Sacco di Roma (410): differenze tra le versioni
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Nel frattempo Alarico, dopo aver chiesto a suo cognato [[Ataulfo]], che si era stabilito con i suoi Goti in Pannonia, di unirsi a lui nell'impresa, raggiungendolo con la sua armata in Italia, iniziò l'invasione della Penisola: passando per [[Aquileia]] e le altre città oltre il [[Po]], cioè [[Concordia Sagittaria|Concordia]], [[Altino]] e [[Cremona]], attraversò poi il fiume e, senza trovare alcuna opposizione, arrivò fino al castello di ''[[Bononia]]'' (Bologna).<ref name=ZosimoV37>Zosimo, V,37.</ref> Da lì attraversò tutta l'Emilia, passando per [[Rimini]] (''Ariminum''), che si trovava in Flaminia, e da lì passò per il Piceno. Dal Piceno si diresse verso [[Roma antica|Roma]], saccheggiando tutte le città lungo il tragitto.<ref name=ZosimoV37/>
La marcia di Alarico non trovò esercito che vi si opponesse: il regime di Onorio, invece di prendere misure adeguate per opporre resistenza all'invasione, era ancora intento a cercare [[Eucherio (figlio di Stilicone)|Eucherio]], figlio di Stilicone, per giustiziarlo con l'accusa di tradimento.<ref name=ZosimoV37/> Gli eunuchi Arsacio e Terenzio, giunti a Roma, lo giustiziarono, provvedendo poi a consegnare [[Termanzia]], che Onorio aveva ripudiato in seguito all'esecuzione di Stilicone, a Serena.<ref name=ZosimoV37/> Essendo impossibilitati a ritornare a Ravenna via terra a causa dell'invasione di Alarico, furono costretti a tornarvi via mare.<ref name=ZosimoV37/> Tornati a Ravenna, furono ricompensati dall'Imperatore e da Olimpio per aver portato a termine il loro compito: Terenzio fu promosso alla prefettura dell'augustale cubicolo e Arsacio al susseguente posto.<ref name=ZosimoV37/> Olimpio, nel frattempo, aveva ordinato l'esecuzione del ''[[Comes Africae]]'' [[Batanario]], accusato di tradimento in quanto cognato di Stilicone, sostituendolo con [[Eracliano (usurpatore)|Eracliano]], come premio per aver giustiziato Stilicone.<ref name=ZosimoV37/>
Mentre il governo di Ravenna prestava molta più attenzione a perseguitare i partigiani e i famigliari di Stilicone piuttosto che opporre resistenza all'invasione, l'esercito di Alarico era ormai giunto in prossimità delle mura di Roma. Quando l'assedio alla città eterna cominciò, il [[senato romano]] sospettò (probabilmente a torto) che [[Serena (principessa romana)|Serena]], moglie di Stilicone, progettasse di consegnare Roma ai Barbari e, dopo sommario processo, la giustiziarono, sperando così che Alarico, abbandonata ogni speranza di espugnare la città senza più l'appoggio della presunta traditrice, avrebbe levato l'assedio.<ref name=ZosimoV38>Zosimo, V,38.</ref> Le loro speranze vennero frustrate e Alarico continuò l'assedio della Città, intenzionato a prenderla per la fame: fece circondare tutte le porte della città, e si impadronì del controllo del fiume [[Tevere]], impedendo così l'arrivo di ogni rifornimento dal [[Porto (città antica)|porto]] alla Città.<ref name=ZosimoV39>Zosimo, V,39.</ref> I Romani, in attesa di aiuti da Ravenna, deliberarono di ridurre la distribuzione di annona dapprima a un mezzo, e poi a un terzo.<ref name=ZosimoV39/> [[Leta]], moglie dell'ex Imperatore [[Graziano]], coadiuvata da sua madre Tisamena, si adoperò con la sua carità per sfamare il più possibile la popolazione affamata per il protrarsi dell'assedio, ma, ben presto, anch'ella non poté far nulla di fronte alla carestia dilagante.<ref name=ZosimoV39/> Non ricevendo aiuti da [[Ravenna romana|Ravenna]], ed essendosi diffusa la carestia per la carenza di cibo, parte della popolazione di Roma perì di fame e di stenti.<ref name=ZosimoV39/>
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Procopio fornisce poi un'ulteriore e discordante versione su come il re dei Visigoti riuscì ad espugnare la Città Eterna. Secondo questa versione alternativa, Alarico, non essendo riuscito a prendere la città né con la forza né con ogni altro mezzo, escogitò il seguente piano: scelse tra i giovani sbarbati dell'esercito visigoto 300 di essi di buona nascita e di talento, li informò che stava per regalarli come schiavi ad alcuni patrizi di Roma, e ordinò loro inoltre di aprire di notte la [[Porta del Popolo|Porta Salaria]] dopo aver ucciso le guardie, una volta entrati in città come schiavi.<ref name=Pro/> Dopo aver dato le seguenti istruzioni ai trecento giovani, Alarico avrebbe inviato ambasciatori ai membri del senato, regalando i 300 giovani come schiavi e dando poi ordine ai suoi di levare (per finta) l'assedio.<ref name=Pro/> Una volta entrati in città, i giovani visigoti misero in atto il piano secondo gli ordini ricevuti da Alarico: dopo aver ucciso le guardie di presidio, aprirono a mezzogiorno la Porta Salaria, permettendo ai Visigoti di Alarico di entrare in città (24 agosto 410).<ref name=Pro/> Quest'ultima versione, che ricorda un po' troppo l'espediente del [[cavallo di Troia]], viene ritenuta inattendibile.<ref name=Rav73/>
