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== Bandiere col Sole ==
https://books.google.it/books?id=NSu5BAAAQBAJ&pg=PA230&dq=sun+flags&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwip2uan9cjRAhUFxxQKHQ6JC48Q6AEIGjAA#v=snippet&q=sun%20&f=false
= Impero romano e Medioevo ===
Durante l'[[Ottaviano Augusto|età augustea]] l'Italia fu organizzata in un [[Regioni dell'Italia augustea|sistema amministrativo]] distinto da quello tipico della [[provincia romana|province]]<ref>ad eccezione di [[Sicilia]] e [[Sardegna]]</ref> divenendo la parte privilegiata dell'impero: i suoi abitanti liberi erano [[Cittadinanza romana|cittadini romani]]<ref>solo nel [[212]] ([[Constitutio Antoniniana]]) la cittadinanza fu estesa a tutto l'impero</ref>, esentati dalla tassazione diretta, eccetto la nuova tassa sulle eredità creata per finanziare i bisogni militari. L'Italia fu dotata di una fitta rete stradale e di numerose strutture pubbliche ([[evergetismo]] augusteo).
I privilegi accordati da Roma all'Italia, tanto da farne una sorta di ''metropoli'' rispetto alle altre province dell'impero, affondavano le loro radici nella più antica politica d'espansione romana, che facendo leva sul comune substrato culturale e linguistico caratterizzante molti [[popoli italici]] ([[Latini]], [[Osci]], [[Falisci]], [[Umbri]] ecc.) ed i [[Veneti]], assimilava poi nella stessa [[koinè]] anche gli altri popoli della [[Italia (regione geografica)|regione italiana]] ([[Liguri]], ecc.).
Con la [[caduta dell'Impero romano d'Occidente]], l'unità territoriale della penisola non venne meno né col [[Regno ostrogoto|regno]] degli [[Ostrogoti]], la prima di tante occasioni mancate nel Medioevo per far nascere anche in Italia una coscienza nazionale come viceversa avvenne in altri paesi europei, né dopo l'intervento diretto dell'[[Impero bizantino|imperatore d'Oriente]] [[Giustiniano I]] e la successiva [[guerra gotica (535-553)]]. Questa unità si ruppe con l'invasione longobarda e la conseguente spartizione della penisola.
I [[Longobardi]] inizialmente tesero a rimanere separati dalle popolazioni soggette sia sotto il profilo politico che militare, ma col tempo finirono sempre più per fondersi con la componente latina e tentarono, sull'esempio romano e ostrogoto, di riunificare la penisola per dare una base nazionale al loro regno.<ref>«né mai più fu ritentata per undici secoli la grande impresa (dicon essi) del costituire l'unità italiana.» (Giuseppe Brunengo, ''I primi Papi-Re e l'ultimo dei re longobardi'', Coi tipi della Civiltà Cattolica, 1864, p.260</ref>
Tale tentativo fallì per l'intervento dei [[Franchi]] richiamati da [[papa Adriano I]], secondo un copione tipico destinato a ripetersi nei secoli a venire, che vede il papa cercare il più possibile di impedire la nascita di una potenza nemica sul suolo italico in grado di compromettere la sua autonomia.<ref>Montanelli, ''Da Carlo Magno all'anno Mille. Storia d'Italia'', BUR, 1994.</ref>
Prima della conquista franca infatti, il ''[[Regno longobardo|Regnum Langobardorum]]'' si identificava con la massima parte dell'Italia peninsulare e continentale e gli stessi re longobardi, dal [[VII secolo]], non si consideravano più solo re dei longobardi, ma dei due popoli (longobardi e italici di lingua latina) posti sotto la propria sovranità nei territori non bizantini e dell'Italia tutta (''Dei rex totius Italiae''). I vincitori si erano pertanto gradualmente romanizzati, abbracciando la cultura dei vinti grazie anche all'accettazione del latino come unica lingua scritta dello Stato e come strumento di comunicazione privilegiato a livello giuridico e amministrativo.
Durante il periodo longobardo, a seguito della [[Donazione di Sutri]] si formò il primo nucleo dello [[Stato Pontificio]]: il ''[[Patrimonio di San Pietro (provincia pontificia)|Patrimonium Sancti Petri]]'', primo nucleo territoriale su cui si estenderà il [[potere temporale]] della Chiesa, fino al 1870.
