Canzone al Metauro: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Riga 19:
 
== Analisi del testo ==
Le "Rime" tassiane più apprezzate sono quelle in cui il poeta canta liricamente la propria vita. È ciò che accade in questa canzone incompiuta, che già i lettori del tardo Cinquecento consideravano un capolavoro per la diretta effusione degli affetti che il poeta hha travasato nei versi. Non mancano neppure qui gli spunti cortigiani, come avvienavviene per esempio ai vv. 7-9 con l'iperbolica rappresentazione della Quercia, i cui rami si distendono su monti e mari, a suggerire la potenza dei duchi di Urbino; l'esordio della canzone è ricco di simili spunti elogiativi (figlio piccolo, sì ma glorïosoglorioso, v.2; cortesi.....sponde, v.5; ombra....ospital, v.11; gentil riposo e sede, v.12). Ma questi elementi vengono riequilibrati nella meditazione autobiografica che si snoda a partire dal v.21.
 
Colpisce l'insistenza con la quale Tasso si dice incalzato dalla sorte avversa, spietata nel tendergli agguati da cui appunto spera salvezza grazie alla protezione del signore do Urbino. All'implicita epicizzazione della propria vicenda di vittima della fortuna, si sovrappongono gli accenti, tra il commosso e il drammatico, con cui il poeta ricorda la tragica esperienza del distacco dalla madre, qui rievocata con desolata intensità. La canzone trova il suggello nel verso finale (a me versato il mio dolor sia tutto), che suona come un singhiozzo o un'epigrafe, per esprimere la certezza di un destino di dolore e il sentimento dell'amara rassegnazione (o di stoica accettazione) di fronte al fato.