Pianoforte: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Riga 44:
Il pianoforte non ebbe successo in Italia, ma l'idea finì molti anni dopo in [[Germania]], dove il costruttore di organi [[Gottfried Silbermann]] nel [[1726]] ricostruì una copia esatta del pianoforte di Cristofori, che sottopose al parere di [[Johann Sebastian Bach]], il quale ne diede un giudizio fortemente critico; successivamente, probabilmente a seguito dei miglioramenti tecnici apportati da Silbermann, lo stesso Bach risulta però aver personalmente favorito la vendita di alcuni pianoforti del costruttore, come risulta da un vero e proprio contratto di intermediazione firmato nel 1749. I pianoforti di Silbermann piacquero molto a [[Federico II di Prussia]], che per arricchire i propri palazzi ne comprò sette per 700 talleri (secondo la testimonianza di [[Johann Nikolaus Forkel]], Federico acquistò negli anni più di 15 pianoforti Silbermann).
 
Alla bottega di [[Gottfried Silbermann]] si formò [[Johann Andreas Stein]], che dopo essersi reso indipendente perfezionò ad [[Augusta]], in un proprio stabilimento, i sistemi dello scappamento e degli smorzatori. Nel [[1777]] ricevette la visita di [[Wolfgang Amadeus Mozart]], il quale fu entusiasta delle infinite possibilità espressive dello strumento. I figli di Stein si trasferirono in seguito a [[Vienna]], dove crearono una fabbrica di pianoforti.
 
In Italia tra i non molti che si dedicarono alla costruzione dei pianoforti (in precedenza tutti costruttori di clavicembali) nel periodo napoleonico e della [[Restaurazione]] sicuramente fu degna di fama la famiglia Cresci, di origine pisana, trasferitasi nella seconda metà del '700 a [[Livorno]]. Il musicologo [[Carlo Gervasoni]] nel sua opera ''Nuova teoria di musica ricavata dall'odierna pratica, ossia (...)'' del 1812 menziona i pianoforti Cresci come paragonabili in qualità e sonorità agli ErardÉrard francesi che andavano per la maggiore nella capitale imperiale Parigi.
 
La meccanica dei Cresci era di tipo viennese, cioè del tipo dei pianoforti di Joseph BohmBöhm, Conrad Graf e Johann Schantz. La scuola viennese era sicuramente la più importante e sviluppata tra gli ultimi decenni del '700 ede i primi dell'800.
 
Non fu un caso che sia Mozart, che Beethoven o Franz Joseph Haydn, tutti in qualche modo collegatilegati a Vienna, svilupparono per primi le incredibili potenzialità del nuovo strumento. Quello che frenava la diffusione del pianoforte nascente era il suo altissimo costo, per cui andò affermandosi solo nelle corti reali, nei palazzi governativi e nei saloni delle principali famiglie nobili. Inoltre il suo livello sonoro non era neppure paragonabile all'attuale e questo permetteva un uso in salotti o saloni di dimensioni relativamente contenute.
 
Fu in epoca romantica, dal 1840 in poi, che l'utilizzo di strutture rigide metalliche all'interno (in precedenza erano quasi tutti interamente in legno) con funzioni di telaio consentì l'incremento della sonorità grazie a più corde con tensioni maggiori e casse armoniche più grandi (ed andarono affermandosi i "coda" e "gran coda" che all'epoca andavano da cm 220 a 260 cm). E anche il peso passò dai 180/200 kg (quellistruttura interamente in legno) ai 300/400 (quelli con strutture in ferro) sino ai 600 ed oltre di inizio '900 (quelli con strutture in ghisa).
 
Questo incremento della potenza sonora del pianoforte ne consentì l'uso nei grandi teatri o nelle sale da concerto ma trasformò profondamente la sua qualità sonora.
 
Ascoltare un brano di Beethoven suonato con un pianoforte viennese della sua epoca o Liszt e Chopin con un ErardÉrard o Pleyel del periodo romantico ci permette di comprendere veramente cosa volesse esprimere il compositore. Farlo con uno moderno ci conduce ad una reinterpretazione.
 
Il pianoforte attuale, apparso sul finire del XIX secolo, ha ben poco della timbrica originale di inizio <nowiki>'800. Oggi Moltoè spessomolto attualmentediffuso ichiamare pianoforti"fortepiani" antichigli (quellistrumenti costruiti sino al 3° quarto dell''800) sonoa chiamaticausa "fortepiani"della pergrande distinguerlidiversità dadella quellistruttura timbricamentee moderniquindi del timbro del suono rispetto al pianoforte attuale. Non Questaè tuttavia èsempre un'operazionefacile tantodistinguere diffusanettamente quantofra arbitrarial'uno poichée lal'altro meccanicaperché deinon pianofortisi ètratta andatadi perfezionandosidue strumenti diversi, ma nondel èmedesimo maistrumento cambiatache edha subito gradualmente una profonda evoluzione, tanto più che all'</nowiki>epoca furono (comenon si rilevaè facilmentemai daisentito documentiun evero daimomento testi)di universalmentestacco chiamatinel comepassaggio oggi.dal Sarebbefortepiano piùal correttopianoforte parlaremoderno, dicome pianofortisi antichipuò facilmente desumere dai documenti e modernidai testi.
 
I primi "pianoforti verticali", più economici e meno ingombranti, furono creati forse nel [[1780]] da Johann Schmidt di [[Salisburgo]] e nel [[1789]] da William Southwell di [[Dublino]].
 
I costruttori francesi più famosi, [[Sébastien Érard]] e [[Ignace Pleyel]], furono i più grandi produttori di pianoforti dell'[[Ottocento]]. L' Érard in particolare era uno strumento di grande potenza sonora e di suono deciso e potremmo dire "più moderno" che dava particolare risalto espressivo. Franz Liszt ne fece il suo preferito. Ad Érard si devono moltissime invenzioni e perfezionamenti tra cui quella del doppio scappamento. Il Pleyel invece aveva una grande dolcezza e pulizia sonora, era relativamente più faticoso e difficile da suonare perché permetteva molte sfumature interpretative ed aveva una maggiore sensibilità. Era il pianoforte romantico per eccellenza. Chopin ne fece il suo preferito (sebbene si narra che quando era stanco suonasse l'Érard perché il Pleyel "gli chiedeva troppo..").
 
Nel 1861 i torinesi [[Luigi Caldera]] e Ludovico Montù inventarono il melopiano, ovvero un pianoforte dotato di motore con carica a manovella.<ref>[http://www.lastampa.it/2012/01/22/cronaca/costume/torino-ogni-giornoquindici-invenzioni-zpuhd37uKmrILQoTS5vpcK/pagina.html La Stampa - Torino, ogni giorno quindici invenzioni<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref>