Autunno caldo: differenze tra le versioni
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Nell'[[Italia]] del 1969 i salari italiani erano ancora tra i più bassi dell'Europa occidentale, anche se la condizione operaia era molto migliorata rispetto a dieci anni prima: la conquista dell'automobile per l'operaio, da tempo realizzata negli Stati Uniti, era sotto gli occhi di tutti e il confonto della vita quotidiana si era accresciuto notevolmente<ref name="piombo">[[Indro Montanelli]] e [[Mario Cervi]], ''L'Italia degli anni di piombo'', Milano, Rizzoli, 1991.</ref>. Le rivolte sindacali furono un fenomeno di collera collettiva provocata non dalla povertà, ma dell'espandersi in fabbrica di fermenti ideologici del momento: uno slogan recitava «il nostro [[Vietnam]] è in fabbrica», ed era caratteristico in esso l'incrocio tra l'anti-americanismo, l'anti-imperialismo e le rivendicazioni operaie<ref name="piombo" />.
I sindacati ufficiali furono condizionati dai [[Comitati unitari di base]] (CUB), mentre i governi democristiani che si alternarono in quel periodo ([[Governo Rumor I|Rumor I]] e [[Governo Rumor II|Rumor II]]) non riuscivano a distinguere le richieste ragionevoli da quelle demagogiche, piegandosi a entrambe pur di arrivare a una pacificazione sociale<ref name="piombo" />: i CUB esigevano salari uguali per tutti gli operai in base al principio che «tutti gli stomachi sono uguali», senza differenze di merito e di compenso, concependo il profitto come una truffa, la produttività un servaggio e l'efficienza un complotto, sostenendo invece che la negligenza diventava un merito e il sabotaggio era un giusto colpo inferto alla logica capitalistica<ref name="piombo" />.
Gli imprenditori italiani furono colti da un sentimento di paura che confinava con il panico: a [[Valdagno]], durante una dimostrazione operaia, fu abbattuto il monumento a [[Gaetano Marzotto]] (creatore del complesso industriale), nelle fabbriche l'atmosfera diventò invivibile per dirigenti, i «capi» e «capetti», che si sentirono intimiditi e minacciati<ref name="piombo" />.
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