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L'archeologo indiano contemporaneo B. B. Lal ha notato che, sebbene le osservazioni di Jones sono stati inizialmente confinate al campo della linguistica, hanno ispirato: «Una teoria sull'esistenza di una "razza", che era stata il vettore di queste lingue verso ovest, in Europa e verso est in India. E si pensò che una qualche zona in [[Asia centrale]] fosse la "casa originale" di questi indoeuropei, anche se molti studiosi preferivano localizzarli in Russia o nel Nord Europa».<ref>B. B. Lal, ''Aryan Invasion of India: Perpetuation of a Myth'', in Edwin Bryant e Laurie Patton, eds., ''The Indo-Aryan Controversy: Evidence and Inference in Indian History'' (New York, 2005), 50–74, 50</ref> Jim Schaffer e Diane Lichtenstein osservano che: «Forse nessuna altra ipotesi degli studiosi del [[XVIII secolo]] [...] ha continuato ad influenzare in modo così forte diverse discipline come la linguistica, la storia, la biologia, l'etnologia e la scienza politica» e argomentano che: «l'eredità degli studiosi occidentali post-illuministi riguardante la storia e la preistoria dell'[[Asia meridionale]] è stata ripetuta così spesso da diventare un dogma».<ref>Jim Schaffer e Diane Lichtenstein, ''South Asian Archaeology and the Myth of Indo-Aryan Invasions'', in Bryant e Patton, ''The Indo-Aryan Controversy'', 75–104, 75–76.</ref>
Ironia della sorte, Jones, il cui lavoro diede apparente supporto scientifico alla preistoria speculativa di Bailly, era egli stesso abbastanza scettico delle audaci affermazioni di Bailly. Anche se elogiava Bailly come un «meraviglioso uomo pieno d'ingegno e uno scrittore molto vivace», Jones fu, come già detto, ben lontano dall'essere convinto dell'esistenza di una civiltà perduta nell'estremo nord, o della trasmissione della civiltà da nord a sud. Anche se aveva accettato la questione del clima, ed infatti era d'accordo con Bailly sul graduale raffreddamento della Terra, Jones sosteneva che la barbarie delle popolazioni dei [[Tartari]] dell'[[Asia centrale]] rendeva di fatto insostenibile la teoria di una trasmissione da nord a sud della cultura. Jones scrisse che l'ipotesi di Bailly ignorava il fatto di «una differenza immemorabile e totale tra i selvaggi delle montagne, come infatti gli antichi cinesi chiamavano giustamente
Tartari, e gli studiosi, placidi e contemplativi abitanti delle pianure indiane». Jones respingeva anche l'argomento di Bailly secondo cui il sanscrito, «di cui egli dà un resoconto più che erroneo», «fu la prova dell'esistenza di un'antica civiltà perduta originaria del nord».<ref>Jones, ''Dissertations and Miscellaneous Pieces'', 116–17.</ref>
Lo storico Thomas Trautmann osserva che Jones approcciò lo studio dell'antica [[India]] da ipotesi epistemologiche molto diverse da quelle dei ''philosophes'' francesi [[Voltaire]] e [[Bailly]]. Mentre Voltaire era attratto dall'India per il potenziale che l'antica storia indiana aveva di confutare il racconto della Genesi e mentre Bailly aveva incorniciato la sua Atlantide Nordica alternativa all'Eden biblico, Jones, come la maggior parte dei suoi connazionali britannici fino alla metà del [[XIX secolo]], continuò ad operare all'interno di quello che lo stesso Trautmann chiama «etnologia mosaica», che cercava di conciliare la disciplina nascente dell'[[orientalismo]] con le [[Sacre Scritture]] tracciando la discesa di tutti i popoli del mondo antico dai tre figli di [[Noè]]. Trautmann sostiene che l'interpretazione prevalente di Jones, come pioniere della linguistica comparata e del "mito ariano", oscura il progetto di altri che, prima di lui, «volevano formare una difesa razionale della Bibbia dai materiali raccolti dagli studiosi orientalisti».<ref></ref> Per questo motivo, Jones non poteva accettare l'estesa linea temporale di Bailly per la civiltà umana, né il suo rifiuto dell'Eden a favore di Atlantide.<ref>Trautmann, ''Aryans and British India'', 42.</ref>
La leggenda di una preistorica civiltà, di lingua sanscrita, origine dell'umanità, suggerita dai lavori di Bailly e Jones, fu resa popolare nei primi anni del [[XIX secolo]] dal filosofo tedesco [[Friedrich Schlegel]]. Schlegel, che aveva studiato il [[sanscrito]] a Parigi con l'orientalista britannico [[Alexander Hamilton]] nel periodo tra [[1803]] e il [[1804]], comparando la scoperta degli antichi testi [[Veda]] con la rinascita della cultura classica nel [[XV secolo]] in Italia, sostenendo che questo «Rinascimento Orientale [...] non avrebbe avuto minore influenza sulla sfera dell'intelligenza europea [rispetto a quello italano]».<ref>Friedrich Schlegel, “On the Language and Philosophy of the Indians,” trad. E. J. Millington, in ''The Aesthetic and Miscellaneous Works of Friedrich von Schlegel'' (London: George Bell, 1875), 425–526, 427.</ref> Schlegel affermò che il sanscrito non solo era legato al greco e latino, come Jones aveva sostenuto, ma che fosse «di maggiore antichità» rispetto ad entrambi, e confrontò la diffusione delle lingue derivate dal sanscrito in Europa e in Asia alle lingue romanze dal Mediterraneo al contemporaneo nuovo mondo.<ref>Schlegel, ''On the Language and Philosophy of the Indians'', 456, 506.</ref>
Perhaps most importantly, it was Schlegel who popularized the term “Aryan” to
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