Servio Sulpicio Rufo: differenze tra le versioni
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|data di morte = [[43 a.C.]]
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|consolato = [[51 a.C.]]
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{{Bio
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=== Carriera Politica ===
S. Sulpicio Rufo dopo la dittatura di [[Silla]] nel 78 a.C. fece ritorno a Roma. Nel 76 a.C. si candidò per la questura per l’anno successivo e fu eletto.<ref>Pietro Meloni, Servio Sulpicio Rufo e i suoi tempi, Sassari, 1946. p. 82</ref>. La vittoria fu schiacciante e gli fu assegnata, la [[
Nel 66 a.C. Servio Sulpicio si candidò alla pretura per l’anno seguente e fu ancora una volta eletto, ma ottenne la presidenza di una commissione permanente di peculato e non, come da consuetudine, la pretura urbana, assegnata invece a [[Lucio Licinio Murena]]<ref> M. Tulio Cicerone, Due sbagli politici, pro Murena- pro Sestio, a cura di G. Ferrara, C. Giussani, s. Rizzo, BUR, Milano, 1988 p. 123</ref>, e questo ruolo gli causò una serie di inimicizie per i provvedimenti che lui autorizzò.
Propostogli il ruolo di propretore, essendo un suo diritto in virtù della Lex Cornelia de povinciis ordinandis, che prevedeva l’assegnazione di province ad ex consoli e pretori dopo aver terminato il proprio magistero, Sulpicio Rufo rifiutò preferendo rimanere a Roma<ref> M. Tulio Cicerone, Due sbagli politici, pro Murena- pro Sestio, a cura di G. Ferrara, C. Giussani, s. Rizzo, BUR, Milano, 1988 p. 125</ref>.
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L’anno del [[consolato]] fu ricco di difficoltà a causa del comando proconsolare di [[Cesare]] ormai in scadenza. In più fu un consolato tormentato per i contrasti che interessarono i due consoli<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ad Attico, a cura di Carlo di Spigno, UTET, Torino, 1998, p. 451</ref>.
Mentre gli eventi degeneravano nel 49 a.C., essendo Cesare prossimo a Roma, [[Pompeo]] in fuga insieme a molti rappresentanti politici tra cui Cicerone, e anche Sulpicio Rufo decise di abbandonare la città<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ad Attico, a cura di Carlo di Spigno, UTET, Torino, 1998, p. 933. </ref>. Egli si inserì nella contesa tra Cesare e Pompeo, seguendo la via diplomatica: mandò suo figlio stesso a Brindisi direttamente da Cesare, ma ogni tentativo fu vano<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ad Attico, a cura di Carlo di Spigno, UTET, Torino, 1998, p. 873</ref>. Abbiamo notizie di un incontro tra Cicerone e Sulpicio a Cuma<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ai Familiari, a cura di Alberto Cavarzere, BUR, Milano, 2007, p. 349</ref> il 7 maggio del 49. a.C.<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ad Attico, UTET, Torino, 1998, pp. 933-934</ref> . I due avevano un urgente bisogno di vedersi (parlarono dello stato della città e di una possibile ascesa di Cesare). In questa sede Cicerone lo esortò a lasciare l’Urbe<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ad Attico, UTET, Torino, 1998, p. 935</ref>.
Durante la Seconda Guerra Civile della Roma repubblicana, dopo molte esitazioni, Sulpicio Rufo unì il suo destino a quello di Giulio Cesare<ref> Marco T. Cicerone, Epistole ai Familiari, BUR, Milano, 2007, p. 357. “Tuttavia nel giudizio dello stesso Cesare e nella stima di tutti i tuoi concittadini, la tua integrità, la tua saggezza e la tua dignità brillano come luce quando ogni altra è spenta”. </ref>. A inizio dell'anno 46 a.C. ricevette da Cesare stesso il governo della [[
=== Gli ultimi anni ===
Nel 44 a.C., dopo la morte di [[Cesare]], S. Sulpicio Rufo proclamò un [[senatoconsulto]], con il quale proponeva l’abolizione della dittatura; vi era il pericolo che i discendenti di Cesare potessero salire al potere<ref>M. Tulio Cicerone, Le Filippiche, Edizioni dell’orso, a cura di G. Magnaldi, Alessandria, 2008, p.1. “Nessuna tavola contenente alcun decreto o beneficio di Cesare si affiggesse dopo le idi di marzo”.</ref>. Dopo di ciò si presume un allontanamento da Roma<ref>Marco T. Cicerone, Epistole ai Familiari, BUR, Milano, 2007, p. 1211 </ref>, con un successivo ritorno con il suo segretario per una possibile mediazione.
