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Sono state individuate cinque fasi che ripercorrono lo sviluppo della lingua italiana nel [[nord America]]<ref>R. Di Pietro, «Language as a marker of Italian ethnicity», in ''Studi emigrazione'', vol. 42, 1976, pp. 207-217</ref>:
* nella prima l'italiano e, più spesso, il dialetto regionale prevalgono sull'inglese che è relegato ad espressioni fisse come ''Ok, that's al right'' o ''Yeah'';
* nella seconda fase la conoscenza dell'inglese è ancora debole, ma avviene il ''[[code switching]]'' (il cambio del codice linguistico) a cui si fa risalire una prima forma di italoamericano, caratterizzato da un linguaggio che ha spesso base napoletana e sicilianaregionale<ref>R. Di Pietro, «Bilinguismo e italiano come lingua seconda negli Stati Uniti», in ''Il veltro'', 1986, p 17</ref>;
* la terza fase è caratterizzata dall'utilizzo dell'italoamericano nelle comunità italiane. Vi è ancora il cambiamento di codice dove la base è l'italoamericano e l'inglese è la lingua di sostituzione;
* nella quarta fase si utilizza soprattutto l'inglese, mentre l'italoamericano passa in secondo piano;
* infine, nella quinta fase c'è una totale scomparsa delle influenze italoamericane dato che i parlanti sono ormai monolingui in inglese.
Dagli studi sugli italo-americani di [[New York]] e [[Long Island]] si rileva l'esistenza di una lingua franca non-standard<ref>«Quando invitati a parlare l’italiano standard, i soggetti producevano infatti tale varietà semiformale, fatto che permette di assumere la presenza di una lingua franca italo-americana, che si sarebbe formata tra gli emigranti dialettofoni provenienti da Calabria,varie Campania,parti Sicilia, Puglia, Lucania, Lazio, Abruzzo e Molised'[[Italia]]. […] Naturalmente le condizioni specifiche delle lingue degli emigrati, associate alle caratteristiche sociali peculiari nel contesto della nuova società, producevano una varietà parlata “alta” nuova e diversa negli Stati Uniti.» (Hermann W.Haller, ''Una lingua perduta e ritrovata. L’italiano degli italo-americani'', Firenze: La Nuova Italia, 1993, p.8)</ref>, omogenea e parlata da emigrati provenienti dal Sud Italia che la usavano per la comunicazione “alta” al fuori dall'ambito della famiglia, in cui prevalevano dialetti stretti o varie forme di pidgin<ref>Ibidem, p. 4</ref>.
La presenza di una lingua franca condivisa da chi proveniva da regioni diverse dell'[[Italia]] potrebbe essere il risultato del ''dialect levelling'' (livellamento dialettale) grazie al quale la grande varietà di dialetti converge verso una forma comune. Alcuni esempi lessicali sono l'utilizzo di 'scudo' (probabilmente risalente ai primi immigrati dall'Italia poco dopo l'unificazione) con il significato di ‘dollaro', oppure pezzo/pezza usati con il medesimo significato (che si riferisce all'usanza di tagliare le monete d'oro in parti uguali, ognuno con valore di un dollaro<ref>Di Pietro R., «Bilinguismo e italiano come lingua seconda negli Stati Uniti», in ''Il veltro'', 1986, p. 16</ref>).
La lingua franca italo-americana si distingue per la prevalenza di caratteristiche dialettali sugli [[anglicismi]] e sui tratti popolari<ref>Hermann W.Haller, ''Una lingua perduta e ritrovata. L’italiano degli italo-americani'', Firenze: La Nuova Italia, 1993, p.8</ref>. Il suo utilizzo varia a seconda di fattori come età, generazione, sesso, livello di scolarizzazione, inserimento sociale, itinerario migratorio<ref>Dalla voce [http://www.treccani.it/enciclopedia/italoamericano_(Enciclopedia-dell'Italiano)/ ''Italoamericano''], in Treccani.it, URL consultato il 18/12/2014</ref>.