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Alla fine di ottobre Petitpierre viene incaricato dal CLN di Brescia di gestire i contatti con gli alleati e molto probabilmente, grazie a questo lavoro di collegamento, già dalla fine di novembre i gruppi erano in attesa dell’invio di armi in Valsabbia. Inizialmente venne individuato un campo a Vesta di Cima dove lanciare i rifornimenti e viene valutato “scomodo perché distante, ma abbastanza sicuro ed esteso”. Il lancio sembrava imminente già agli inizi di novembre, infatti alcuni uomini partono da diverse località (Nozza organizzati da Ferremo, da Lavenone, Idro e Anfo) per raggiungere il campo a Vesta di Cima. Una volta arrivati sul posto, questi gruppi rimangono ad aspettare per quindici giorni ma il volo viene rimandato diverse volte a causa del maltempo. Il campo viene controllato fino al 28 novembre, dopodiché i gruppi devono scappare a causa di una notizia rastrellamento della Feldgendarmerie che in effetti sarebbe avvenuto il giorno successivo. L’8 dicembre Liberini riceve una telefonata da Perlasca che gli dice di preparare un gruppo per il recupero del materiale lanciato dagli alleati. Mentre questo gruppo di quattro uomini si sta preparando a partire dal lago d’Idro, nel frattempo “verso le 19 un aereo sorvola e gira per due volte da Vobarno a Degagna e al secondo giro il Poli, data la bassa quota dell’apparecchio, può individuare bene la sua direzione fra Gardoncello e Degagna. Il lancio doveva riuscire alla perfezione se non fosse stato sganciato qualche attimo prima, ingannati [gli aviatori] dal fuoco di carbonai situati fra Prato della Noce e Campiglio. Vari paracadute con venti quintali di materiale scendono nella notte lungo la valletta che da Degagna conduce a Campiglio”<ref> {{Cita | Anni 1985 | p. 22 }} </ref>.
In realtà il lancio doveva avvenire in un altro posto ma all’ultimo istante gli aviatori decidono di cambiare campo di atterraggio. Il materiale paracadutato è suddiviso in casse di armi e materiale utile e una volta atterrato, i montanari della zona intercettano il carico e sottraggono il materiale utile (non le armi) e lo nascondono nelle loro case e fienili. La notte del 10 novembre alcuni elementi delle bande Valsabbine<ref> Manlio Poli, Giulio De Martin, Enrico Federici, e Mario Boldini {{Cita | Anni 1985 | p. 22 }} </ref> si recano nella zona del lancio e constatano la mancanza di gran parte del materiale lanciato. Per questo motivo avvertono il Comando di Vestone e decidono di ritornare il 12 dicembre con un contingente di uomini maggiore<ref> i gruppi partono da Mura, Casto, Nozza, Odolo e Anfo e si dirigono verso le frazioni di Eno e Cecino in località Degagna e si incontrano con il gruppo di Manlio Poli che proviene da Vobarno {{Cita | Anni 1985 | p. 23 }} </ref> per fare pressione sulle popolazioni della zona usando le maniere forti con lo scopo di ottenere tutto il materiale nascosto<ref> {{Cita | Anni 1980 | p. 40 }} </ref>. Dopo avere effettuato approfondite perquisizioni nelle case e dopo avere minacciato di morte i responsabili del furto, i partigiani riescono a recuperano il materiale utile tra cui doveva esserci anche una radio che però, malgrado le approfondite ricerche, non viene trovata. Tutto il materiale recuperato viene portato provvisoriamente nell’abitazione di Pietro Franzoni <ref> nome di battaglia Barba </ref> e da qui, prima le armi e poi il resto, De Martin e Boldini, aiutati da Bernardo e Cesare Butturini, trasportano tutto a Monte Spino. I quattro requisiscono un cavallo e un mulo per il trasporto che avviene poco prima di Natale e le armi vengono suddivise e nascoste in tre grotte molto ben nascoste sul Forcello, un monte vicino allo Spino. Nei primi giorni di gennaio 1944 un gruppo di Sabbio Chiese col comando di Perlasca e Bettinzoli, ritira le armi da queste grotte e le trasporta in Valtrompia senza alcun problema. Un altro gruppo di armi viene nascosto in una caverna vicino a Vobarno poi spostato nel fienile di Pietro Bertoletti<ref>nome di battaglia Pietro Rinaldi</ref> sul monte Gardoncello. Un’altra parte delle armi viene nascosta nel fienile di Enrico Zuaboni <ref> nome di battaglia Rico di Trat</ref> sul monte Trat. Per sorvegliare le armi e i materiali nascosti, Boldini, De Martin, Federici e i fratelli Butturini per qualche giorno si fermano in una cascina disabitata<ref> {{Cita | Anni 1985 | p. 23 }} </ref>.
