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|Gruppo6 = Informazioni generali
|Nome7 = Epoca
|Valore7 = Medioevalemedievale
|Nome8 = Lunghezza del ciglio superiore
|Valore8 = 160,45 metri
|Nome9 = Lunghezza del ciglio inferiore
|Valore9 = 138,65 metri
|Nome10 = Larghezza media
|Valore10 = 35,45 metri
|Nome11 = Soglia superiore (pedana)
|Valore11 = 0,90 metri (larghezza)
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=== Dal secolo XIII al XV ===
==== La chiusa lignea ====
Fino alla sistemazione definitiva della chiusa, ordinata dal Cardinale Legato Pontificio [[Egidio Albornoz]] dopo il 1360, i fatti e le date relativi a questatale struttura idraulica rimangono incerti e sono stati ampiamente dibattuti da storici bolognesi quali [[Leandro Alberti | Alberti]], Ghirardacci, [[Carlo Sigonio | Sigonio]], Vizzani, [[Ludovico Savioli | Savioli]] e Guidicini<ref>{{Cita|Zanotti, 2000|p. 31}}</ref>.
 
Troviamo la prima traccia documentaria relativa alla chiusa nell'anonimo manoscritto ottocentesco B 2238, conservato nella biblioteca dell'[[Archiginnasio di Bologna]]. Questo fissa già nell'anno Mille l'esistenza di una rudimentale chiusa, a cui si riferisce coi termini "Pescaja" o "Steccaia", e di un breve tratto (lungo appena qualche centinaio di metri) del canale di Reno. Tuttavia, pare ragionevole datare l'opera idraulica a un periodo più tardo, benché anteriore al 1191, anno in cui fu costruita una ramificazione del canale di Reno, per portarne l'acqua fino alla cinta muraria di Bologna<ref>Si tratta della seconda delle tre cinte murarie che Bologna ebbe nella sua storia: la cinta dei Torresotti</ref>. Tale ramificazione costeggiava via del Pratello e ne facevano uso i cosiddetti Ramisani, che devono il nome dalla loro natura di comproprietari di un ramo del Reno. I Ramisani (originariamente 41) erano riuniti in un consorzio e si occupavano delle spese di mantenimento di canale e chiusa.
 
Non è certo chia fuchi coinvoltoappartenne nelll'operainiziativa di costruzionecostruire dellala chiusa, ma una possibile ipotesi vede i Canonici Renani, appartenenti alla Canonica di S. Maria del Reno (fondata nel 1130), che erano dotati dei mezzi economici, organizzativi e tecnici necessari per tale impresa. Sicuro è, invece, che in origine la chiusa era una costruzione modesta, collocata in un punto non ricostruibile con precisione<ref>Ne è causa il fatto che, col passare dei secoli, i livelli del letto del Reno si sono vistosamente modificati.</ref> e successivamente migliorata e ampliata in base alle funzioni e alle potenzialità che con il passare degli anni le erano richieste.
Il 29 maggio 1208 il consorzio dei Ramisani cedette al Comune di Bologna i diritti sull'acqua superflua alle loro lavorazioni, come è riportato nel relativo atto, rogato dal notaio Giovanni Canova e conservato attualmente nel "Registro Grosso", presso l'Archivio di Stato di Bologna. Fra i Ramisani sottoscrittori compaiono nomi appartenenti alla nobiltà feudale, altri d'origine mercantilimercantile, altri ancora legati all'ambiente universitario.
 
Fino aalla metà del secolo XIII la chiusa era un semplice sbarramento di legno simile a una palizzata. La costituivano grossi pali di legno infissi sul fondo dell'alveo fluviale, e collegati gli uni agli altri tramite traverse, ferle e funi di canapa. Non era particolarmente alta e probabilmente era rinforzata da grandi massi disposti a scogliera. Si trattava di una struttura piuttosto vulnerabile, bisognosa di costanti e costose manutenzioni.
 
==== La prima chiusa in pietra ====
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Il 29 aprile 1310 una piena del Reno arrecò danni talmente gravi alla chiusa da romperla e lasciare a secco il canale, impedendo dunque che l'acqua giungesse ai mulini bolognesi. Le necessarie operazioni di ripristino, in atto già il giungo seguente, furono supervisionate dai frati Predicatori e Minori <ref>Rispettivamente, frati Domenicani e Francescani</ref>, a cui il Comune di Bologna decise di affidare il complesso chiusa-canale. Episodi come questi non erano inusuali, sopratutto nel primo trentennio del Trecento; non risulta tuttavia possibile ricostruire esattamente il numero e i dettagli degli interventi effettuati per via delle versioni contrastanti dei fatti fornite da cronache e studi<ref>Per approfondire: {{Cita|Zanotti, 2000}}</ref>.
 