Iniziò così il secondo saccheggio della Città Eterna, rimasta inviolata dai tempi di [[Brenno]]. Nonostante tutto, [[Roma antica|Roma]] incuteva rispetto agli invasori e nei tre giorni di saccheggio Alarico impartì l'ordine di risparmiare i luoghi di culto (soprattutto la basilica di San Pietro), che considerò come luoghi di asilo inviolabili dove non poteva essere ucciso nessuno.<ref name=SozIX9/><ref name=OroVII39>Orosio, VII,39.</ref> Lo scempio in cui cadde la città fu compiuto comunque non tanto dai [[Goti]] stessi, quanto dagli ex schiavi (liberati l'anno prima) assetati di vendetta. Alarico rese omaggio ai sepolcri degli Apostoli e in un certo senso rispettò la sacralità dell'Urbe.<ref name=SozIX9/> Sozomeno scrisse che l'ordine di Alarico che proclamava i luoghi di culto luoghi di asilo inviolabili dove non poteva essere ucciso nessuno
Orosio, nel suo tentativo di sminuire le devastazioni del sacco di Roma, mette in evidenza la pietà cristiana di Alarico e dei Goti: narra infatti, che durante il sacco della città, uno dei maggiorenti goti, di religione cristiana, avrebbe trovato in una casa di religiose una monaca e le avrebbe chiesto con reverenza oro e argento; costei rispose che disponeva di molti vasi preziosi e glieli avrebbe mostrati, ma lo avvertì che si trattava del sacro vasellame dell'apostolo Pietro e dunque rubarlo avrebbe potuto costituire sacrilegio.<ref name=OroVII39/> Il maggiorente goto, temendo di commettere sacrilegio nel rubare il vasellame, avvertì Alarico, che comandò di riportare tutto il vasellame nella basilica di San Pietro e di condurvi, sotto scorta, non solo la monaca ma anche tutti i cristiani che a costoro si fossero uniti.<ref name=OroVII39/> E poiché la casa delle monache si trovava dalla parte opposta della Città Eterna rispetto alla basilica di San Pietro, tutti costoro che si unirono alla processione, pagani compresi, ebbero salva la vita, riuscendo a raggiungere la basilica di San Pietro.<ref name=OroVII39/>
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La notizia del sacco di Roma, il cuore dell'Impero, il sacro suolo rimasto inviolato per 800 anni da eserciti stranieri, ebbe vasta risonanza in tutto il mondo romano ed anche al di fuori di esso. L'imperatore d'Oriente [[Teodosio II]] proclamò a [[Costantinopoli|Costantinopoli - Nuova Roma]] tre giorni di lutto, mentre [[San Girolamo]] si chiese smarrito chi mai poteva sperare di salvarsi se Roma periva:
{{Citazione|Ci arriva dall'Occidente una notizia orribile. Roma è invasa.[...] È stata conquistata tutta questa città che ha conquistato l'Universo.[...]|[[San Girolamo]]}}
Girolamo, nei suoi scritti, tornò a più riprese sul sacco di Roma. In una lettera scrisse che aveva appena cominciato a scrivere il commento a Ezechiele, quando apprese del sacco della Città Eterna e della devastazione delle province occidentali dell'Impero, notizia che lo rese talmente agitato «che, per usare un proverbio comune, mi ricordavo a malapena il mio nome; e per un lungo tempo rimasi in silenzio, sapendo che erano tempi per le lacrime».<ref>Girolamo, Epistola 126.</ref> Sempre riguardo all'agitazione provata alla notizia del sacco, Girolamo scrisse che
{{Citazione|Chi avrebbe mai creduto che Roma, costruita sulle vittorie riportate su tutto il mondo, sarebbe crollata? Che tutte le coste dell'Oriente, dell'Egitto e d'Africa si sarebbero riempite di servi e di schiave della città un tempo dominatrice, che ogni giorno la santa Betlemme dovesse accogliere ridotte alla mendicità persone di entrambi i sessi un tempo nobili e pieni di ogni ricchezza?}}
In un'altra epistola, Girolamo scrisse che «la città inclita e capitale dell'Impero romano è stata bruciata in un solo incendio; e non vi è alcuna regione che non abbia esuli romani; chiese un tempo sacre si sono trasformate in faville e cenere e, nondimeno, andiamo sempre soggetti ad avarizia».<ref>Girolamo, Epistola 128.</ref> In Oriente il monaco Isacco di Amida compose poemi lirici sulla caduta di Roma.<ref name=Rav80>{{cita|Ravegnani|p. 80.}}</ref>
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