Pirodiserbo: differenze tra le versioni

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L'azione del pirodiserbo è legata allo shock termico provocato sulle infestanti dal rapido passaggio della fiamma o di un'altra fonte di calore. Il principio sul quale si basa il pirodiserbo è quello di provocare il veloce innalzamento della temperatura all'interno dei tessuti della pianta da eliminare, provocando la distruzione delle membrane cellulari e la coagulazione delle proteine. Vengono in tal modo alterati i sistemi di controllo degli scambi ionici e gassosi ed i meccanismi nutritivi dei tessuti vegetali, con conseguente morte della pianta in 1-3 giorni, a seconda delle condizioni climatiche, delle specie trattate e del loro stadio fenologico.
 
Per ottimizzare tale intervento la fiamma viene regolata in modo da scottare le piante fino al [[colletto (botanica)|colletto]] in modo da impedirne la ricrescita. La devitalizzazione delle cellule vegetali si verifica, nelle piante agli stadi giovanili (cotiledonari-1 o 2 foglie), già a temperature di 90-95 °C, in un tempo di 0,1 secondi, mentre, nelle piante più sviluppate, necessita di temperature di 110-120 °C, per la durata di quasi 1 secondo. La sensibilità al calore varia, altresì, da specie a specie, in base allo stadio fenologico e alle caratteristiche morfologiche. In generale il pirodiserbo esercita un'azione molto più elevata sulle piante annuali, a foglia larga, che nelle [[graminacee]].
 
Il passaggio della fiamma è rapido, e al contrario del semplice incenerimento non brucia completamente le piante. L'efficacia dell'incenerimento d'altra parte non è elevata. Basti pensare alla pratica usata nei prati incolti di bruciare le sterpaglie rinsecchite: l'erba su tali superfici spunta più verde e rigogliosa perché concimata dalla cenere (composta soprattutto da sali minerali e azoto) e perché non resta ombreggiata dalle sterpaglie. Il pirodiserbo risolve in parte questi problemi, anche se l'efficacia di tale pratica è assai variabile in funzione della specie e dell'età della pianta.