Vecchiaia (filosofia): differenze tra le versioni

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Nel 44 a.C., il grande vecchio del senato repubblicano scrive a 62 anni <ref>Pone a 46 anni l’inizio della vecchiaia Cicerone, (Cato Maior), a 60 Gellio, (''Notti Attiche'', 10,28)</ref>, il ''[[Cato Maior de senectute]]'' dedicato all'amico sessantaseienne Tito Pomponio Attico, dove il protagonista Catone dialoga con il giovane Scipione l'Emiliano e l'ancor più giovane Lelio rivendicando la convinzione che i vecchi possono continuare ad avere una vita politica attiva. Un'opinione questa condivisa da Cicerone che tuttavia non manca di evidenziare i difetti dell'età avanzata, come la scontrosità, l'irascibilità, dovuti però più al carattere dei singoli che alla vecchiaia in sé. Viene quindi introdotta la riflessione sulla morte che non riguarda solo i più anziani come dimostra la fine prematura di tanti giovani. È proprio degli spiriti nobili e saggi attendere la morte con animo sereno, costituendo così un esempio per la maggioranza degli uomini, poiché essa o è il nulla (e in tal caso nulla vi è da temere, secondo la concezione epicurea), o significa una vita migliore per chi ha vissuto con rettitudine. Richiama per sommi capi le dottrine pitagoriche e platoniche sull'anima immortale e augura infine agli amici di poter raggiungere l'età avanzata e quindi di provare per esperienza ciò che hanno appena appreso dalle sue parole.
 
Nei primi due secoli dell'età imperiale il senato perde autorità ma la gerontocrazia continua immutata ed anzi ora gli anziani possono godere di leggi a loro tutela come l'obbligo di mantenimento e gli appartenenti alla classe alta possono occupare cariche, senza limiti d'età e una volta ritiratisi a vita privata possono dedicarsi all'otium agreste o esercitare il lavoro di cosmedi anziani e saggi educatori dei giovani riproponendo così il modello passato dei greci accomunando il senex all'intellettuale filosofo.
 
==Note==