Economia dell'Impero romano: differenze tra le versioni
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===Economia e società: fiscalità oppressiva, professioni coatte e disuguaglianza giuridica===
Il costo crescente dell'esercito nel Tardo Impero (erano necessari continui aumenti di stipendio ed elargizioni per tenerlo quieto)<ref>Il bilancio militare all'inizio del III secolo era salito a 3 miliardi di sesterzi, pari al 75% della spesa pubblica, che a sua volta contava per il 20% del Pil. ({{Cita|Ruffolo|p. 85}}).</ref> e le spese della corte e della burocrazia (aumentata anch'essa in quanto al governo servivano sempre più controllori che combattessero l'evasione fiscale ed applicassero le leggi nella vastità dell'Impero), non potendo più ricorrere troppo alla svalutazione monetaria che aveva causato tassi d'inflazione incredibili, si riversarono, soprattutto tra il III ed il IV secolo (quando le dimensioni dell'esercito furono vicine ai 500.000 uomini in armi, se non di più), sulle imposte con un intollerabile peso fiscale<ref>Ai tempi di Augusto la spesa pubblica (pari a circa il 5% del Pil era finanziata per un terzo dalle imposte dirette (fondiaria e personale) e per il resto da imposte indirette, dazi commerciali e redditi dei patrimoni imperiali: dunque la pressione fiscale si riduceva al 4% del Pil.
Ai tempi di Diocleziano e [[Costantino]], invece, la pressione fiscale quadruplicò, fino ad arrivare a circa la metà del Pil intorno alla metà del IV secolo. Un indice quantitativo indiretto del fenomeno è costituito dal progressivo aumento dei ''reliquia'', ovvero gli arretrati delle tasse, che documentano una impossibilità di pagare o incapacità di incassare le tasse ({{cita|Ruffolo|p. 109}}).</ref> (riforma fiscale di [[Diocleziano]] attraverso l'introduzione della [[iugatio-capitatio|''iugatio''-''capitatio'']] nelle campagne e altre imposizioni fiscali per i centri urbani). Dato che i nullatenenti non avevano niente ed i ricchi contavano su appoggi e corruzione<ref>La corruzione nel Tardo Impero, a differenza che nell'Alto Impero, non era più semplicemente tollerata o dissimulata, ma ostentata ed acclamata. I poteri di fatto erano gestiti da una vera e propria categoria sociale (a Roma li chiamavano ''maiores'' o ''priores''), che comprava e vendeva tutto. C'era un vero mercato dei favori e dei delitti. Un verdetto di esilio costava 300 000 sesterzi, uno strangolamento in carcere 700 000. La rete dei poteri di fatto riusciva spesso a neutralizzare l'intervento correttivo dei funzionari e dello stesso imperatore. Agenti principali della corruzione erano gli esattori: quelli pubblici (''publicani'') e quelli semiprivati: «Richiedevano barche, cibo, cavalli; molestavano le spose». Arruolavano abusivamente contadini inermi, d'autorità, o intascavano dai latifondisti il prezzo del mancato arruolamento (R. MacMullen, ''La corruzione e il declino di Roma'', Il Mulino, 1991).</ref> chi ne pagò il costo furono il ceto medio (piccoli proprietari terrieri, artigiani, trasportatori, mercanti) e gli amministratori locali ([[decurione|decurioni]]), tenuti a rispondere in proprio della quota di tasse fissata dallo Stato (''indizione''<ref> L'indizione era una specie di finanziaria annuale, sulla base della quale erano calcolate le spese che l'Impero avrebbe dovuto sostenere l'anno seguente e quindi le entrate delle quali aveva bisogno.</ref>) a carico della comunità per evitare l'evasione fiscale. L'[[evergetismo]], che era un munifico e magnifico vanto, diventò sempre più una obbligazione imposta dal governo centrale. Le cariche pubbliche, che in precedenza erano ambite, significavano nel Tardo Impero gravami e rovina. Per arrestare la fuga dal decurionato, dalle professioni e dalle campagne, che divenne generale proprio con l'inasprimento della pressione fiscale tra il III ed il IV secolo d.C., lo Stato vincolò ciascun lavoratore e i suoi discendenti al lavoro svolto fino ad allora<ref>Stazionaria era l'economia, stazionaria divenne anche la società.</ref>, vietando l'abbandono del posto occupato (fenomeno delle "professioni coatte", che nelle campagne finirà per dare avvio, attraverso il ''[[colonato]]'', a quella che nel [[Medioevo]] verrà chiamata "[[servitù della gleba]]"). L'avanzamento sociale (possibile solo con la carriera militare, burocratica o ecclesiale) non derivava dalla competizione sui mercati, bensì dai favori provenienti dall'alto. È comprensibile, a questo punto, che molti considerassero l'arrivo dei barbari non tanto una minaccia, quanto una liberazione. Ormai si era scavato un solco profondo tra uno Stato sempre più invadente e prepotente (soprusi dell'esercito e della burocrazia) e la società. Lo Stato che nel V secolo crollò sotto l'urto dei barbari era uno Stato ormai privo di consenso<ref>{{cita|Ruffolo|p. 113.}}</ref>. Quando le popolazioni germaniche occuparono i territori dell'Impero d'Occidente, si trovarono di fronte una società profondamente divisa tra una minoranza di privilegiati e una massa di povera gente. La distanza sociale prima esistente tra lavoratori liberi e schiavi si era, infatti, ridotta notevolmente con l'istituzione del ''[[colonato]]'': entrambi erano dipendenti nella stessa misura dal ricco proprietario del fondo agricolo. Anche questo fenomeno, quindi, contribuì alla biforcazione della società nelle due principali categorie sociali del Tardo Impero, profondamente differenti non solo per il censo (poveri e ricchi), ma anche per le condizioni giuridiche (con il fenomeno delle professioni coatte, infatti, la distanza economica tra classi ricche e classi povere divenne anche una distinzione di diritto, fissata dalla legge): gli "inferiori" (''humiliores''), cui appartenevano la massa dei ''coloni'' e dei proletari urbani, e i "rispettabili" (''honestiores''), cui appartenevano i grandi proprietari terrieri ed i vertici della burocrazia militare e civile. Solo agli ''humiliores'' erano riservate le punizioni più dure ed infamanti, come la fustigazione e la pena di morte.
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