L’aviolancio, ma sopratutto il trattamento ricevuto dai montanari per ottenere il materiale nascosto ma anche la presenza stessa delle armi arrivate col lancio l’8 dicembre 1943, provoca parecchie resistenze nei montanari della Degagna che denunciano ai carabinieri i fatti avvenuti. La denuncia allarma i fascisti e di conseguenza i tedeschi e questo provoca un grave senso di insicurezza nei resistenti<ref> {{Cita | Anni 1985 | p. 22 }} </ref>.
Negli ultimi giorni di Dicembre del 1943 Perlasca si ammala e decide di recarsi a Brescia dove rimane tutto il periodo di malattia, durante il quale probabilmente incontra Francesco Brunelli a cui parla della sua intenzione di non ritornare più in Valle Sabbia e ipotizza di passargli il comando<ref> {{Cita | Anni 1985 | p. 23 }} </ref>. Mentre Perlasca è a Brescia ammalato, durante le operazioni di ricerca delle armi, Bettinzoli prende il comando<ref> {{Cita | Anni 1980 | p. 42 }} </ref>. Dopo aver incontrato Brunelli, Perlasca decide di andare a Brescia e di prendere diretti contatti col comando. Lo scopo di questo spostamento è di evitare l’arresto in quanto Perlasca inizia a rendersi conto che dopo la denuncia dei montanari per i fatti della Degagna, i ribelli rischiano la cattura in qualsiasi momento.
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P.S. Mamma fai scegliere alla mia Mimy qualcosa di mio che mi ricordi per sempre e tienila per figlia al posto mio}}<ref> {{Cita | Malvezzi, Pirelli 2009 | pp. 246-247 }} </ref>
==La Brigata Perlasca==
La Brigata si costituisce ufficialmente il 1 agosto 1944, ma le sue origini risalgono all’autunno del 1943 grazie ai gruppi organizzati da Giacomo Perlasca e Mario Bettinzoli<ref> {{Cita | Anni 2008 vol. 2 | p. 292 }} </ref>.
Dopo la morte di Giacomo Perlasca, il suo nome viene attribuito a una delle formazione delle Brigate Fiamme Verdi chiamata appunto [[Brigata Perlasca]]. Con un organico di 280 uomini e operante tra la Valle Sabbia e la [[Valle Trompia]], alla fine del conflitto conterà una trentina di caduti. [pg.243 del libro Lettere di condannati a morte della resistenza italiana, dal video ribelli brigata perlasca ediz del 1952?]
==Onorificenze==
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==Riconoscimenti==
Brescia gli ha dedicato un quartiere. Anche l'Istituto di Istruzione Superiore di Idro-Vobarno (BS) e la Scuola Secondaria di Primo Grado di Rezzato (BS) sono stati intitolati a Giacomo Perlasca come anche la Brigata Val Sabbia delle Fiamme Verdi.
Per delibera dei Consiglio comunale di Brescia, la via che congiunge via U. Ziliani con via E. Margheriti (quartiere Lamarmora) è stata denominata via Giacomo Perlasca<ref> {{Cita | AAVV Le vie della libertà | p. 127 }} </ref>.
==Note==
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