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==Nascita della Scuola==
{{Citazione|''Nel 1920, per cortese concessione delle autoritàAutorità militariMilitari, si poterono trasferire i corsi al Poligono di Artiglieria di Nettuno, con che ebbe inizio la Scuola di Malariologia in zona prossima a luoghi prossimi di malaria grave, ricca di materiale di studio, sia per l'elemento uomo malarico, sia per l'agente trasmettitore della malaria, sia per le condizioni speciali del terreno, propizio alle dimostrazioni pratiche delle condizioni che favoriscono l'infezione malarica, sia infine, per la dimostrazione di quanto si può e deve fare per la redenzione delle terre malariche.''|Romano Maggiora-Vergano, ''L'attività della scuola rurale e di profilassi antimalarica di Nettuno'', Sai, Roma 1931, p. 4. <ref>Monti, op. cit., p. 19</ref>}}
 
Conosciuta anche con le denominazioni di ''Centro Antimalarico'', ''VII Stazione Antimalarica'' e con il nome completo e ufficiale '''Scuola di Igiene Rurale e di Profilassi Antimalarica''''','' la scuola venne fondata dall'insigne sopracitato con la collaborazione dell'ex-allievo<ref name="CIAO 108">Monti, op. cit., p. 108</ref> e trovava sede in zona Acciarella. Edifici simili esistevano solamente a [[Caltanissetta]], [[Venezia]] e [[Cagliari]]. Divenne in breve tempo celebre non solo per la cura della malattia (si perfezionarono i metodi tecnici, diagnostici e terapeutici<ref>Il funzionamento della scuola viene ampiamente trattato nel libro omonimo del Professor Maggiora-Vergano.</ref>).................... ma anche per la ricerca sulle sue cause: vale la pena pensare allo studio di catalogazione svolto dai botanici nella ''Vallata del'' ''Loricina'', il cui habitat rendeva possibile studiare la flora e la fauna favorevoli all'insorgenza delle larve di Anofele. Grazie alle innumerevoli pubblicazioni di scienziati formatisi alla Scuola di Nettuno, fu possibile creare altre e numerose Scuole in zone altrettanto infestate e generare una consistente e valida lotta antimalarica<ref name="CIAO 110"/><ref> Boccini, Ciccozzi, Di Simone, Eramo, op. cit., p. 488</ref>..