I [[Franchi]], a partire dalla seconda metà dell'[[VIII secolo]], tentarono di ricostituire l'Impero con [[Carlo Magno]]: tale organismo prese corpo definitivamente un secolo e mezzo più tardi, con un sovrano germanico, [[Ottone I di Sassonia]]. Il [[Regnum Italiae|Regno d'Italia]] era legato a questo grande organismo statuale da vincoli di vassallaggio, dai quali vanamente cercò di sottrarsi. I più celebri fra tali tentativi furono quello di [[Berengario del Friuli]] (850-924),<ref>«Alcuni storici e una certa retorica nazionalistica hanno fatto di lui un campione e un assertore dell'unità d'Italia», tratto da Montanelli & Gervaso, ''Storia d'Italia'', vol. 6, ''Da Carlomagno all'anno 1000'', pag. 139, Fabbri editori, 1994.</ref> e poi di [[Arduino d'Ivrea]] (955-1015), personaggi considerati dalla storiografia nazionalista come antesignani dei patrioti risorgimentali. Arduino, attorno all'anno [[1000]], sostenuto dalla nobiltà laica del nord Italia, condusse alcune campagne militari per liberare l'Italia dalla tutela germanica.<ref>Umberto Eco, ''Il Medioevo. Barbari, cristiani, musulmani'', Encyclomedia Publishers, 2010</ref>
[[File:The Sicilian Vespers by Francesco Hayez.jpg|thumb|[[Francesco Hayez]]: [[I vespri siciliani (Hayez)|I vespri siciliani]], (1846) questo quadro, costituisce uno dei classici esempi di opere pittoriche risorgimentali, che mascheravano sotto la rappresentazione di eventi del passato, l'ideale di cospirazione e lotta contro lo straniero]]
Nei primi secoli dopo il Mille, lo stesso desiderio di autonomia e libertà portò a un notevole sviluppo delle [[Repubbliche marinare]] ([[Amalfi]], [[Genova]], [[Pisa]] e [[Venezia]]), e poi dei liberi [[Comune (storia)|Comuni]] di popolo, favorendo quella rinascita dell'economia e insieme delle arti che approderà al [[Rinascimento]], e che fu anticipata dal risveglio religioso che si ebbe nel [[Duecento]] con le figure di [[Gioacchino da Fiore]] e [[Francesco d'Assisi]].<ref>Konrad Burdach, ''Riforma, Rinascimento, Umanesimo'', trad. a cura di D. Cantimori, Sansoni, [[Firenze]] 1986.</ref>
Se durante l'[[alto Medioevo]] il sentimento nazionale italiano si mantenne ancora piuttosto in ombra, partecipando alla contesa tra le due potenze di allora, il [[Papato]] e l'[[Impero]], con i quali si schierarono rispettivamente [[Guelfi e Ghibellini]], esso cominciò così lentamente a emergere, alimentandosi soprattutto del ricordo dell'antica grandezza di [[Roma (città antica)|Roma]], e trovando nell'identità religiosa rappresentata dalla [[Chiesa cattolica|Chiesa]], idealmente erede delle istituzioni romane, un senso di comune appartenenza.<ref>AA.VV., ''Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra medioevo ed età moderna'', a cura di G. Chittolini, A. Molho e P. Schiera, Il Mulino, Bologna 1994.</ref> La vittoria nella [[battaglia di Legnano]] ad opera della [[Lega Lombarda]] contro l'imperatore [[Federico Barbarossa]] ([[1176]]), e la rivolta dei [[Vespri siciliani]] contro il tentativo del [[Carlo I d'Angiò|re di Francia]] di assoggettare la [[Sicilia]] ([[1282]]), saranno assunte in particolare dalla retorica [[Romanticismo|romantica]] ottocentesca come i simboli del primo risveglio di una coscienza di patria.<ref>{{cita|Le garzantine, Atlante storico..|pag. 150 e 151}}</ref>
Mentre però da un lato la formazione dei [[Comune|comuni]] e delle [[Feudalesimo|signorie]] portò al fallimento di una composizione politica unitaria, per il prevalere di interessi locali in un'Italia suddivisa in piccoli stati, spesso in lotta fra di loro, d'altro lato, secondo taluni autori, fu proprio questo il periodo in cui si formò l'Italia come nazione, « [...] forse...la più precoce delle nazioni europee...<ref>La citazione è tratta da: [[Umberto Cerroni]], ''L'identità civile degli italiani'', Lecce, Piero Manni, 1996, pag. 24</ref>», e in cui, secondo alcuni storici, si produsse ad opera di [[Federico II di Svevia]] il primo serio tentativo di unificazione peninsulare<ref>Umberto Cerroni, ''op. cit'' p. 25</ref>.
