Autunno caldo: differenze tra le versioni
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Gli imprenditori italiani furono colti da un sentimento di paura che confinava con il panico: a [[Valdagno]], durante una dimostrazione operaia, fu abbattuto il monumento a [[Gaetano Marzotto]] (creatore del complesso industriale), nelle fabbriche l'atmosfera diventò invivibile per dirigenti, i «capi» e «capetti», che si sentirono intimiditi e minacciati<ref name="piombo" />.
Aumentavano il fenomeno dell'assenteismo e gli episodi di sabotaggio, intimidazione e violenza. Uno degli episodi più significativi avvenne alla FIAT, il 29 ottobre 1969, in concomitanza all'apertura del [[Salone dell'automobile di Torino|Salone dell'Automobile]], nel corso degli [[Sciopero|scioperi articolati]] per il nuovo [[Contratto collettivo nazionale di lavoro|contratto di lavoro]]. Un folto gruppo di scioperanti, armati di sbarre e bastoni, prese d'assalto lo [[Fiat Mirafiori|stabilimento di Mirafiori]], devastando le [[Catena di montaggio|linee di montaggio]] dei modelli «[[Fiat 600|600]]» e «[[Fiat 850|850]]», il reparto carrozzeria e le strutture della mensa<ref>''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,avanzata/action,viewer/Itemid,3/page,4/articleid,1530_02_1969_0250_0004_21326314/ Denunce per gli atti di violenza alla Fiat Mirafiori e a Rivalta]'', ''[[La Stampa]]'', 30 ottobre 1969.</ref><ref>''[http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,5/articleid,0127_01_1969_0252_0005_4970902/ Devastati a Mirafiori e a Rivalta i refettori e il reparto Carrozzerie]'', ''La Stampa'', 30 ottobre 1969.</ref>. Quando la FIAT individuò e denunciò 122 operai responsabili delle devastazioni, si contrapposero mobilitazioni politiche e sindacali, con il Ministro del Lavoro [[Carlo Donat-Cattin]] che costrinse l'azienda a ritirare le denunce.<br/>
In merito all'episodio [[Gianni Agnelli]] ricordò: «Il ministro del Lavoro di allora non concluse la trattativa con i metalmeccanici fino a quando io non acconsentii, dopo parecchie ore di resistenza, a riassumere in fabbrica un centinaio di operai che si erano resi responsabili di violenze. Ricordo che, ricattato da queste condizioni, accettai la riassunzione. E l'umiliazione non fu accettare, o subire, questa forma di ricatto, ma, tornato a Torino e presentatomi ai dirigenti della produzione delle fabbriche, comunicare loro che avevo ceduto e che dovevano riassumere questo centinaio di operai violenti. Quello fu l'inizio di dieci anni disastrosi di brutalità e di violenze in fabbrica, che venne corretto solo dopo più di tremila giorni»<ref name="repubblica" />.
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