Processo traduttivo: differenze tra le versioni

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Per '''processo traduttivo''' si intende qualsiasi processo anche non verbale che conduca da un testo primo ([[prototesto]]), a una sua attualizzazione nel medesimo codice o in codice diverso ([[metatesto]]). Nella catena comunicativa rappresenta la fase di decodifica e ricodifica di un messaggio da una [[lingua (linguistica)|lingua]] a un’altraun'altra (o comunque da un [[linguaggio]] a un altro), passando necessariamente per un [[linguaggio d’intermediazione]]. Conseguenze del processo traduttivo sono la ricodifica del messaggio nel metatesto e la sua ricezione.
 
==Le implicazioni del linguaggio interno==
 
Negli anni Trentatrenta [[Lev Semënovič Vygotskij|Vygotskij]] ha spiegato che il [[linguaggio interno]] che usiamo per pensare e per formulare il testo verbale è in realtà un codice ''non verbale''. Questo semplice fatto dà molto da pensare per quanto riguarda il processo traduttivo, poiché risulta assai probabile che i tre tipi di traduzione concepiti da [[Roman Jakobson|Jakobson]] ([[intralinguistica]], [[interlinguistica]], [[intersemiotica]]; 1959) siano in realtà da intendersi come diverse facce di uno stesso processo solo apparentemente interlinguistico. Nella traduzione effettiva, vi sono processi intersemiotici sia durante la deverbalizzazione del prototesto, quando viene percepito (la “volatilizzazione nel pensiero” di Vygotskij) e tradotto in concetti mentali da parte del traduttore, sia durante la riverbalizzazione nel metatesto, dove questi concetti trovano un’attualizzazione.
 
Benché lo studio di [[Charles Sanders Peirce|Peirce]] non sia molto in auge presso la [[scuola di Tartu-Mosca]], e sebbene la semiotica locale tenda a basarsi più su [[Charles William Morris|Morris]] e sulle derivazioni [[Juri Lotman|lotmaniane]] ([[Semiotica|semiotica della cultura]]), se si prende in considerazione il concetto di “[[interpretante]]” – quell’idea che serve da tramite fra il segno percepito e l’oggetto a cui rimanda la semiosi, il processo di significazione – ci si accorge che è fatto di quello stesso materiale non verbale del linguaggio interno. In base a questa ipotesi, alla triade segno-interpretante-oggetto possiamo affiancare la triade prototesto-traducente-metatesto, dove con “traducente” si rende il peirceiano ''translatant''; traducente inteso quindi non come “parola del metatesto con la quale si traduce una parola del prototesto”, bensì come idea che si forma nella mente del traduttore e che funziona da tramite tra l’originale e il testo tradotto.
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==Traduzione totale e non assoluta==
 
Sebbene ormai nessuno più sostenga la traducibilità assoluta, ovvero la possibilità che da un dato prototesto e attraverso un processo traduttivo scaturisca un metatesto che è un’equivalenza del primo, completamente privo di [[Residuo comunicativo|residui]] o [[sensi aggiunti]], ben poche teorie tengono conto dell’intraducibilità relativa e ne prevedono strategie di confronto. Secondo la visione della traduzione totale, a cui [[John Rupert Firth|Firth]] nel saggio “Linguistic analysis and translation” (1956) attribuiva il senso di: "descrizione esaustiva di una certa lingua [...] Questa traduzione totale da un punto di vista teorico non può assolutamente essere una traduzione completa", non si decide di prediligere una versione piuttosto che un’altraun'altra, ma si cerca di capire quanto della cultura emittente è stato tradotto e quanto invece è rimasto in termini di residuo ([[Peeter Torop|Torop]] 1995). L’eco dell’insegnamento di [[Willard Van Orman Quine|Quine]] è ben riconoscibile: dall’indefinitezza della traduzione, si giunge all’indefinitezza della traducibilità. Allargare lo spettro d’osservazione dal solo testo verbale frutto del processo traduttivo a tutte le tracce che di un testo di una cultura altrui sono presenti nella cultura ricevente permette di considerare non solo la resa verbale testuale di una traduzione, ma anche tutti gli indizi sul testo disseminati in una data cultura ricevente.
 
È molto difficile che di un testo ci si faccia un’idea diretta, e non anche di una serie di quelli che Torop, con [[Anton Popovič|Popovič]], chiama “[[metatesto|metatesti]]”. Questa mancata coincidenza tra resa testuale e resa extratestuale non riguarda solo le strategie traduttive che si improntano alla traduzione totale: è una costante universale. In qualsiasi traduzione l’autore decide di esplicitare questo o quell’elemento del prototesto, che lo faccia in modo consapevole oppure no, mentre in certi casi è semplicemente costretto a farlo da ragioni puramente linguistiche. Queste scelte, che comportano una buona componente di soggettività, sono fonte di scontri durante la successiva fase di revisione, quando le scelte fatte dal traduttore vengono messe in dubbio dal revisore. Inutile dire che le versioni che ne scaturiranno saranno tante quanti sono gli interpreti del testo, ognuno dei quali si concentrerà su una certa [[dominante (traduzione)|dominante]], ossia deciderà di scegliere una propria strategia traduttiva dettata dai propri criteri di traducibilità e necessariamente sarà costretto a sacrificare una certa caratteristica del prototesto per riuscire a rendere le altre. L’esistenza stessa della struttura del testo presuppone che al suo interno vi sia una gerarchia di piani. Generalmente, già durante la concezione del testo nella mente dell’autore vi è un elemento dominante con intorno una costellazione di elementi importanti ma secondari (sottodominanti). A questa concezione di processo traduttivo appartengono una varietà di altri fenomeni contraddistinti dalla presenza di un prototesto e di un metatesto, di un processo di trasformazione o dalla presenza di una componente variante e di una invariante.