Tale tentativo, secondo altre correnti storiografiche, fu invece espressione della volontà di una politica espansionistica di assoggettamento ad opera del [[Federico II di Svevia|sovrano svevo-italiano]], tesa a favorire l'instaurarsi di signorie ghibelline a lui amiche, sottraendo l'Italia dall'influenza papale e sottomettendola per intero all'impero germanico.<ref>Raffaele Morghen, ''L'unità monarchica nell'Italia meridionale'' in ''Nuove questioni di storia medioevale'', Marzorati. Milano, 1977 (riportato in Giampaolo Perugi, ''Pagine di storiografia'', Zanichelli editore, 2000, p.216)</ref>
[[File:Albericodabarbiano.jpg|upright|thumb|Alberico da Barbiano]]
Ispirata ad uno spirito di riscossa nazionale nell'ambito militare venne considerata la vittoria nel 1379 del condottiero [[Alberico da Barbiano]] nella [[Battaglia di Marino]] al comando delle milizie italiane contro mercenari francesi e bretoni al soldo dell'[[Antipapa Clemente VII]]. Per questa sua impresa Alberico riceverà da [[Papa Urbano VI]] uno stendardo col motto "LI-IT-AB-EXT" ("''Italia ab exteris liberata''" - L'Italia liberata dagli stranieri). Secondo [[Ferdinand Gregorovius|Gregorovius]] questa fu «''la prima volta [in cui] le armi nazionali vinsero le compagnie di ladroni stranieri; l'Italia si destò alla fine dal suo letargo, sicché da quella giornata di Marino si può dire che cominci l'era di una nuova milizia italiana e di una nuova arte di guerra''»<ref>Ferdinand Gregorovius, ''Storia di Roma nel medioevo'', Vol VI, Venezia 1875 p.592</ref>
{{Citazione|L'Italia osservava con dispetto quelle orde di avventurieri...aspettava un genio che a quelle milizie mostrasse in che è locata la gloria e dove l'infamia, le trascinasse nelle campagne, le mettesse in militare ordinanza e le spingesse salde, compatte e meglio agguerrite a mutare il destino delle città o volgere in fuga scompigliata i fanti e cavalieri stranieri. E venne quindi il genio cui sospirava l'Italia: Alberico da Barbiano.<ref>''Biografie dei capitani venturieri dell'Umbria scritte ed illustrate con documenti da [[Ariodante Fabretti]], A. Fumi, 1843, p.109</ref>}}
=== Rinascenze e Rinascimento ===
[[File:Portrait de Dante.jpg|thumb|left|upright=0.65|[[Dante Alighieri]]]]
[[File:Santi di Tito - Niccolo Machiavelli's portrait headcrop.jpg|thumb|upright|[[Niccolò Machiavelli]]]]
Durante le rinascenze culturali del [[XIII secolo|XIII]] e [[XIV secolo]], che avrebbero condotto al fiorire del [[Rinascimento]], si dimostrò ben vivo il ricordo della passata grandezza dell'Italia come centro del potere e della cultura dell'impero romano e come centro del mondo, e il Paese fu ispirazione ed oggetto di studio per poeti e letterati, cantando lodi all'Italia antica - già vista come continuum culturale se non nazionale - e deprecandone la contemporanea situazione.
