Francisco Goya: differenze tra le versioni
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[[File:El Quitasol.jpg|thumb|Francisco Goya, ''Il parasole'' (1777); olio su tela, 104x152 cm, museo del Prado, Madrid]]
Dopo le timide e sfortunate comparse a Madrid negli esordi, Goya ebbe modo di valutare per la prima volta i suoi orientamenti stilistici nel 1771 quando, tornato dall'Italia, affrescò la certosa di Aula Dei, nei pressi di Saragozza, con le ''Storie della Vergine''. In quest'opera - la prima significativa del pittore aragonese - egli si mostra assai sensibile alle pitture di [[Corrado Giaquinto]], impiegando una tavolozza vivace, ariosa, acquarellata e una certa uniformità tra le impaginazioni, tutte modellate sugli archetipi classici ma vivificate grazie alla disinvoltura della pennellata. Gli affreschi di Aula Dei sono tutt'altro che acerbi e marginali, anzi, vi si avverte già quella potenza drammatica che culminerà nella Quinta del Sordo; essi, tuttavia, sono «una prova lontana anni luce dal Goya maturo; se avesse seguitato a dipingere in quel modo non sarebbe mai entrato nei libri di storia dell'arte, ma è vero che sono uno spartiacque: qui è il massimo che Goya faccia entro la tradizione assimilata», come osservato da Silvia Borghesi.<ref>{{cita|Borghesi, Rocchi|p. 31|skira}}.</ref><ref>{{cita|Barilli|p. 48|RB}}.</ref>
[[File:La familia del infante don Luis.jpg|thumb|left|[[La famiglia dell'Infante Don Luis di Borbone]], 1783 - Fondazione Magnani Rocca, Parma]]
Indizi palesi di mutamenti stilistici si avvertono nel 1744, quando Goya iniziò a collaborare con la fabbrica reale degli arazzi di Santa Barbara, autentica palestra pittorica nella quale l'artista poté sperimentare nuovi linguaggi creativi sotto una copertura innocua, liberando così inibizioni e stabilendo una sorta di «griglia pittorica di base» alla quale rimase fedele per il resto della sua vita. In queste opere il Goya impiega uno stile sciolto, vitale, all'insegna della modernità, eppure molto sobrio (caratteristica, d'altronde, congeniale alle esigenze di fabbricazione degli arazzi, che richiedevano giocoforza forme semplificate e stilizzate). Il fulcro tematico di questi arazzi è invece quello del «majismo», desunto dai ''majos'' e dalle ''majas'' del folclore spagnolo e dai loro pittoreschi passatempi, capricciosamente ripresi anche dalle classi aristocratiche. Questa predilezione per le figure del popolo, d'altronde, era conforme alla destinazione finale degli arazzi, destinati a ornare le sontuose dimore dei regnanti spagnoli, i quali ovviamente preferivano temi piacevoli, distensivi, proprio come quelli proposti dal ''majismo''.<ref>{{cita|Barilli|p. 49|RB}}.</ref> È interessante, in tal senso, riportare il giudizio di Juan J. Luna, secondo il quale la maniera goyesca negli arazzi è «eminentemente pintoresca y colorista, poblada por majos y manolas y por todo tipo de gentes de rompe y rasga, chisperos, vendedores ambulantes, muchahos y niños, que se divierten, bailan o juegan en ambientes campestres, evocadores del Madrid del último cuarto del XVIII».<ref>{{cita|Borghesi, Rocchi|pp. 31-32|skira}}.</ref> Notevole, infine, anche l'indagine luministica condotta da Goya negli arazzi, che si concentra su una luce che, disintegrando i volumi in particelle molecolari, definisce lo spazio per effusione atmosferica, senza ricorrere alla prospettiva per descrivere la disposizione reciproca degli oggetti.<ref>{{cita|Serafini|p. 102|CS}}.</ref>
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