Consulta araldica: differenze tra le versioni
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La [[Repubblica Italiana]] nel [[1948]], con l'entrata in vigore della XIV disposizione transitoria e finale della [[Costituzione della Repubblica Italiana|Costituzione italiana]], avendo disconosciuti i [[Titolo nobiliare|titoli nobiliari]], ha reso inoperante tutta l'organizzazione araldica, quindi anche la Consulta e la Giunta non si sono più riunite e non hanno più assunto deliberazioni. La XIV disposizione transitoria e finale summenzionata dice testualmente "''la [[legge]] regola la soppressione della Consulta Araldica''", dal che parrebbe, secondo una diffusa interpretazione<ref>parere 13-III-1950, n. 174, del Consiglio di Stato</ref>, che la Consulta araldica e gli organi ad essa correlati esisterebbero ancora formalmente, pur non avendo più titolo e possibilità di funzionamento. Nell'ambito del riconoscimento dei predicati e dei titoli nobiliari interveniva, a modificare totalmente l'anteriore situazione giuridica, la sentenza 26-VI-1967, n. 101 Corte Costituzionale, la quale, nel suo dispositivo, dichiarava ''"illegittimità costituzionale"'' di tutta la legislazione araldico-nobiliare italiana susseguitasi dal [[1887]] al [[1943]]. Il d.l. 112/2008 (conv. in l. 133/2008) ed il d.lgs. 66/2010 hanno espressamente abrogato, rispettivamente, il r.d. 651/1943 ed il r.d. 652/1943, che regolavano i titoli nobiliari e la Consulta araldica. Dunque, ora non è più in vigore alcuna disposizione relativa a detta Consulta.
Abolita quindi la Consulta araldica, esiste solo un ''Ufficio Onorificenze e Araldica pubblica'' del Dipartimento del Cerimoniale di Stato della Presidenza del Consiglio dei ministri che si occupa della concessione di [[emblema|emblemi]] ([[stemma|stemmi]], [[gonfalone|gonfaloni]], [[bandiera|bandiere]], [[sigillo (oggetto)|sigilli]]) ai [[
Non vi è più quindi in Italia un ente ufficiale che si occupi di tutelare i titoli nobiliari come in precedenza la Consulta Araldica, né può esservi visto che i titoli nobiliari «non costituiscono contenuto di un diritto e, più ampiamente, non conservano alcuna rilevanza»<ref>Corte Costituzionale, sentenza n. 101 del 26 giugno 1967</ref>.
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