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'''Capitolo secondo'''<br />
{{citazione|Dimandato a che nascano gli uomini, rispose per ischerzo: a conoscere quanto sia più spediente il non esser nati.|ibidem}}<ref>Zibaldone, p.[https://it.wikisource.org/wiki/Pagina:Zibaldone_di_pensieri_II.djvu/139
Con un andamento sempre più aforistico, vicino allo stile dello Zibaldone, il capitolo si apre con un incitamento all'azione che allontana dalla noia e un'interessante allegoria del ''carciofo'' per spiegare il '''piacere''' umano,<ref>Il piacere umano è come un carciofo, per arrivare alla parte migliore (il cuore, il centro) bisogna prima mangiare le foglie dure e meno buone. Una felice metafora usata, in tempi più recenti, anche da [[Italo Calvino|Calvino]], (''Il carciofo della dialettica'', Una Pietra sopra, Saggi, 1981) per spiegare la complessità del reale e le difficoltà dello scrittore a raccontarla. </ref>, ritenuto dal filosofo il peggior momento della vita umana. La speranza e la rimembranza dei piaceri sono infatti cose migliori e più dolci degli stessi diletti. Tra questi, ritiene che i ricordi scaturiti dall'odorato sono i migliori, perché le cose gustate piacciono meno che a odorale. <ref>Anche in questo passo troviamo un'interessante riflessione su un tema poetico molto caro ad alcune avanguardie del novecento: si pensi alla [[Madeleine (gastronomia)|madeleine]] nell'opera di [[Marcel Proust|Proust]] in cui certi odori giocano un ruolo fondamentale nell'aprirsi della memoria, diventando protagonisti assoluti della costruzione narrativa</ref>. Usava spesso definire la vita come un ''letto duro'' dove si corica il malcapitato che per tutta la notte tenta invano di addormentarsi; ma quando è sul punto di farlo, senza essersi mai riposato, giunge l'ora di alzarsi.
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'''Capitolo terzo'''<br />
Il capitolo si apre con una rapida analisi sul dolore della perdita della persona amata. (<ref>cfr. anche la canzone ''Per una donna inferma di malattia lunga e mortale'', del 1819, vv.1-13:
'''<poem>
Io so ben che non vale
Beltà nè giovanezza incontro a morte;
E pur sempre ch’io ’l veggio m’addoloro:
Che s’io nol veggio, il mio desir prevale,
Tanto ch’io spero pur che l’enea sorte
Altrove ad altri casi ad altri tempi
Riservi i tristi esempi;
Fin che dal mal presente è sbigottita
La misera speranza.
Com’or che a l’occidente di sua vita
Veggio precipitar questa dogliosa,
Poi ch’altro non m’avanza,
Già mai di lagrimarla io non fo posa.
</ref>'' Meglio una malattia breve e rapida che una morte per ''infermità'' lunga e travagliata. La lenta agonia trasforma non solo l'anima e il corpo della persona amata ma anche il ricordo della sua immagine, tanto che non sopravvive neanche nell'immaginazione, non portando più alcuna consolazione ma solo tristezza.
Il cuore del capitolo tratta dei rapporti sociali tra esseri umani.
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Negli scambievoli rapporti si solidarietà umana, sia il tempo del dolore sia il tempo dell'allegria sono ostacoli alla compassione verso il prossimo. Entrambe le passioni riempiono l'uomo del ''pensiero di se medesimo'' e non lasciano spazio alle preoccupazioni altrui.
{{Quote|[Nel] il tempo del dolore, perché l'uomo è tutto volto alla pietà di sé stesso; [nel tempo] della gioia, perché allora tutte le cose umane ci si rappresentano lietissime e piacevolissime, [
Le migliori occasioni di vedere gli uomini disposti alla compassione e all'azione lodevole e disinteressata si presentano quando la gioia nasce da pensieri vaghi e da oggetti indeterminati, provocando una ''tranquilla agitazione dello spirito'' che predispone volentieri a gratificare gli altri.
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'''Capitolo quinto'''<br />
{{citazione| [
Il capitolo è dedicato interamente all'egoismo.
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Gli scrittori più eloquenti e più coinvolgenti sono quelli che parlano di sé stessi perché più ''sinceri'':
{{citazione| [
[[File:JulianusII-antioch(360-363)-CNG.jpg|thumb|upright=0.7|[[Flavio Claudio Giuliano|Giuliano l'Apostata]] raffigurato su di una moneta.]] E i lettori lo apprezzano perché non esiste modo migliore per trattate con maggior ''verità'' ed ''efficacia'' le cose altrui che ''favellando'' delle proprie; perché tutti gli uomini si assomigliano tra loro, sia nelle gioie che negli accidenti, quindi non esiste espediente tecnico migliore che trattarli come ''fatti'' propri. Segue un elenco di esempi tratti da famosi oratori che hanno animato il loro auditorio, ad un certo punto dell'arringa, parlando di sé stessi come [[Demostene]] o [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]] nel [[Pro milione]]; [[Bousset]] per le sue orazioni funebri, e [[Giuliano imperatore]],<ref>Giuliano l'Apostata tentò di far ripartire il paganesimo in un periodo in cui il cristianesimo andava affermandosi.</ref> per le argute ironie contro i suoi detrattori; tra gli italiani, [[Lorenzino dei Medici]]<ref>Lorenzino dei Medici giustificò di aver fatto uccidere nel 1537 il duca Alessandro dei Medici.</ref> e la sua ''apologia di un omidicio'', e le ''lettere familiari'' del [[Torquato Tasso|Tasso]].
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Si conclude in chiave ironica la seconda prosa in capitoli (vedi il Parini) in cui si riportano le migliori sentenze e risposte argute dell'Ottonieri. La battuta sulla ''signora attempata'' che ''non intende certe voci antiche'' presenti in alcune poesie giovanili del filosofo è ripresa integralmente dalla prima pagina dello Zibaldone; quella sul gruppo di ''antiquari'' è probabile riferimento all'esperienza negativa del soggiorno romano in casa di parenti, durante le frequentazioni dei vari circoli culturali. Leopardi se ne lamentava in diverse lettere indirizzate al fratello Carlo. Nei salotti romani dell'epoca un ''letterato'' era l'equivalente dell'Antiquario o Archeologo.
[[File:Carlo leopardi.jpg|thumb|left|upright=0.7|[[Carlo Leopardi]]]]{{citazione| Vi ho parlato solamente delle donne, perché della letteratura non so che mi vi dire. Orrori e poi orrori. I più santi nomi profanati, le più insigni sciocchezze levate al cielo, i migliori spiriti di questo secolo calpestati come inferiori al minimo letterato di Roma, la filosofia disprezzata come studi da fanciulli, il genio, l'immaginazione e il sentimento, nomi (non dico cose ma nomi) incogniti e forestieri ai poeti e alle poetesse di professione; l'Antiquaria messa da tutti in cima al sapere umano, e considerata costantemente e universalmente come l'unico vero studio dell'uomo [
=== Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez ===
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