Un sentimento di comune appartenenza nazionale sembrò maturare presso gli intellettuali del tempo mentre il volgare latino locale veniva elevato al rango di lingua letteraria, primo ideale elemento di una coscienza collettiva di popolo.<ref>«Già nella prima metà del Trecento essa aveva dato ciò che le altre nazioni non avevano dato ancora... una lingua raffinata, una grande poesia... una prosa letteraria...» da Umberto Cerroni, ''op. cit.'', p. 24</ref> Anche grazie a tali letterati e intellettuali, fra cui emersero le figure universali di [[Dante]], [[Petrarca]] e [[Boccaccio]], che ebbero scambi culturali senza tener conto dei confini regionali e locali, la lingua italiana dotta si sviluppò rapidamente, evolvendosi e diffondendosi nei secoli successivi anche nelle più difficili temperie politiche, pur rimanendo per molti secoli lingua veicolare solo per le classi più colte e dominanti, venendo progressivamente ed indistintamente adottata come lingua scritta in ogni regione italofona, prescindendo dalla nazionalità dei suoi principi. Dante e Petrarca inoltre introdussero la locuzione [[Bel paese]], come espressione poetica, per indicare l'Italia:
{{Citazione|Le genti del bel paese là dove 'l sì suona,<ref>[[Dante Alighieri]], ''[[Inferno (Dante)|Inferno]]'', [[Inferno - Canto trentatreesimo|Canto XXXIII]], verso 80.</ref>}}
{{Citazione|Il bel paese / ch'Appennin parte e 'l mar circonda e l'Alpe<ref>[[Petrarca]], ''[[Canzoniere (Petrarca)|Canzoniere]]'', CXLVI, versi 13-14.</ref>}}
Allo stesso tempo Dante deplorò la condizione politica in cui si trovava l'Italia con la famosa [[Terzina dantesca|terzina]] della [[Divina Commedia]]:
{{Citazione| Ahi serva Italia, di dolore ostello,<br />nave {{Sic|sanza}} nocchiere in gran tempesta,<br />non donna di {{Sic|provincie}}, ma bordello! ,<ref>[[Dante Alighieri]], ''[[Purgatorio (Dante)|Purgatorio]]'', [[Purgatorio - Canto sesto|Canto VI]], verso 76-78.</ref>}}
[[File:Italia 1494-it.svg|miniatura|Gli stati [[italia]]ni nel [[1494]].]]
Nel 1474 [[Flavio Biondo]] manda alle stampe l'opera l'''Italia illustrata'', un libro di geografia e di storia su quelle che allora erano le diciotto province della penisola. Sul piano politico, invece, a causa della mancanza di uno [[Stato unitario]] sul modello di quelli che stavano via via sorgendo nel resto d'Europa, i piccoli stati italiani furono costretti a supplire con l'intelligenza strategica dei suoi capi politici alla superiorità di forze degli stati nazionali europei, arrivando a concordare una alleanza la [[Lega Italica (1454)|Lega Italica]]. Esemplare fu in proposito il signore di [[Firenze]] [[Cosimo de' Medici]] (1389-1464), non a caso soprannominato ''Pater Patriae'', ovvero "Padre della Patria",<ref>«Capì che il destino dell'Italia era condizionato dall'equilibrio fra le quattro grandi potenze che vi si erano formate: Milano, Venezia, Firenze e Napoli. [...] Lo chiamarono "Padre della Patria", certamente alludendo a una patria fiorentina. Ma Cosimo lo fu di tutta l'Italia. Forse egli carezzò un sogno di unità nazionale. Ma capì ch'era irrealizzabile, e quindi si contentò dell'unico traguardo che un uomo di Stato italiano, a quei tempi, poteva proporsi: un Direttorio dei "quattro grandi", solidali nel proposito di mantenere la Penisola al riparo da intrusioni straniere» (Montanelli & Gervaso, ''Storia d'Italia'', vol. 12, ''La civiltà del Rinascimento'', pp. 11-12, Fabbri editori, 1994).</ref> e considerato uno dei principali artefici del [[Rinascimento fiorentino]]: la sua politica estera, infatti, mirante al mantenimento di un costante e sottile equilibrio fra i vari stati italiani, sarà profetica nell'individuare nella concordia italiana l'elemento chiave per impedire agli stati stranieri di intervenire nella penisola approfittando delle sue divisioni.<ref>{{cita|Le garzantine, Atlante storico..|pag. 223 e 225}}</ref>
L'importanza della strategia di Cosimo, proseguita dal suo successore [[Lorenzo il Magnifico]] (1449-1492) nella sua continua ricerca di un accordo tra gli stati italiani in grado di sopperire alla loro mancanza di unità politica,<ref>«Questa fu la politica dei Medici sino alla fine del Quattrocento. Ad essa l'Italia è debitrice di quei decenni di relativa pace e di meravigliosa prosperità che consentirono il miracolo del Rinascimento» (Montanelli, ''op. cit.'', p. 12.).</ref> non venne tuttavia compresa dagli altri prìncipi della penisola, ed essa si concluse con la morte di Lorenzo nel [[1492]].
