La passeggiata (film): differenze tra le versioni
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|tipoaudio = sonoro
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|regista = [[Renato Rascel]]
|soggetto = dal racconto Prospettiva Nevskj di [[Nikolaj Vasil'evič Gogol'|Gogol]]
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'''''La passeggiata''''' è un film del [[1953]], diretto ed interpretato da [[Renato Rascel]]. Tratto molto liberamente<ref>Secondo tutti i commentatori il film si è discostato in modo sostanziale dal racconto. Ad esempio Lorenzo Quaglietti (''Eco del cinema'' del 31 gennaio 1954) scrive che «la ''Prospettiva Nevskij'' al quale si fa riferimento nei titoli di testa non ha nulla o quasi nulla da spartire con il film».</ref> dal racconto ''[[La Prospettiva Nevskij]]'' di [[Nikolaj Vasil'evič Gogol'|Gogol]], esso costituisce l'unica prova registica dell'artista [[
==Trama==
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Quando lei gli si presenta per quello che è, una prostituta, lui fugge sconvolto e disperato. Poi, però, non riuscendo a dimenticarla, torna da lei e cerca di introdurla nel suo ambiente invitandola ad una festa del collegio, attirandosi sia il dileggio dei colleghi, molti dei quali la conoscono per la sua attività, che lo scherno delle amiche - colleghe della giovane. Ma lui spera di poterla redimere e dopo qualche tempo le chiede di sposarlo. Per tutta risposta lei lo deride, la apostrofa con sarcasmo e lo caccia di casa. Barbato decide quindi di abbandonare Roma per tornare da sconfitto al paese natio.
Non saprà che il suo tentativo di far cambiare Lisa non sarà stato vano. La giovane, anche se lo ha deriso ed insultato, intimamente è rimasta scossa dall'esperienza avuta con il timido insegnante e deciderà di cambiare vita, lasciando anche lei la città.
==Realizzazione del film==
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Fu la ''Film Costellazione'', casa produttrice di ispirazione cattolica<ref>Così il ''Mereghetti'', cit. nella bibliografia.</ref>, a quel tempo diretta da [[Mario Melloni]] (che poi diventò Fortebraccio), ad accettare la proposta di Rascel. In quello stesso anno essa era impegnata con un altro regista esordiente ([[Antonio Pietrangeli]] con ''[[Il sole negli occhi]]'') dopo aver centrato l'anno precedente un buon successo con il ''[[Processo alla città]]'' di [[Luigi Zampa|Zampa]], film accolto da pressoché unanimi commenti positivi. Le riprese iniziarono nella prima metà dell'agosto 1953 e durarono poco più di due mesi, concludendosi ai primi di ottobre dello stesso anno<ref>Notizie sui tempi di lavorazione tratte dal quindicinale ''Cinema'', numeri dal 115 del 15 agosto al 118 del 30 settembre 1953.</ref>. Il film uscì nelle sale tra il dicembre 1953 ed il marzo 1954.
[[File:Passeggiata 1953 rascel foto sc.jpg|thumb|left|210px|Rascel, timido professore, in una scena con la spigliata Valentina Cortese]]
Vi furono difficoltà con la rigida [[censura cinematografica|censura]] del tempo che impose una modifica del finale rispetto al racconto gogoliano, nel quale il protagonista, di fronte al fallimento del suo proposito di redenzione della donna, si suicida. Non era infatti consentito evocare o rappresentare nel cinema il suicidio<ref>Circostanza ricostruita sia da Argentieri, pag 102, che da Giacci - Vitalone, pag 127, opere citate nella bibliografia.</ref> ed il finale originariamente previsto in sceneggiatura fu quindi vietato. Altre differenze tra racconto e film (diversità di personaggi, accenni alla tossicodipendenza, comportamenti volgari di Lisa) erano invece già state previste prudentemente nella sceneggiatura<ref name= cinema>
==Accoglienza==
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La critica del tempo, pur riconoscendo alcuni meriti di Rascel regista, mise soprattutto in evidenza i limiti del film. Così su ''La Stampa''<ref>Recensione di Mario Gromo pubblicata sul quotidiano torinese il 17 dicembre 1953.</ref>: «Per le sue [di Rascel n.d.r.] intenzioni bisogna lodarlo, occorreva però uno sgranarsi più ricco, significativo ed appassionante perché il disegno del personaggio apparisse computo e l'attore potesse cimentarsi fino in fondo. Invece il film è lineare, qua e là statico e la regia è un po' inerte. Si tratta di un tentativo apprezzabile, al quale è da augurarsi un seguito più concreto». Meno indulgente furono i giudizi di due riviste del settore. ''Cinema'' scrisse che «il successo de ''Il cappotto'' ha fatto credere a Rascel di essere entrato in dimestichezza con i classici della letteratura (...) La scelta di un tema del genere per un primo esperimento registico è stata quanto meno imprudente. Rascel si è dimostrato un regista alquanto ingenuo e imbarazzato, arruffone. I molti, troppi, scenaristi lo hanno servito assai malamente. Si è illuso di seguire le orme di [[Charlie Chaplin|Chaplin]], illusione pericolosa e presuntuosa<ref name =cinema />». ''Cinema nuovo'' presentò il film come un «racconto melodrammatico - sentimentale ed il tono sdolcinato che ne acquista, purtroppo, lo rende piuttosto ridicolo, anche se non si tratta di un film comico<ref>Recensione pubblicata sul n. 32 del 1 aprile 1954 del quindicinale.</ref>».
Di «romanticismo abusato e di maniera» scrisse il ''Corriere della sera''<ref name=corsera/>, aggiungendo che «egli [Rascel n.d.r.] non ha rinunciato» alle sue tipiche esibizioni da comico di rivista, alla sua maschera da mimo. Chi apprezza questa maschera potrà apprezzare questo film, per logora che sia la materia del racconto». Ed anche su ''L'eco del cinema''<ref>Articolo di Lorenzo Quaglietti, apparso sul n. 45 del 31 gennaio 1954 del quindicinale.</ref>, pur riconoscendo la serietà di intenti dimostrata dall'artista romano per la sua prima regia, si affermò che «molte sono ancora le manchevolezze e molte le reminiscenze di altrui scoperte ed invenzioni, di Chaplin in primo luogo». Da segnalare, inoltre, che tutti i commenti ebbero espressioni di elogio per l'interpretazione di Valentina Cortese («eccellente», secondo il ''Corriere della sera''), attrice che era da poco rientrata in Italia dopo una lunga parentesi [[
Dello stesso tenore i giudizi retrospettivi, dal ''Catalogo Bolaffi'' («Purtroppo il regista- attore non riesce a far dimenticare lo stile di avanspettacolo che gli è proprio e dietro un'immagine gogoliana fa capolino spesso una mossa rivistaiola (anche se) il film ha una sottile vena malinconica che non dispiace»), sino, più recentemente, al ''Mereghetti''. che osserva come «purtroppo nel finale la comicità simil - surreale di Rascel appare del tutto fuori luogo, così come la sua recitazione troppo trasognata».
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