Nel 1317 si parla di interventi di tipo strutturale, e così anche nel 1324, anno in cui l'allora al governo Cardinale [[Bertrando del Poggetto]] affidò a due frati dell'ordine degli Eremitani<ref>Frati Agostiniani</ref>, frate Giacomo e frate Bartolomeo, una sistemazione della chiusa che intendeva essere definitiva. Tale lavoro venne compiuto ma, al contrario delle aspettative, ebbe vita breve. Nel 1325, infatti, a seguito della [[battaglia di Zappolino]], le truppe di [[Rinaldo dei Bonacolsi | Passerino BuonacossaBonacolsi]] devastòdevastarono il territorio casalecchiese e, in quella stessa occasione, moltorovinarono probabilmenteanche aiutatola dachiusa, unaprivando violentacosì pienaBologna deldell'acqua<ref>{{Cita|Clerici, 2011|p. 25}}</ref>. L'effettivo coinvolgimento di Bonacolsi non è tuttavia fiumecerto, rovinòma solo probabile; i danni potrebbero anche lasolo chiusa,essere privandofrutto cosìdi Bolognauna dell'acquaviolenta piena del Reno<ref>{{Cita|Zanotti, 2000|p. 40}}</ref>.
 
I ruderi della chiusa distrutta da BuonacossaBonacolsi sono oggi ancora visibili a valle della chiusa attuale. Fino al 1985 erano ben più numerosi, ma in quell'anno furono in parte distrutti per un malinteso riguardante la sistemazione del fiume. I resti sono localmente chiamati "il Pracinino" (dal termine dialettale "''Prè-zinèn''", ovvero "prato piccolo") e "''i Masgnòn''" (i Macignoni). Osservandoli, è possibile inferire che la strutturachiusa era un conglomerato di pietre e sassi legati da calce e ricoperti, su almeno parte dello scivolo della chiusastruttura, da pietra ofiolitica. Si notano anche i segni di una struttura di travi lignee, probabilmente impiegata per la sopraelevazione delle parti superiori della chiusa, e, nella calce, delle tracce di carbonella, che fanno pensare a fuochi accesi dagli operai nei momenti di sosta. La chiusa presentava gravi errori di progettazione, che la costrinsero a cadere sotto l'attacco congiunto di Buonacossa e dellanel piena1325: la costruzione era eccessivamente lunga, sprovvista di elementi interni capaci di opporre resistenza a una forte pressione dell'acqua, e appoggiata direttamente sulla pietra, senza scavo di fondazione. Le sue fondamenta affondavano infatti solamente in un alto e poco solido cuscino di ghiaia.
 
==== La seconda chiusa in pietra ====
Nella successiva ricostruzione, indetta dal Legato Albornoz fra il 1360 e il 1363<ref>{{Cita|Chierici, 2011|p. 28}}</ref>, la chiusa fu ulteriormente spostata a monte di 200 metri, nel sito in cui ancora oggi si trova, per sfruttare il naturale maggiore dislivello del terreno. Questa fu la sistemazione spaziale definitiva dell'impianto, che ancora oggi occupa quel sito; seguirono solo miglioramenti, aggiustamenti e rinforzi. Nedella èstruttura. unPer esempio, laGuglielmo da Siena apportò correzionedelle correzioni alla chiusa e al canale apportata da Guglielmo da Siena nel 1403. La chiusa di Casalecchio, così come il canale di Reno, può essere considerata campo di confronto per gli ingegneri idraulici bolognesi che, a ogni intervento, hanno studiato gli errori del passato per evitarne la ripetizione.
 
=== Dal secolo XVI al XVII ===
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=== Dal secolo XVIII a oggi ===
Si giunse quasi alla fine del XIX secolo senza che la chiusa subisse ulteriori danni di grave entità: solo nel 1763 e 1790 si resero necessarie alcune riparazioni, che non posero però grandi difficoltà. L'avvenimento che maggiormente segnò la storia della chiusa di questiquesto due secoliperiodo si presentò proprio sul finire del secolo: negli ultimi giorni del settembre del 1893 un violento nubifragio abbattutosi sul bacino del Reno provocò una piena di eccezionale entità, che fu causa di una grave rotta del Reno il giorno 1 ottobre 1893.
 
La piena raggiunse il suo culmine alle ore 11 della mattina: l'idrometro della chiusa segnò 4,70 m sullo zero idrometrico e una portata di 2200 m³/sec, quota senza precedenti. L'onda della piena travolse case e animali e fece saltare il muro di protezione della sponda sinistra del fiume. L'acqua abbandonò così l'alveo del fiume, lasciando a secco la chiusa e il canale e causando il blocco di tutta l'industria bolognese.
 
Il giorno 7 ottobre le autorità cittadine si recarono presso la Chiusachiusa per valutare i danni e decidere come procedere per riportare d'urgenza l'acqua nel canale, affinché le imprese bolognesi potessero riprendere la loro consueta attività, e sistemare poi definitivamente la danneggiata sponda sinistra che aveva subito ildel dannofiume. I provvedimenti che la civica amministrazione decise d'intraprendere furono illustrati il 20 dicembre 1893 al sindaco Luigi Tacconi e al Consiglio Comunale di Casalecchio dal presidente della provincia Giuseppe Bacchelli, che assicurò che la Provincia stessa si sarebbe assunta gli oneri della spesa grazie a un finanziamento effettuato presso la Cassa di Risparmio di Bologna.
 