[[File:Ritratto di francesco guicciardini.jpg|thumb|left|upright=0.7|[[Francesco Guicciardini]]]]
[[File:Cesare ripa italia turrita.jpg|thumb|upright=0.7|C. Ripa, L'Italia (1603)]]
Da allora in Italia ebbe inizio un lungo periodo di dominazione straniera, la quale, secondo gli storici risorgimentali, fu quindi dovuta non a sterile arrendevolezza, bensì al ritardo del processo politico di unificazione. Nella propaganda risorgimentale, per via del [[s:Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta|romanzo omonimo]] di [[Massimo d'Azeglio]], è anzi rimasto celebre e ricordato come gesto di [[patriottismo]] l'episodio della [[disfida di Barletta]] ([[1503]]), quando tredici cavalieri italiani,<ref>Si trattava di «professionisti della guerra che non si facevano certo nessuno scrupolo a passare da una parte all'altra secondo le convenienze e circostanze, come farà uno dei tredici di Barletta», ma nei confronti dei quali il capitano spagnolo non perse l'occasione, offertagli dalla provocazione francese, di «far leva sull'amor proprio degli italiani» (Giuliano Procacci, ''La disfida di Barletta. Tra storia e romanzo'', Bruno Mondadori editore, 2001 pagg. 47-48).</ref> alleati degli spagnoli per la conquista del Regno di Napoli, capeggiati dal capitano di ventura [[Ettore Fieramosca]], sconfissero in duello altrettanti cavalieri francesi che li avevano insultati accusandoli di viltà e codardia.<ref>Il grande risalto che all'epoca venne dato all'episodio, secondo lo storico Giuliano Procacci (''op.cit.'', p.45), era dovuto al desiderio di perpetuare un'immagine epica della classe feudale della cavalleria ormai superata come strumento di guerra</ref>
L'interesse per l'unità si spostò intanto dall'ambito culturale a quello dell'analisi politica e, già nel [[XVI secolo]], [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] e [[Francesco Guicciardini|Guicciardini]]<ref>F. Guicciardini, ''Storia d'Italia'', libro I, ed. Ricciardi, Milano-Napoli, 1953</ref> dibattevano il problema della perdita dell'indipendenza politica della penisola, divenuta nel frattempo un [[Guerre d'Italia del XVI secolo|campo di battaglia]] fra [[Francia]] e [[Spagna]] e infine caduta sotto la dominazione di quest'ultima.<ref>G. Candeloro, ''Storia dell'Italia moderna'', vol.I, Feltrinelli, Milano, 1956</ref>
Pur con programmi diversi, Machiavelli e Guicciardini, fautori rispettivamente di uno [[Stato assoluto|Stato accentrato]] e di uno [[federalismo|federale]]<ref>«E se bene l'Italia divisa in molti domini abbia in vari tempi patito molte calamità che fose in un dominio solo non avrebbe patito [...] nondimeno in tutti questi tempi ha avuto al riscontro tante città floride [...] che io reputo che una monarchia gli sarebbe stata più infelice che felice» (in F. Guicciardini, ''op.cit.'')</ref>, concordavano sul fatto che la perdita dell'individualità nazionale fosse avvenuta a causa dell'individualismo e della mancanza di senso dello Stato delle varie popolazioni italiane. Ecco quindi il compito del Principe al quale Machiavelli lanciava la sua nota {{Citazione|esortazione a pigliare l'Italia e liberarla dalle mani dei barbari.<ref>N. Machiavelli, ''Opere scelte'', Volume 1969,Parte 1, Editori riuniti, 1969</ref>}}
All'inizio del [[XVII secolo]] [[Cesare Ripa]] con la sua opera [[Iconologia]], nella voce "Italia con le sue provincie. Et parti de l'isole" rifacendosi ai testi classici diffonde l'immagine classica dell'[[Italia turrita]], con [[cornucopia]] e sovrastata da una stella, "come rappresentata nelle Medaglie di Commodo, Tito et Antonino"<ref>Cesare Ripa, Iconologia, 1603</ref> e conclude la descrizione dell'Italia con la frase «''Siede sopra il Globo (come dicemmo) per dimostrare come l'Italia è Signora et Regina di tutto il Mondo, come hanno dimostrato chiaro gli antichi Romani, et hora più che mai il Sommo Pontefice maggiore et superiore a qual si voglia Personaggio.''»
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