Ormai, essendo vicino la guerra civile, Sulpicio Rufo, tentò come suo solito la via diplomatica con un’ambasciata ad [[Antonio]]<ref>M. Tulio Cicerone, Le Filippiche, Edizioni dell’orso, Alessandria, 2008, pp. 80-81</ref>. Infatti il senato incaricò tre senatori consolari tra cui lo stesso S. Sulpicio Rufo, anche
Servio Sulpicio Rufo a causa della sua cattiva salute pensò di rifiutare l’incarico<ref>M. Tulio Cicerone, Le Filippiche, Edizioni dell’orso, Alessandria, 2008, p.170</ref>, ma esortato da tutti accettò infine questo compito.
Molto probabilmente non riuscì neanche a parlare con Antonio perché alle porte di Modena morì anche se le fonti sono discordanti, intorno alla metà di gennaio dell’anno 43 a.C.
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Si attribuiscono a lui centottanta libri giuridici,<ref>Wilhelm Siegmund Teuffel-Schwabe: Storia della Letteratura di Roma 174, 4</ref> tra risposte, pensieri e sentenze di Servio Sulpicio da i quali si può evincere tutta la dottrina e le sue capacità giuridiche, ma sono noti solo i titoli di quattro, come le ''Critiche a Quinto Muzio Scevola'' (Lat: ''Reprehensa Scaevolae Capita o Notata Mucii''). Non si conosce da quale brano è tratto direttamente, vi sono solo riferimenti secondari nelle opere di Cicerone e Quintiliano.
L’attività del giurista in genere consisteva in tre compiti: rispondere, cavere, agere<ref> M. Tulio Cicerone, Qual è il miglior oratore (le suddivisioni dell'arte oratoria), a cura di G. Galeazzo Tissoni, A. Mondadori, Milano, 1973</ref>. Sulpicio come ci dice Cicerone nella [[pro Murena]] ha dato ampio spazio ai Responsa, poi sistemati e raccolti dai suoi discepoli i Servi auditores, in otto libri di risposte.
Fu un giurista di grande fama in epoca repubblicana al quale Cicerone diede numerosi riconoscimenti,<ref>[[Elizabeth Rawson]]: [http://www.worldcat.org/title/cicero-a-portrait/oclc/57895688?referer=di&ht=edition Cicero, a portrait (1975) p.14].</ref> considerandolo il primo che elevò la Giurisprudenza alla categoria della scienza, (questo perché unì al diritto, la filosofia greca e la dialettica oltre che la retorica portando il tutto a un'estrema armonia<ref>Cicerone, Bruto, I classici Rizzoli BUR, Milano, 1995, pp. 228-229.</ref><ref> M. Tulio Cicerone, Le Filippiche, Edizioni dell’orso, Alessandria, 2008, p. 171.</ref>) essendo chiamato diffusamente in epoca classica Gaio tra altri, sebbene al suo tempo la grande figura di Diritto è stata [[Quinto Muzio Scevola]] (figlio di Publio), al quale si opponeva la scuola di Diritto di Sulpicio Rufo.
=== La scuola ===
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=== Lettere ===
Due ottimi esempi dello stile di Servio Sulpicio Rufo si conservano negli scritti di Cicerone<ref>Marco. T. Cicerone, Epistole ai Familiari, BUR, Milano, 2007, p. 394</ref>. Il più famoso di questi è una lettera<ref>Marco. T. Cicerone, Epistole ai Familiari, BUR, Milano, 2007, p. 367</ref> di condoglianze scritta da Rufo dopo la morte di Tullia metà marzo del 45 a.C, la figlia di Cicerone. Si tratta di un cordoglio che i posteri hanno ammirato, pieno di malinconia e di sottile riflessione sulla caducità di tutte le cose. È un testo
Altro testo preziosissimo è un'epistola<ref> Marco. T. Cicerone, Epistole ai Familiari, BUR, Milano, 2007, p. 394</ref> risalente al 31 maggio del 45 a.C. nella quale si narra dell’assassinio del suo collega quando era console con Marcello.
Queste due lettere ci offrono una panoramica, seppur limitata, della sua tecnica scrittoria che risente della significativa formazione giovanile e dello stile giuridico ricco di arcaismi.
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*{{Cita libro| Pierre | Willems | ''Le Sénat de la République Romaine'' | 1968}}
*{{Cita libro| Wilhelm Siegmund | Teuffel-Schwabe | ''Storia della Letteratura di Roma 174, 4}}
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