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Allo stesso modo, gli autori gesuiti, come padre Gaston-Laurent Cœurdoux, fecero risalire la migrazione dei primi Brahmani in [[India]] da nord, collegandoli implicitamente a un origine biblica. Facendo eco a tali argomentazioni, ispirate teologicamente, in un registro laico, Bailly sostenne che «gli indiani estranei a se stessi», che ha spiegato, sostenendo «che i brahmani non sono indiani». Essi, secondo lui, lo riconoscevano, e dicevano che i brahmani sono arrivati dal nord. Questa è la tradizione e, contemporaneamente, la prova di una migrazione.<ref>Bailly, ''Lettres sur l’origine des sciences'' p. 81.</ref>
===Il collegamento con Atlantide===
(8) Il primo volume delle lettere di Bailly postulava l'esistenza di una civiltà primordiale perduta che aveva influenzato tutte le altre, ma senza offrire specifiche sul nome, sulla posizione, o sul destino di quella civiltà. Il suo secondo volume, invece riprendendo alcune tesi dell′''Histoire de l'astronomie ancienne'', offriva una spiegazione sorprendente e originale, che collegava la sua teoria della civiltà primordiale alla storia della crescita, dell'espansione e della distruzione di [[Atlantide]] come descritto nei dialoghi platonici del ''Timeo'' e del ''Crizia''.
La ricerca di [[Atlantide]] è da sempre uno dei temi più antichi della cultura occidentale, che beneficia del prestigio della paternità di Platone e offre oscure ma allettanti promesse di una saggezza perduta, di ricchezza, e possibili prove riguardanti la preistoria remota del genere umano.
Bailly, argutamente, anticipò l'obienzione che certamente gli avrebbero fatto: ovvero che Atlantide non fosse altro che una favola didattica, «frutto della fantasia geniale e morale di Platone». Allora, per suffragare la sua tesi, Bailly sostenne che «la maggior parte dei poemi presentati come storici, hanno dei soggetti presi dalla storia», citando l'[[Eneide]] di [[Virgilio]] come esempio. Di conseguenza, egli scrisse sull'Atlantide di Platone che «è evidente che qui la morale c'è ma è solo accessoria. Platone è uno storico che traccia una grande catastrofe e trae da esso una grande lezione».<ref>Bailly, ''Lettres sur l’Atlantide de Platon, et sur l’ancienne histoire de l’Asie'' (Paris, 1779), 43–4.</ref>
Lo storico [[Pierre Vidal-Naquet]] ha osservato che il racconto di Platone sull'ascesa e sulla caduta di Atlantide si comprende molto bene come una critica all'imperialismo marittimo ateniese e al commercio dal punto di vista del repubblicanesimo austero che l'autore aveva già sostenuto nella ''[[Repubblica (Platone)|Repubblica]]''.<ref>Pierre Vidal-Naquet, ''The Atlantis Story: A Short History of Plato’s Myth'', trad. Janet Lloyd (Exeter, 2007), 15–23.</ref> [[Lyon Sprague de Camp]] concorda, notando che i contemporanei di Platone e i suoi immediati successori riconobbero la natura fittizia e didattica della storia di Atlantide, e che invece furono i neoplatonici alessandrini e poi, soprattutto, gli studiosi del [[Rinascimento]] che, riscoprendo le loro opere, per primi hanno interpretato Atlantide come un luogo reale.<ref>Lyon Sprague de Camp, ''Lost Continents: The Atlantis Theme in History, Science, and Literature'' (New York, 1970), 16–19.</ref>