Il 16 gennaio 1894 furono stipulati i contratti d'appalto e due giorni dopo iniziarono i lavori, salvo essere interrotti per una nuova piena del fiume e riprendere il giorno 23 gennaio, 114 giorni dopo la rotta. Il cantiere fu diretto dall'ingegnere Giuseppe Boriani, su un progetto presentato al Consiglio Provinciale l'8 gennaio.
 
La notizia dell'avvio dei lavori richiamò a Casalecchio un gran numero di disoccupati, provenienti da vicino e da lontano e in cerca di impiego. I braccianti locali, che si erano illusi di aver trovato un lavoro redditizio e sicuro per molto tempo, li accolsero con diffidenza. Vista l'urgenza di portare a termine in fretta i lavori, la manodopera richiesta era molta e anche i forestieri furono assunti. Ciò non mancò di causare tumulti che richiesero l'intervento dei Reali Carabinieri e il cantiere prese l'avvio con la vigilanza della forza pubblica.
 
Il primo intervento consistette nel ricondurre il fiume al vecchio alveo. A tale scopo, furono collocati contenitori in rete metallica riempiti di sassi, detti "burghe" e prodotti dalla ditta Maccaferri, lungo la sponda sinistra del fiume. Tale fila di burghe fu subito rinforzata dalla costruzione di una diga di 252 m di lunghezza, addossata alle burghe già disposte. La diga era formata quasi interamente da ulteriori burghe del volume di 3-4 m³ e, per la parte restante, da sacchi di tela di iuta riempiti di terra per minimizzare la quantità d'acqua che riusciva a filtrare attraverso le burghe. Inoltre, a monte della diga e come sua prosecuzione lungo la sponda dell'alveo fluviale, fu costruito un repellente per deviare ulteriormente la corrente fluviale. Il repellente era lungo circa 100 m, formato da un nucleo di terra vegetale e rivestito su fianchi e sommità da gradoni di burghe, che furono collocate in numero maggiore sul lato verso il fiume al fine di proteggere maggiormente il repellente contro la corrente fluviale. Oggigiorno il repellente è coperto da terreno vegetale.
 
Riportato il Reno nel suo letto e al canale, i lavori si rivolsero alla costruzione di un argine di chiusura della rotta, lungo 102 m e alto 7 m. Ancora una volta, si ricorse a un nucleo di terra vegetale rivestito con burghe disposte a gradoni e, nella scarpata verso il fiume, anche con sacchi di terra protetti da una rete metallica. L'argine fuera collegato, alla sua destra, con la diga precedentemente costruita.
 
In totale furono impiegate 2900 burghe, che finirono per suscitare interesse anche negli ambienti scientifici universitari.
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Nella gestione della acque era fondamentale la figura del custode, o intendente, della Chiusa, che aveva il compito di interpretare i segnali dati dal fiume e di prevedere l'arrivo e la portata delle piene. Visto il potere che aveva sul corretto flusso di energia necessario per il funzionamento delle industrie bolognesi, nucleo vitale dell'economia del territorio, veniva considerato una delle maggiori autorità. La sua importanza era tale che nei cortei legati a rilevanti cerimonie pubbliche era solita sfilare una sua controfigura con un'uniforme di gala.<ref>{{Cita|Chierici, 2011|p. 32}}</ref> Secondo l'annuale Stato delle Anime della Parrocchia di San Martino, il custode non era solito risiedere a Casalecchio.
 
Nel caso in cui minacciasse di esservi un temporale, l'intendente allertava una squadra di manovali perché regolassero il flusso d'acqua nel canale mediante pesanti paratoie di legno. Evitava così il rischio che il canale si riempisse eccessivamente portando ad allagamenti in città. L'intendente tentava inoltre di intuire, a seconda di colore e odore, da dove provenisse l'acqua delle ondaonde di piena. Acque portate da affluenti diversi, infatti, attraversavano terreni diversi.
 
=== La famiglia Chierici ===
La famiglia Chierici fu responsabile della chiusa a partire dal 1768 e rimase fedele all'incarico per duecento anni. Contravvenendo l'usanza precedente, si stanziò a Casalecchio per controllare con continuità il regime delle acque. Precisamente, i Chierici risiedettero nella Casa di Guardia del "Pracinino", costruita dall'ingegnere Ghedini nel 1829 proprio per questo scopo.
 
[[File:Pracinino-casa-custode.jpg|thumb|Casa di Guardia "Pracinino"]]
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=== UNESCO ===
Nel dicembre del 2010 L'UNESCO ha dichiarato la chiusa di Caslecchio "Patrimonio messaggero di una cultura di pace a favore dei giovani". Presso la Casa di Guardia del "Pracinino" è stata affissa, il 26 marzo 2011, una targa in ricordo del riconoscimento. Essa riporta la scritta: "L'acqua è sorgente di vita, la sua conservazione e condivisione con i vicini sono sorgenti di pace".
== Note ==