti esperienza di combattimento al comando di volontari contro truppe regolari.
[[File:Statue dei fratelli Triolo nel Castello dei Conti di Modica (Alcamo) 02.jpg|thumb|200px|[[Stefano Triolo di Sant'Anna|Stefano Triolo]], barone di Sant'Anna. Opera del 1960 dello scultore Giuseppe Bambina, conservata all'interno del [[Castello dei Conti di Modica (Alcamo)|castello dei Conti di Modica]] ad [[Alcamo]].]]
Esisteva tuttavia un rovescio della medaglia, ossia la difficoltà di controllare gli indisciplinati volontari in combattimento e la presenza di forti contrasti di personalità tra alcuni comandanti<ref>G. Bandi, ''I Mille da Genova a Caprera'', p. 99 «… que' nostri caporioni non stettero in pace tra di loro 24 minuti, e cominciarono di buon ora a guardarsi come il cane ed il gatto»</ref>, esacerbata dai modi bruschi del Capo di stato maggiore Sirtori<ref>«… ombroso come un cavallo» – vedi G. Bandi, ''I Mille da Genova a Caprera'', p. 99</ref> e il temperamento iroso e violento di Bixio<ref>«Qui comando io! Qui io sono tutto, lo Czar, il Sultano,il Papa, sono Nino Bixio. Dovete obbedirmi tutti; guai chi osasse un'alzata di spalla, guai chi pensasse di ammutinarsi! Uscirei con il mio uniforme, colla mia sciabola, con le mie decorazioni, e vi ucciderei tutti» – vedi George M. Trevelyan, ''Garibaldi e i Mille'', p. 287</ref>, che solo l'innegabile carisma personale di Garibaldi riusciva a mantenere sotto controllo. I volontari siciliani erano un misto di guardie armate al servizio dei maggiorenti locali che avevano aderito alla rivolta antiborbonica (tra cui Stefano Triolo barone di Sant'Anna, Michele Martino Fardella barone di Mokarta, Salvatore Li Destri barone di Rainò<ref>Gigi di Fiore, ''Controstoria dell'Unità d'Italia'', Rizzoli, p. 120-122</ref><ref>«Tutta questa gente è condotta da gentiluomini, ai quali ubbidisce devota», Giulio Cesare Abba, ''Da Quarto al Volturno'', [[s:Da Quarto al Volturno/Da Marsala a Calatafimi]], vedi nota del 13 maggio</ref>) e di semplici contadini guidati dai capipolo locali, ma in ambedue i casi erano praticamente privi di una qualsiasi esperienza e inquadramento di tipo militare e solo sommariamente armati con vecchie armi da fuoco<ref>«"… fucili all'acciarino e tromboni» – vedi George M. Trevelyan, ''Garibaldi e i Mille'', p. 319</ref> quando non armati di soli bastoni o utensili agricoli.
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