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== Storia ==
Fino alla sistemazione definitiva della chiusa, ordinata dal cardinale
=== dal secolo XIII al XV ===
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Fino a metà del secolo XIII la chiusa era un semplice sbarramento di legno simile a una palizzata. La costituivano grossi pali di legno infissi sul fondo dell'alveo fluviale e collegati gli uni agli altri tramite traverse, ferle e funi di canapa. Non era particolarmente alta, poiché non era necessario che lo fosse per resistere a correnti e piene, e probabilmente era rinforzata da grandi massi disposti a scogliera. Si trattava di una struttura piuttosto vulnerabile, bisognosa di costanti e costose manutenzioni.
Per ovviare a tali costi, il Comune di Bologna fece costruire nel 1250 una chiusa in pietra più a monte della precedente in legno; a questo si aggiunse lo scavo del "ramus vetus", un tratto di collegamento fra la nuova struttura e il canale già esistente. Tali compiti furono gestiti da una commissione tecnica costituita dall'ingegnere Alberto, mastro Giovanni da Brescia, mastro Michele Delamusca e mastro Michele Lamandini. Il lavoro fu terminato nel 1278. Nonostante i buoni propositi, però, anche la nuova costruzione si rivelò bisognosa di frequenti manutenzioni, dovute dalle piene del fiume Reno e dall'erosione causata dalle acque.
Il 29 aprile 1310 una piena del Reno arrecò danni talmente gravi alla chiusa da impedire che l'acqua giungesse ai mulini
Nel 1317 si parla di interventi di tipo strutturale, e così anche nel 1324, anno in cui l'allora al governo cardinale Bertrando del Poggetto (Bertrand du Pouget) affidò a due frati dell'ordine degli Eremitani<ref>Si tratta di frati Agostiniani</ref>, frate Giacomo e frate Bartolomeo, la definitiva sistemazione della Chiusa. Tale lavoro venne compiuto ma ebbe vita breve. Nel 1325, infatti, a seguito della [[battaglia di Zappolino]], Passerino Buonacossa devastò il territorio casalecchiese e, in quella stessa occasione, molto probabilmente aiutato da una violenta piena del fiume, rovinò anche la chiusa, così da privare Bologna dell'acqua.
I ruderi della chiusa distrutta da Buonacossa sono oggi ancora visibili a valle della Chiusa attuale. Sono localmente chiamati "il Pracinino" (dal termine dialettale "Prè-zinèn", ovvero "prato piccolo") e "i Masgnòn" (i Macignoni). Osservandoli, è chiaramente visibile la composizione della chiusa: un conglomerato di pietre e sassi legati da calce e ricoperti, su almeno parte dello scivolo della chiusa, da pietra ofiolitica. Si notano anche segni di una struttura di travi lignee, probabilmente impiegata per la sopraelevazione delle parti superiori della chiusa, e, nella calce, tracce di carbonella, che fanno pensare a fuochi accesi dagli operai nei momenti di sosta. La chiusa presentava gravi errori di progettazione, che la costrinsero a cadere sotto l'attacco congiunto del legato e della piena: la costruzione era eccessivamente lunga, sprovvista di elementi interni capaci di opporre resistenza a una forte pressione dell'acqua, e appoggiata direttamente sulla pietra, senza scavo di fondazione. Le sue fondamenta affondavano infatti solamente in un alto e poco solido cuscino di ghiaia.
Nella successiva ricostruzione, indetta dal Legato de Albornoz fra il 1360 e il 1363 [2 pag.28], la chiusa fu ulteriormente spostata a monte, nel sito in cui ancora oggi si trova. Seguirono miglioramenti, aggiustamenti e rinforzi.
Fino alla fine del XV secolo non vi fu un organo specifico a cui erano affidate le manutenzioni ordinarie e straordinarie della chiusa. Ognuna di queste, infatti, era gestita da una commissione di mastri e ingegneri, scelti dal governo cittadino e diretti a loro volta da frati Predicatori e Minori. A partire dall'1 febbraio 1416, invece, fu obbligato allo svolgimento delle manutenzioni il Reggimento, come riportano due memoriali del XVII secolo.
== Custodi ==
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== Curiosità ==
Nella sala Farnese del palazzo comunale di Bologna
== Note ==
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