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L'Operetta, incentrata sulla figura di [[Giuseppe Parini]] è la composizione più lunga del corpus; divisa in dodici capitoli, riguardanti la vanità della gloria, mette in guardia un promettente allievo dagli ostacoli che incontrerà per ottenere la fama nelle lettere o nella filosofia.<ref name="Parininota zib">[[Zibaldone]] pp. 2453-2454 (e la dedicatoria al [[Trissino (famiglia)|conte Leonardo Trissino]] della canzone ''Ad Angelo Mai''); 2676; 2682-2683; 2796-2799; 4021; 3673-3675; 1788-1789; 3769; 227-228; 2233-2236; 192; 1883-1885; 2600; 345-347; 359; 1650; 1833-1840; 3245; 3382-3383; 4108-4109; 1720-1721; 1729-1732; 455; 263-264; 273-274; 3975-3976; 2544-2545; 3383-3385; 271; 826-829; 593; 306-307; 643-644; 3027-3029; 1531-1533; 1708-1709.</ref>
 
'''Capitolo primo'''<br />Dopo una breve introduzione sulle qualità umane e artistiche del Parini, si narra la passione che il letterato aveva nell'insegnare l'eloquenza e la poesia ai suoi discepoli. Inizia il tema della gloria, e delle difficoltà<ref>La via delle lettere non è un esercizio naturale e non può essere percorsa senza pregiudizio del corpo, moltiplicando in diversi modi la propria infelicità.</ref> per conseguirla. Nell'antichità era legata alla ''pratica'', e non ottenuta con gli studi e le lettere. L'uomo era votato all'azione per fare il bene della repubblica e dei suoi cittadini.<ref>[[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]] nei suoi scritti si scusava per il suo inguaribile ''otium'' (l'amore per le lettere), rassicurando i lettori sul suo impegno politico.</ref> Oggi avviene il contrario, poiché i nostri tempi sono ''tranquilli'' e non votati ad imprese magnanime. [[Vittorio Alfieri]] è l'esempio di letterato per indole portato alla gloria, ma vissuto in un'epoca lontana dalle grandi imprese e costretto a riviverle nei suoi scritti: i moderni sono comunemente esclusi dal cammino di celebrità.<br />'''Capitolo secondo'''<br />Le invidie, la calunnie i maneggi segreti, oscurano o screditano la fama di un autore, portando alla ribalta opere insulse, obliando le pregevoli. [[Baldassarre Castiglione]], poeta «''assueto a scrivere''», è un esempio di stile da tramandare: un testo non è lodevole solo per le proprie sentenze e i propri contenuti. Apprendere lo stile significa anche capire meglio i grandi. [[Virgilio]] introduce il tema della fama ''casuale'': la maggior parte dei lettori esprime un giudizio ''grossolano'', che spesso poggia sulla ''tradizione'' che accompagna i sommi, una ''[...] consuetudine ciecamente abbracciata.''<br />'''Capitolo terzo'''<br />La valutazione di un'opera è fortemente legata alla prima impressione, derivante, nella maggior parte dei casi, da considerazioni personali che possono alterare i valori intrinseci: stati d'animo diversi, momenti della vita (età, maturità), condizioni sociali e cultura.<br />'''Capitolo quarto'''<br />La capacità di gustare letteratura (eloquenza) scema con l'avanzare dell'età, come prescrive madre natura. Gli anziani sono meno predisposti dei giovani, che a loro volta, mossi da impeto, soffrono la poca esperienza, dando nel giudizio più spazio ad aspetti frivoli, e a cose vane. L'uomo maturo conosce il vero e la vanità di tutte le cose, il giovane crede nelle ''favole''. Parte un'analisi dell'arte nelle città, sprecata nelle grandi perché non è più in grado di muovere grandi sentimenti: per abitudine, per troppe occupazioni dei cittadini per leggerezza, ecc. meglio nelle piccole e mediocri. Gli antichi scrivevano per distrarsi dal ''negotium'', mentre oggi si scrive tra un ''otium'' e l'altro. La città ha una duplice natura: favorisce la completa realizzazione dell'arte ma nello stesso tempo perde il suo valore intimo e spirituale; impossibilità per l'uomo di fruirne a pieno spirito.<br />'''Capitolo quinto'''<br />Dopo la parentesi del capitolo precedente si torna al tema principale. Le opere vicine alla ''perfezione'' risultano più piacevoli e meritorie dopo una seconda lettura, mentre non sempre se ne colgono i frutti alla prima. Avviene il contrario con gli scritti ''mediocri'' (che pur possono contenere qualcosa di pregio) che rubano la scena e pregiudicano le ''riletture''. Anticamente non era così perché circolavano pochi testi. Viene toccato il tema del ''primo giudizio'' che difficilmente si muta quindi in vantaggio sempre i libri maggiorimediocri: «''[...] lo scrivere perfettamente è quasi inutile alla fama''».