Irredentismo italiano: differenze tra le versioni

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== Storia ==
Secondo alcuni autori, le radici dell'irredentismo possono essere trovate già verso la fine del [[XVIII secolo]], come conseguenza del tentativo francese di annettere – oltre alla [[Corsica]] – anche regioni italiane "continentali" come il [[Piemonte]], la [[Liguria]] e la [[Toscana]] durante l'[[Impero napoleonico]]<ref>{{Cita|Angelo Vivante, ''Irredentismo adriatico''|capitolo primo|Angelo Vivante, Irredentismo adriatico}}.</ref>. Tuttavia è nella seconda metà del XIX secolo, sul finire del [[Risorgimento]], che il fenomeno diventa rilevante; proprio in quel periodo nacquero infatti diversi movimenti che facevano propri gli ideali [[irredentismo|irredentisti]]: {{Citazione necessaria|ripetutamente quanto inutilmente i Giulianigiuliani avevano chiesto, almeno, l'unione della [[Venezia Giulia]] al [[Regno Lombardo-Veneto]]}}, e all'epoca delle rivolte del [[1848]] {{Citazione necessaria|il magistrato Carlo deFranceschi, di [[Pisino]], Michele Facchinetti, di [[Visinada]], Antonio Madonizza, di [[Capodistria]], Francesco Vidulich, di [[Lussinpicolo]], Giuseppe Vlach, di [[Lussino]], deputati alla Costituente austriaca, riuscirono a impedire l’aggregazione dell’[[Istria]] alla [[Confederazione Germanica]], rivendicando, invece, l’appartenenza all'Italia e la riunificazione col Regno Lombardo-Veneto;}} lo scritto di deFranceschi {{citazione necessaria|"Per l’italianità dell’Istria" (agosto 1848)}}, pubblicato prima a Vienna e poi a Trieste, divenne il manifesto dell'autonomismo istriano.
 
{{citazione necessaria|Nel [[1861]] prese vita, a Parenzo, la Dieta Provinciale Istriana, nota, insieme alla Dieta Fiumana e a quella Dalmata, riunita a Zara, come “Dieta dei nessuno”, per il rifiuto opposto alle richieste di partecipazione rispettivamente al Parlamento di Vienna e alla Dieta di Zagabria.}} Carlo deFranceschi, Michele Facchinetti, Antonio Madonizza, insieme a Carlo Combi, di Capodistria, Niccolò deRin, di Capodistria, Tomaso Lucani, di Lussino, furono gli animatori della Dieta Istriana; [[Carlo Combi]], strenuo sostenitore della riunificazione della Venezia Giulia col Lombardo-Veneto, autore di saggi quali "La frontiera orientale d'Italia e la sua importanza"<ref>''[http://books.google.it/books?id=LVEtAAAAMAAJ&pg=PA172&dq=La+frontiera+orientale+d'Italia+e+la+sua+importanza&hl=it&sa=X&ei=LE4nVJuGC8PdaLPkgPAH&ved=0CCYQ6AEwAQ#v=onepage&q=La%20frontiera%20orientale%20d'Italia%20e%20la%20sua%20importanza&f=false La frontiera orientale d'Italia e la sua importanza]'' in ''Il Politecnico'', XIII, Milano 1862.</ref> e "Importanza dell'Alpe Giulia e dell'Istria per la difesa dell'Italia orientale"<ref>''[http://books.google.it/books?id=cscaAAAAYAAJ&pg=PA21&dq=Importanza+strategica+delle+Alpi+Giulie+e+dell'Istria+rivista+contemporanea&hl=it&sa=X&ei=gk4nVIviM9LhavWogKgK&ved=0CCcQ6AEwAQ#v=onepage&q=Importanza%20strategica%20delle%20Alpi%20Giulie%20e%20dell'Istria%20rivista%20contemporanea&f=false Importanza strategica delle Alpi Giulie e dell'Istria]'' in ''Rivista Contemporanea'', XLV, Torino 1866.</ref>, pubblicati anche sul “Politecnico” di Carlo Cattaneo, divenne un punto di riferimento per il liberalismo italiano, ma nel 1866 fu bandito dall'[[Impero austriaco]] con l'accusa di “intelligenza” col Governogoverno e i comandi militari italiani.
 
