Lex Varia: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
AttoBot (discussione | contributi)
m WPCleaner v1.41b - Fixed using Wikipedia:Check Wikipedia (Wikilink uguali alla propria descrizione)
Riga 18:
Nel presentare il suo primo ingresso al foro, Cicerone scrive dell'assenza di M. Antonio ([[Marco Antonio Oratore]]): dov'era? Sappiamo che egli fu a Roma in 90-89: "genu mehercule M. Antonium vidi, cum contente pro se ipse lege Varia diceret, terram tangere" <ref>Tusc. disp. II 57</ref>. L'esilio è da scartare. In modo poco convincente Scholz dice che l'assoluzione di Antonio viene prima dell'assunzione della toga virilis da parte di Cicerone; c'è incertezza sulla data dell'assunzione. Forse nel 90 Antonio era semplicemente fuori città per impegni personali; ad ogni modo, il suo processo dovrebbe appartenere ad una prima fase dell'applicazione della lex Varia.
Vario stesso fu processato per effetto della sua legge in un momento imprecisato tra la fine del 90 e l'89, come riportato da Cicerone <ref>Brut. 305</ref>, e comunque dopo che ebbe perso l'immunità giudiziaria dovuta alla sua carica di tribuno della plebe. Il processo per Vario deve essere avvenuto dopo la lex Plautia. Ma secondo altri prima. Cicerone non dà notizia di arringhe difensive poste da Vario in propria difesa; il che ha dato adito all'ipotesi che egli abbia accettato l'esilio senza opporre resistenza. Si è visto che durante la guerra le corti ordinarie erano sospese; per Badian tuttavia è plausibile supporre che, nell'ipotesi in cui esse fossero state attive, si sarebbe comunque fatto ricorso alla quaestio di Vario poiché questa aveva dimostrato, in relazione alle fattispecie del caso, di essere più efficiente delle corti ordinarie. A seguito dell'istituzione delle quaestiones, l'ira degli Italici e dei loro sostenitori si esacerbò al punto da costituire, secondo certe tesi storiografiche, il casus belli che diede inizio alla Guerra sociale; i numerosi processi, dal canto loro, avrebbero prolungato la durata del conflitto. Dal punto di vista delle corti, invece, erano proprio gli alleati degli Italici a costituire la causa, se non dello scoppio del conflitto, del suo protrarsi per oltre due anni; il che costituiva, di per sé, una ragione sufficiente per motivare la condanna nei loro confronti. Condanna che, si è visto, consisteva nel comminare solo l'esilio, non la pena capitale; ad un'attenta analisi delle fonti risulta infatti, secondo Seager, che Vario abbia avuto una morte violenta, ma senza che ne fossero specificate le circostanze. L'unica certezza in tal senso è che sia stato condannato per effetto della sua stessa legge ("Q. Vario sua lege damnatus excesserat", Brut. 305), il che spiega il suo allontanamento forzato da Roma. Secondo le tesi storiografiche prevalenti, il processo a Vario deve essersi tenuto dopo l'istituzione della lex Plautia, che alterava la lex Varia nella composizione della corte secondo gli interessi della nobiltà. Probabilmente è stato processato per aver imposto la legge con forza contro un veto. Per il processo, da quel che leggiamo in Cicerone, non possiamo escludere il 90. Tra le possibili accuse a Vario c'è proprio quella di aver causato la Guerra sociale, come riporta Cicerone: "summo cruciatu supplicioque Q. Varius, homo importunissimus, periit; si quia Drusum ferro, Metellum veneno sustulerat, illos conseruari melius fuit quam poenas sceleris Varium prendere" <ref>De natura deorum, III 81</ref>. In relazione al tema della pena inflitta a Vario, Mommsen ([[Theodor Mommsen]]) ha cambiato idea nel tempo, forse a causa dell'età (fallibilità dell'età): in giovinezza sosteneva che Vario fosse stato esiliato, in età adulta che fosse stato ucciso. Dal canto suo, Cicerone quasi sicuramente non intendeva indicare – col termine excesserat – che Vario fosse stato condannato alla pena capitale; l'ipotesi attualmente più accreditata in campo storiografico è che egli sia stato esiliato, non ucciso, e che forse sia morto durante la guerra civile.
Sempre sul tema dell'esilio in relazione alla lex Varia, Asconio scrive: "memoria teneo, cum primum senatores cum equitibus Romanis lege Plotia iudicarent, hominem dis ac nobilitati perinuisum Cn. Pompeium causam lege Varia de maiestate dixisse"; il personaggio in questione è presumibilmente Cn. Pompeo Strabo ([[Gneo Pompeo Strabone|(Gneo Pompeo Strabone]]), il cui processo dovrebbe essersi tenuto nell'88.
Ancora sul tema dell'esilio, occorre ricordare che [[Publio Sulpicio Rufo]], amico di L. Crasso ([[Marco Licinio Crasso]]) e dei Metelli ([[Caecilii Metelli]]), propose la ri-chiamata degli esuli, e nell'88, da tribuno, sostenne Mario ([[Gaio Mario]]): perché, allora, una simile proposta? Può darsi che essa fosse relativa ad esuli che nulla avevano a che vedere con l'istituto della lex Varia; è scritto, infatti, che questi esuli non avevano mai avuto un giusto processo. Ci fu poi il tentativo di riunire questi esuli con i latini e con gli italiani colpiti dalla lex Licinia Mucia del 95, che privava della cittadinanza coloro che si fossero registrati illegalmente, e dall'editto censoriale del 92 ad opera della fazione dei Metelli. Altri accusati ex lege Varia furono: M. Aemilius Scaurus ([[Marco Emilio Scauro (console 115 a.C.)]]), C. Aurelius Cotta ([[Gaio Aurelio Cotta]]), L. Mummius Achaicus ([[Lucio Mummio Acaico]]).