<ref>Argomento ripreso con la stessa lucidità e spirito analitico/goliardico da [[Italo Calvino]] nel celebre incipit de [[Se una notte d'inverno un viaggiatore]]</ref> Due, fondamentalmente, i motivi che pregiudicano la prima lettura: i libri perfetti non sono letti con la stessa accuratezza dei ''classici'' e anche quelli importanti si studiano bene molti anni dopo, quando matura una certa ''fama''; la fama stessa che si deposita sui crea una sorta di velo di pregio che amplifica valori spesso gratuiti, «''[...] la maggior parte del diletto nasce dalla stessa fama''». Il valore di un poema non potrebbe essere giudicato nemmeno dal miglior studioso di versi del suo tempo perché nel caso dell'Iliade mancherebbero ben 27 secoli di tradizione letteraria all'appello.<br />'''Capitolo sesto'''<br />Qualsiasi azione, inclusa la lettura, se aiutata dalla speranza risulta più utile e fruttuosa, mentre mancando causa fastidio e noia. Chi abbraccia solo il ''presente'' è mosso da piaceri rapidi e insipidi e salta da libro a libro. Poiché la maggior parte dei lettori è di questa ''pasta'' non conviene scrivere perfettamente, gli stessi studiosi col tempo avranno a noia quei testi che prima gli recavano giovamento.<br />'''Capitolo settimo'''<br />Cambio argomento: dalle lettere amene alla filosofia, non c'è differenza, non c'è differenza con la poesia in termini di profondità di pensiero e sottigliezza nel ragionare. Anche in questo settore solo un filosofo ''sa leggere'' un libro filosofico e cogliere le verità di pensiero che le persone normali comprenderebbero solo ''letteralmente''. La profondità d'animo favorisce la lettura poetica, la profondità di pensiero quella filosofica. L'uomo impoetico non riesce a seguire ragionamenti sottili per giungere alla verità contenuta negli scritti. Questo genera una diversità di opinioni tanto che molti testi sono spesso accusati di ''oscurità'' per colpevole incomprensione dovuta alla scarsa qualità dei lettori.<br />'''Capitolo ottavo'''<br />Se in vita il discepolo, per meriti personali, dovesse riuscire a formulare, dopo grandi fatiche, grandi verità, non otterrà facilmente la ''gloria'' perché dovrà essere passato al vaglio dal ''pensiero corrente''. La comunità scientifica e tutti gli uomini dovranno abituarsi all'idea prima di poterla accettare. parte un parallelo con la geometria e si cita [[Renè Descartes|Cartesio]]: le verità geometriche sono accettate per ''assuefazione'' e non per certezze di verità concepite nell'animo. Il progresso del sapere umano non è compreso dai contemporani, il sommo pensatore è ''deriso e umiliato''. Solo nella generazione successiva, attraverso sforzi di ricerca individuali, si potrà verificare ed accettare la verità di quel genio e riconoscergli «''quanto precorrese il genere umano''», con lodi che leveranno «''poco romore''». Pertanto né in vita né dopo la morte sarà riconosciuta la gloria al sommo.<br />'''Capitolo nono'''<br />Nell'ipotesi in cui si ottenesse in vita la gloria, essa sarà trattata diversamente da città piccola a città grande. Le città piccole mancando di tutto, anche di cultura, non sono tengono in considerazione ''la fama, la sapienza e la dottrina'' di quel sommo, tanto che se abitatore di quei luoghi,<ref>Leopardi cita [[Bosisio Parini|Bosisio]] in Brianza presso il [[Lago di Pusiano|lago Pusiano]] dove nacque [[Giuseppe Parini]] il 22 maggio, [[1729]].
</ref> si troverà in forte disagio perché non compreso, deriso e umiliato. Nelle città grandi, gli occhi e gli animi degli uomini sono «''distratti e rapiti, parte dalla potenza, parte dalla ricchezza, in ultimo dalle arti che servono all'intrattenimento e alla giocondità della vita inutile''»; al ''genio'' non resta che accontentarsi della gloria che si riesce ad ottenere in un ristretto numero di amicizie.<br />'''Capitolo decimo'''<br />{{citazione|Non potendo godere [...] alcun beneficio della tua gloria, la maggiore utilità che ne ritrarrai, sarà di rivolgerla nell'animo e di compiacertene teco stesso nel silenzio della tua solitudine, [...] e fartene fondamento a nuove speranze. [...] La gloria degli scrittori, [...]riesce più grata da lungi che da vicino, ma non è mai, si può dire, presente a chi la possiede [...].|ibidem}}