Nel{{citazione necessaria| [[1877]] [[Matteo Renato Imbriani]] coniò il nuovo termine "''terre irredente''", utilizzandolo in occasione dei funerali del padre [[Paolo Emilio Imbriani|Paolo Emilio]], e fu per questo definito "irredentista", in maniera sarcastica, da un giornalistagiornale viennese.{{cn}}. Nello stesso anno (7 maggio), per iniziativa dello stesso Imbriani e di alcuni altri, nacque l'''Associazione in pro dell'Italia Irredenta''; {{citazione necessaria|nel 1885 fu fondata la ''Pro Patria''{{cn}} e nel 1891 nacque, nei territori ancora dell'[[Impero Austroaustro-Ungaricoungarico]], la ''"[[Lega Nazionale|Lega Nazionale Italiana]]"''.
 
Le diverse associazioni vennero (in momenti diversi) prima tollerate, {{citazione necessaria|quindi avversate o addirittura chiuse dallo stato italiano}} (prima da [[Agostino Depretis|Depretis]] e poi da [[Francesco Crispi|Crispi]]), per motivi di opportunità di politica estera.
 
A [[Trieste]] la notte del 2 agosto [[1882]], lungo il corso, un uomo lanciò una bomba lungo un corteo di veterani, causando la morte del sedicenne Angelo Fortis ed il ferimento di altre 10 persone. La sera del 17 agosto, grazie ad una soffiata alla polizia, una bomba del tutto simile venne sequestrata a bordo del piroscafo Lloyd Milano che proveniva da Venezia. Gli episodi di cui rimangono ignoti i reali esecutori sono riconducibili ad un proclama del 31 luglio 1882 pubblicato dal giornale [[La Stampa|La Stampa]] il 5 agosto 1882 in cui un gruppo che si firma come "I Triestini", lanciava invettive ed invitava il boicottaggio alla "Esposizione Industriale" di Trieste inaugurata il primo di agosto dal fratello dell'Imperatore d'Austria [[Carlo Ludovico d'Asburgo-Lorena|Ludovico d'Asburgo]].
 
Nel [[1882]] il triestino [[Guglielmo Oberdan]], insieme al buiese Donato Ragosa, progettò un attentato a [[Francesco Giuseppe I d'Austria]] nel tentativo di far crollare il progetto della [[Triplice alleanza (1882)|Triplice alleanza]], ma la congiura fu scoperta e il tentativo fallì, Ragosa riuscendo a salvarsi con la fuga e Oberdan finendo sul patibolo. In omaggio a Combi e ad altri, tra i quali [[Vittorio Italico Zupelli]], {{citazione necessaria|Capodistria fu considerata il santuario dell'Irredentismo giuliano,}} ma estremamente importante, per quello che riguarda la [[Venezia Giulia]] fu anche l'apporto degli intellettuali triestini come [[Scipio Slataper]]<ref>{{Cita libro |autore = |titolo = Il mio Carso |edizione = riedito nel 2011 |città = Venezia |editore = Mursia |isbn = 978-88-425-4734-1}}</ref> e [[Carlo Stuparich|Carlo]] e [[Giani Stuparich]], {{citazione necessaria|così come quello degli esponenti (autonomisti o annessionisti indifferentemente) fiumani, da Michele Maylander al suo allievo Antonio Grossich, Presidente del Consiglio Nazionale Italiano, da Nevio Skull a Giuseppe Sincich a Mario Blasich, piuttosto che a Riccardo Gigante, eroe di guerra e luogotenente di [[Gabriele D'Annunzio|D'Annunzio]] nella impresa di Fiume, per non citare Antonio Bajamonti, Luigi Ziliotto e Roberto Ghiglianovich in Dalmazia.}}
 
[[File:Trento - Statue of Dante.JPG|thumb|Il [[Monumento a Dante (Trento)|Monumento a Dante]] di [[Trento]] fu eretto come simbolo della [[lingua italiana]] e dell'italianità quando il Trentino faceva ancora parte dell'[[Impero austro-ungarico]]]]
I vari movimenti irredentisti proponevano (pur se con diverse sfumature) l'annessione delle terre, considerate italiane, che dopo la [[terza guerra di indipendenza italiana]] del 1866 si trovavano ancora in mano straniera, quali in particolare il [[Provincia autonoma di Trento|Trentino]] (mae non necessariamente l'[[Provincia autonoma di Bolzano|Alto Adige]] o Sud Tirolo), la [[Venezia Giulia]], la [[Dalmazia]], il [[Contea di Nizza|Nizzardo]], la [[Corsica]] e [[Malta]] o parte di altre realtà politiche come il [[Canton Ticino]] e le valli italofone del [[Canton Grigioni]]. I territori considerati irredenti erano definiti tali secondo criteri variabili: a volte si considerava il criterio ''linguistico-culturale'', ossia la presenza di [[italofoni]], altre volte quello ''geografico'', cioè l'appartenenza ai confini naturali, altre ancora quello ''storico'', ossia l'appartenenza del territorio, in passato, a uno degli antichi stati italiani.
 
