Suicidio nell'antica Roma: differenze tra le versioni

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Il '''suicidio nell'antica Roma''' era considerato come la massima espressione della libertà personale.
==Il suicidio secondo il Diritto romano==
Mentre nella cultura antica greca il suicidio era legittimato solo nel caso riguardasse personaggi esemplari che si trovassero in situazioni particolari, nella tradizione romana era considerato un diritto appartenente a ogni cittadino romano che, pur avendo numerosi obblighi nei confronti dello Stato, in caso fallisse il proprio suicidio non doveva rispondere alla legge che non lo prevedeva affatto poiché la vita era stimata come un bene supremo ma legato al diritto privato della persona che poteva farne ciò che voleva senza risponderne a nessun altro <ref>Ove non indicato diversamente, le informazioni contenute in questa voce hanno come fonte: [[Paul Veyne]], ''La società romana'', Laterza.Roma-Bari 1990</ref>.
[[File:Manuel Domínguez Sánchez - El suicidio de Séneca.jpg|300px|thumb|Manuel Domínguez Sánchez, ''Il suicidio di Seneca'', 1871, ''Museo Nacional del Prado'', Madrid]]
Il diritto romano interveniva infatti quando sorgesse un conflitto di interessi tra individui che ricorrevano alla legge affinché fossero regolati secondo giustizia. Se, per un verso, il diritto romano non riconosceva particolari libertà ai cittadini, per un altro, non interveniva se non quando venisse danneggiato l'interesse di qualcuno. Il suicidio acquista allora allora la fisionomia di una libertà del cittadino poiché la legge non interviene a proibirlo. Quando infine i giuristi romani in età imperiale si interessano del suicidio si limitano a definirlo una "libertà naturale" <ref>Antonio Parrino, ''I diritti umani nel processo della loro determinazione storico-politica'', GAIA srl - Edizioni Univ. Romane, 2007 p.25</ref> enumerando tutti i vari motivi che possono indurre al suicidio come per sofferenze fisiche o disgusto di vivere (''taedium vivere''), per follia o «ostentazione, come nel caso di certi filosofi» che vogliono mostrare il loro disprezzo per la morte, per lutti familiari o per malattia ma confermando sempre che si tratta di un aspetto che non riguarda la legge.
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Su tutti i motivi che portano al suicidio vi è in evidenza per i Romani anche quello della "morte opportuna" per cui invece che attendere la morte passivamente, liberamente si decide di anticiparla suicidandosi:
{{quote|...tra tutti i beni che la natura offre agli uomini nessuno è migliore della morte tempestiva...||...ex omnibus bonis, quae homini tribuit natura, nullum melius esse tempestiva morte...<ref>[[Plinio il Vecchio]], ''Naturalis Historia'', XXVIII, 1-14</ref>|lingua=la}}
 
==Il suicidio degli schiavi==
Tutto questo valeva per gli uomini liberi. Diverso l'atteggiamento del diritto nei confronti del suicidio dello schiavo, atto che viene giudicato come causato «dalla sua stessa ''nequitia''» <ref>[[Giulio Paolo]], ''Dig. XXI, 1,43,4</ref> per cui viene definito un "cattivo schiavo", ossia "uno schiavo che non è uno schiavo", non moralmente ma nel senso che la "res" servile mostrava con il tentato suicidio un difetto nascosto che la rendeva un utensile mal funzionante tanto che il venditore era obbligato a denunciare, se non voleva incorrere nel risarcimento al compratore, anche il tentato suicidio tra gli eventuali "vitia" dell'oggetto della vendita. <ref>[[Francesco Remotti]], ''Forme di umanità'', Pearson Italia S.p.a., 2002 p.68</ref>
[[File:Ponte Fabricio Rome Pierleoni.jpg|300px|thumb|Il [[ponte Fabricio]] (62 a.C.) in Roma]]
 
==Le modalità del suicidio==
Le fonti storiche antiche ci hanno tramandato esempi di suicidi di personaggi famosi che si uccidono in vari modi ma per lo più trafiggendosi di propria mano o gettandosi sopra un pugnale tenuto da uno schiavo o tagliandosi le vene, mentre trascurano quello che avveniva ogni giorno tra la gente comune. Un'eccezione è rappresentata da Orazio che ci descrive come per un disastro finanziario abbia tentato il suicidio sventato dall'intervento del filosofo Stertinio:
 
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Mentre il ceto più alto trascurava questo modo di uccidersi come indegno della loro condizione sociale era invece frequente tra i plebei l'impiccagione, una forma semplice di uccidersi in privato che ci tramandano diverse commedie di Plauto. <ref>François Hinard, Marie-Françoise Lambert, ''La mort au quotidien dans le monde romain: actes du colloque organisé par l'Université de Paris IV (Paris-Sorbonne 7-9 octobre 1993), De Boccard, 1995 p.195</ref>
 
==Il suicidio per ''devotio''==
Una originale forma di suicidio presso i Romani era la ''devotio'' per la quale un comandante dell'[[esercito romano|esercito]] nel corso della battaglia sacrificava la sua vita come offerta agli [[dei Mani]] per ottenere, in cambio della propria vita, la salvezza e la vittoria dei suoi uomini. Sebbene questo rito fosse praticabile da qualsiasi cittadino <ref>[[Tito Livio]], ''[[Ab Urbe condita libri]]'', VIII, 10.</ref> di solito doveva essere eseguito dal [[console romano|console]] o dal [[dittatore romano]] ma in effetti lo si ritrova esclusivamente nella gens dei Decii.