Ca' d'Oro: differenze tra le versioni
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Nel cantiere veneziano lavorarono contemporaneamente due diverse botteghe, la cui impronta è riconoscibile nella varietà degli apparati decorativi: quella guidata da [[Matteo Raverti]], nella quale erano attive maestranze provenienti dal comasco, e quella guidata da [[Giovanni Bono]] e dal figlio [[Bartolomeo Bono|Bartolomeo]], composta quasi esclusivamente da maestranze venete. Anche se le due botteghe lavorarono contemporaneamente, alcune incongruenze negli apparati decorativi fanno pensare che esse operassero per lo più separate, anche se dirette dal programma di massima del committente.
Matteo Raverti era noto per lo più per aver lavorato nel cantiere del [[Duomo di Milano]], in cui realizzò numerose sculture di pregio, in particolare quella di San Babila. Già nel 1410 si trovava probabilmente a Venezia, dove lavorò alla decorazione della facciata del [[Palazzo Ducale (Venezia)|Palazzo Ducale]] e al coronamento della Cappella Ducale. Sempre a lui sono attribuite alcune sculture presenti in diverse chiese veneziane, oltre alla tomba Borromeo nella [[Chiesa di Sant'Elena (Venezia)|chiesa di Sant'Elena]], purtroppo andata perduta. Giovanni e Bartolomeo Bono lavorarono con la loro bottega come costruttori e scultori in numerose fabbriche veneziane, anche se il lavoro più noto fu sicuramente la facciata di Palazzo Ducale nella quale si adoperarono insieme ad altri maestri, in particolare viene a loro attribuita la [[Palazzo Ducale (Venezia)#Porta della Carta|Porta della Carta]]. Pregevoli opere di Bartolomeo sono anche i portali delle [[Chiesa della Madonna dell'Orto|chiese di Santa Maria dell'Orto]] e dei [[Basilica dei Santi Giovanni e Paolo (Venezia)|Santi Giovanni e Paolo]].
Nel cantiere della ca' d'Oro lavorò pure un noto pittore francese che visse a lungo a Venezia, Zuanne de Franza, che nel 1431 venne incaricato di rafforzare con il colore i marmi e le pietre, e di sottolineare ogni elemento con l'oro, il rosso, il blu e il nero. Del suo lavoro oggi non rimane più nulla, cancellato dal logorio del tempo o dai restauri. Al pittore venne affidato anche il compito di decorare tre sale interne, ma anche questo lavoro è andato perduto.
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Il manufatto rimase di proprietà della famiglia Contarini sino alle nipoti di Marino, dopodiché subì numerosi cambi di proprietari, che operarono numerosi rifacimenti delle suddivisioni interne e vari altri rimaneggiamenti. L'edificio fu inoltre ampliato con l'acquisizione di alcuni fabbricati sul retro e di alcune stanze nell'edificio di fianco. A metà Ottocento l'edificio venne quindi restaurato dell'ingegner [[Giovan Battista Meduna]] per volere del proprietario di allora, Alessandro Trubetzkoi, ma subì un ulteriore restauro pochi anni dopo a seguito di un nuovo cambio di proprietà.
Sul finire dell'Ottocento la casa divenne proprietà del barone [[Giorgio Franchetti]], a seguito di un notevole esborso di 170.000 [[Lira italiana|lire]]: il barone volle intraprendere un attento restauro filologico dell'edificio, tentando di riportarlo il più possibile vicino alla morfologia quattrocentesca, ma nel 1916 Franchetti stipulò con lo Stato Italiano un accordo nel quale si impegnò a cedere il palazzo al termine dei lavori in cambio della loro copertura finanziaria. Questi restauri furono piuttosto scrupolosi, anche se non poterono, ovviamente, restituire il palazzo nel suo aspetto originario, inoltre alcune parti sono delle ricostruzioni difficilmente giudicabili, in particolare la scala del cortile e il portale che fa da ingresso sul rio. Tra i lavori che fece eseguire vi fu pure la demolizione di sovrastrutture in facciata, la riapertura delle finestre quadrate, e la realizzazione ex novo dei pavimenti con disegni ispirati a quelli originali perduti. Il barone fece collocare all'interno alcune opere d'arte appartenenti alla sua collezione, era infatti nel suo volere che l'edificio divenisse un museo, perdendo la sua funzione di abitazione civile. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1922, furono quindi conclusi i lavori di restauro e il 18 gennaio del 1927 venne inaugurata la Galleria che prende il suo nome.
== Descrizione ==
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La facciata si caratterizza per la marcata asimmetrica tra la parte sinistra, in cui si sovrappongono tre fasce traforate (portico per l'attracco delle barche al piano terra e loggiati ai piani superiori), e l'ala destra, in cui prevale la muratura rivestita di marmi pregiati con singole aperture quadrate isolate; la causa di tale specificità è da attribuirsi alle ridotte dimensioni del lotto, che non hanno permesso la realizzazione dell'ala sinistra dell'edificio. Tra la parte sinistra e quella destra della facciata è stato inserito un [[fregio]] proveniente dalla precedente abitazione dei Zeno. L'unico elemento che da continuità alla facciata, condizionandola e dominandola, è il grande [[cornicione]] con la soprastante [[merlatura]]. A chiuderla ai lati sono presenti triple [[Colonna tortile|colonnine tortili]] che formano come dei codoni sugli spigoli della facciata, completamente slegati però dal coronamento.
Il portico al pian terreno è aperto con cinque grandi archi sull'acqua, con quello centrale dilatato rispetto agli altri, tanto da risultare a sesto ribassato, riprendendo i portici di origine bizantina. Esso è una reminescenza della duecentesca casa degli Zeno, e non presenta nessuna novità di rilievo. Tra il portico sull'acqua e quello interno si trova una quadrifora di notevole interesse, opera di Giovanni Bono: doppie colonne tortili separano le aperture; in asse con le colonne, sopra di esse, dei trafori a croce; sull'estradosso degli archi delle aperture due [[Quadrilobo|quadrilobi]]. Al piano superiore la loggia del Reverti, composta da
=== Il pavimento marmoreo ===
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