Cronologicamente vi sono stati due "irredentismi" italiani: uno risorgimentale ed uno fascista. Il primo voleva l'unione al [[Regno d'Italia]] di tutti i territori con popolazione a maggioranza italiana rimasti fuori dall'unificazione nel 1870. Il secondo era più aggressivo e portò - in parte - al disastro della [[seconda guerra mondiale]]. Infatti dopo la fine della [[prima guerra mondiale]] il movimento fu egemonizzato, manipolato e stravolto dal [[fascismo]], che ne fece uno strumento di propaganda [[nazionalismo|nazionalista]], posto al centro di una politica, condizionata da tardive ambizioni imperiali, che si concretizzava nelle "[[italianizzazione (fascismo)|italianizzazioni]] forzate", nell'aspirazione per la nascita di una ''Grande Italia'' e un vasto [[Impero coloniale italiano|impero coloniale]]. Il fascismo considerò "irredenti" anche territori quali la [[Savoia (dipartimento)|Savoia]] e [[Corfù]] (e, con quest'ultima, anche le restanti [[Isole Ionie]]: [[Zante]], [[Leucade]], [[Cefalonia]], [[Itaca]], Paxo), non appartenenti alla regione fisica italiana o storicamente alquanto estranei alla tradizione italiana e quasi privi di abitanti italofoni.
 
A partire dal secondo dopoguerra in poi il governo italiano ha cessato del tutto qualsiasi politica irredentistica, considerando come definitivi i confini nazionali stabiliti dopo il [[Trattati di Parigi (1947)|trattato di Parigi]] del [[1947]], il [[Memorandum di Londra (1954)|memorandum di Londra del 1954]] e il [[trattato di Osimo]] del [[1975]].
 
Tuttavia, secondo alcuni movimenti non esclusivamente appartenenti alla destra radicale, in seguito alla cessione di gran parte della [[Venezia Giulia]] alla ex [[Jugoslavia]], l'irredentismo italiano non avrebbe ancora completato il suo programma. Esistono gruppi e movimenti di opinione che affermano (senza che necessariamente ciò comporti una pressione per la revisione dei confini politici post-bellici) l'italianità della ''Venezia Giulia oltreconfine''. Recentemente, la [[dissoluzione della Jugoslavia]] ha fatto infatti riemergere in tali ambiti sentimenti nazionalistici;<ref>''articoliArticoli "Il Giornale", "Il Piccolo", "Il Secolo d'Italia".</ref> si ricordano a tal proposito le manifestazioni triestine ''«per un nuovo irredentismo''» del 6 ottobre [[1991]], promosse dal [[Movimento Sociale Italiano]] e che traevano spunto da voci circa trattative per il passaggio tramite Trieste delle truppe jugoslave espulse dalla Slovenia, che videro la partecipazione di migliaia di persone in [[piazza della Borsa]] e per le vie della città.
 
Lo stesso MSI chiese la rivisitazione dei trattati di pace, soprattutto per quanto riguarda la zona B del [[territorioTerritorio libero di Trieste]] e l'enclave di Pola della zona A del TLT, atteso che la qualificazione di Slovenia e Croazia come eredi della Jugoslavia non era scontata (come sottolineato dalla stessa Federazione Jugoslava e dalla Serbia) e che {{CN|la spartizione dell'Istria occupata tra Slovenia e Croazia avrebbe contraddetto le clausole del "trattato di pace" che, almeno, garantivano l'unità della superstite componente italiana nelle terre giuliane asegnateassegnate alla Jugoslavia,{{cn}}, e propose la richiesta della creazione di una euroregione istriana comprendente anche la città di Fiume. {{CN|Le rivendicazioni dell'MSI non riguardavano solo l'Istria e la città di Fiume con le isole geograficamente appartenenti al Quarnaro (non soltanto Cherso e Lussino, già assegnate all'Italia nel 1919, ma anche Veglia e Arbe), ma anche la Dalmazia, comprese alcune delle isole più propriamente dalmate (quali Pago, Ugliano, Lissa, Lagosta, Lesina, Curzola e Meleda) e la costa con le città di Zara, Sebenico, Traù e Spalato, pur non estendendosi a Ragusa, Castelnuovo e Cattaro. Tali aspirazioni rimasero comunque sempre inascoltate dai diversi governi italiani succedutisi in quel periodo.{{cn}}
 
== I territori considerati irredenti ==