Utente:Yvul/Sandbox: differenze tra le versioni

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Per ovviare a tali costi, il Comune di Bologna fece costruire nel 1250 una chiusa in pietra più a monte della precedente in legno; a questo si aggiunse lo scavo di un tratto di collegamento fra la nuova struttura e il canale già esistente, detto "''ramus vetus''". Tali compiti furono gestiti da una commissione tecnica costituita dall'ingegnere Alberto, mastro Giovanni da Brescia, mastro Michele Delamusca e mastro Michele Lamandini. Il lavoro fu terminato nel 1278. Nonostante i buoni propositi, però, anche la nuova costruzione si rivelò bisognosa di frequenti manutenzioni, dovute alle piene del fiume e all'erosione causata dalle acque. Si hanno notizie di riparazioni eseguite negli anni 1288, 1289, 1294, 1295 e 1299<ref>{{Cita|Chierici, 2011|p. 24}} e {{Cita|Zanotti, 2000|p. 39}}</ref>. Interventi di riparazione riguardano periodicamente anche la vecchia chiusa lignea, forse considerata un impianto sussidiario, che fu ritenuta non più necessaria e quasi del tutto smantellata solo nel 1309.
 
Il 29 aprile 1310 una piena del Reno arrecò danni talmente gravi alla chiusa da romperla e lasciare a secco il canale, impedendo dunque che l'acqua giungesse ai mulini bolognesi. Le necessarie operazioni di ripristino, in atto già il giugno seguente, furono supervisionate dai frati Predicatori e Minori <ref>Rispettivamente, frati Domenicani e Francescani</ref>, a cui il Comune di Bologna decise di affidare il complesso chiusa-canale. Episodi come questi non erano inusuali, sopratutto nel primo trentennio del Trecento; non risulta tuttavia possibile ricostruire esattamente il numero e i dettagli degli interventi effettuati per via delle versioni contrastanti dei fatti fornite da cronache e studi<ref>Per approfondire: {{Cita|Zanotti, 2000}}</ref>.
 
Nel 1317 si parla di interventi di tipo strutturale, e così anche nel 1324, anno in cui l'allora al governo Cardinale [[Bertrando del Poggetto]] affidò a due frati dell'ordine degli Eremitani<ref>Frati Agostiniani</ref>, frate Giacomo e frate Bartolomeo, una sistemazione della chiusa che intendeva essere definitiva. Tale lavoro venne compiuto ma, al contrario delle aspettative, ebbe vita breve. Nel 1325, infatti, a seguito della [[battaglia di Zappolino]], le truppe di [[Rinaldo dei Bonacolsi | Passerino Bonacolsi]] devastarono il territorio casalecchiese e, in quella stessa occasione, rovinarono anche la chiusa, privando così Bologna dell'acqua<ref>{{Cita|Chierici, 2011|p. 25}}</ref>. L'effettivo coinvolgimento di Bonacolsi non è tuttavia certo, ma solo probabile; i danni potrebbero anche solo essere stati frutto di una violenta piena del Reno<ref>{{Cita|Zanotti, 2000|p. 40}}</ref>.
 
I ruderi della chiusa distrutta da Bonacolsi sono oggi ancora visibili a valle della chiusa attuale. Fino al 1985 erano ben più numerosi, ma in quell'anno furono in parte distrutti per un malinteso riguardante la sistemazione del fiume. I resti sono localmente chiamati "il Pracinino" (dal termine dialettale "''Prè-zinèn''", ovvero "prato piccolo") e "''i Masgnòn''" (i Macignoni). Osservandoli, è possibile inferire che la chiusa era un conglomerato di pietre e sassi legati da calce e ricoperti, su almeno parte dello scivolo della struttura, da pietra ofiolitica. Si notano anche i segni di una struttura di travi lignee, probabilmente impiegata per la sopraelevazione delle parti superiori della chiusa, e, nella calce, delle tracce di carbonella, che fanno pensare a fuochi accesi dagli operai nei momenti di sosta. La chiusa presentava gravi errori di progettazione, che la costrinserospinsero aalla cadererovina nel 1325: la costruzione era eccessivamente lunga, sprovvista di elementi interni capaci di opporre resistenza a una forte pressione dell'acqua, e appoggiata direttamente sulla pietra, senza scavo di fondazione. Le sue fondamenta affondavano infatti solamente in un alto e poco solido cuscino di ghiaia.
 
==== La seconda chiusa in pietra ====