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Troviamo la prima traccia documentaria relativa alla chiusa nell'anonimo manoscritto ottocentesco B 2238, conservato nella biblioteca dell'[[Archiginnasio di Bologna]]. Questo fissa già nell'anno Mille l'esistenza di una rudimentale chiusa, a cui si riferisce coi termini "Pescaja" o "Steccaia", e di un breve tratto (lungo appena qualche centinaio di metri) del canale di Reno. Tuttavia, pare ragionevole datare l'opera idraulica a un periodo più tardo, benché anteriore al 1191, anno in cui fu costruita una ramificazione del canale di Reno per portarne l'acqua fino alla cinta muraria di Bologna<ref>Si tratta della seconda delle tre cinte murarie che Bologna ebbe nella sua storia: la cinta dei Torresotti</ref>. Tale ramificazione costeggiava via del Pratello e ne facevano uso i cosiddetti Ramisani, che devono il nome alla loro natura di comproprietari di un ramo del Reno. I Ramisani (originariamente 41) erano riuniti in un consorzio e si occupavano delle spese di mantenimento di canale e chiusa.
Non è certo a chi
Il 29 maggio 1208 il consorzio dei Ramisani cedette al Comune di Bologna i diritti sull'acqua superflua alle loro lavorazioni, come è riportato nel relativo atto, rogato dal notaio Giovanni Canova e conservato attualmente nel "Registro Grosso", presso l'Archivio di Stato di Bologna. Fra i Ramisani sottoscrittori compaiono nomi appartenenti alla nobiltà feudale, altri d'origine mercantile, altri ancora legati all'ambiente universitario.
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