L'interpretazione di Bailly della storia di Atlantide come fatto storico riflette un forte approccio [[evemerismo|evemeristico]] verso la mitologia classica. Lo storico Frank E. Manuel definisce questo approccio "[[Evemerismo|evemerista]]" (dal nome del filosofo tardoantico [[Evemero]]) come «l'idea che in origine gli dei avessero una loro esistenza sulla terra, che erano comuni esseri umani, e che i miti erano commemorazioni dei loro atti in questo mondo».<ref>Frank Manuel, ''The Eighteenth Century Confronts the Gods'' (New York, 1967), 105.</ref> [[Anthony Grafton]] ha osservato invece che «l'interpretazione evemeristica dei miti classici come rielaborazioni di eventi veri e propri» servì come «un coltellino svizzero interpretativo per legioni di interpreti pagani e cristiani», e che fu ampiamente utilizzato dagli autori classici stessi e dai loro eredi umanisti del Rinascimento.<ref>Grafton, ''Defenders of the Text'', 87</ref>
Molti studiosi della prima età moderna, come [[Joseph Scaliger]], pioniere della cronologia comparata cinquecentesca, fece uso della mitologia classica per ricostruire la storia più antica dell'umanità, ritenendo, come scrive Grafton, «che i miti non erano storie velate di dottrine filosofiche, ma racconti confusi di eventi storici».<ref>''Ibid.'', 37.</ref>
Di conseguenza, sebbene [[Nicolas Fréret]], il più famoso storico classicista francese del primo Settecento, aveva concluso che Atlantide era un «romanzo filosofico»<ref>Citato in Vidal-Naquet, ''The Atlantis Story'', 87.</ref> Bailly sosteneva che gli dei degli antichi Greci, Fenici, ed egiziani erano in realtà re ed eroi di [[Atlantide]], rilevano inoltre che le leggende su regni preistorici di giganti, semidei, fate e geni non potevano che rappresentare una sorta di memoria ancestrale della grandezza degli Atlantidei.
Bailly poi si rivolse a [[Diodoro Siculo]], che presentava gli Atlantidei di Platone come il primo popolo della Terra, dicendo inoltre che era stato unito insieme e civilizzato da [[Urano (mitologia)|Urano]]. Discutendo poi la successiva storia mitologica relativa alle guerre di successione tra gli dei e i Titani, fino alla sconfitta da parte di Giove del padre Saturno, Bailly ipotizzò che questa narrativa mitologica aveva in realtà radici nella reale storia dinastica di questa prima civiltà umana.<ref>Jean Sylvain Bailly, ''Letters sur l'Atlantide de Platon'', 60–62.</ref> Poi, ritenendo che con il passare del tempo e con la ovvia perdita di contatto diretto con gli Atlantidei le leggende delle loro grandi gesta si siano sempre di più "mitizzate", Bailly suggerì un ipotetico parallelo moderno: «Lei sa, signor Voltaire, tutto ciò che la verità e l'adulazione hanno detto del grande secolo di [[Luigi XIV]]. Immaginiamo una colonia di francesi, stabilitasi oggi in qualche paese lontano e senza comunicazione [con la Francia], che si mescola con gli abitanti nativi lì, narrando loro delle meraviglie di questo famoso regno, della magnificenza di Versailles, degli oceani uniti, delle acque che attraversavano le montagne per portare le barche, del re glorioso che domina l'Europa con la sua ascesa [...] se queste storie poi passassero di bocca in bocca e di generazione in generazione, non ci vorrebbe molto tempo per far diventare gli europei un popolo di giganti, e di farli apparire come esseri dalla natura potente, superiori a quella dell'uomo. Luigi XIV sarebbe stato il re di questi "geni", Caterina II invece sarebbe stata una fata che animava il Nord con una torcia accesa in mezzo al ghiaccio.»<ref>''Ibid.'', 188–9.</ref>
Postulando l'ipotesi che Atlantide fosse un vero e proprio luogo, anche se ormai scomparso, Bailly ha poi cominciato a raccogliere gli indizi lasciati da Platone e dagli altri autori antichi sulla sua posizione, sostenendo che gli studiosi precedenti aveva commesso un errore cercandola in occidente, piuttosto che a nord.<ref>''Ibid.'', 83–4; e Bailly, ''Histoire de l’astronomie'', 285–286.</ref> Bailly inoltre paragonò il mito greco di [[Prometeo]] – che era stato legato alle montagne del [[Caucaso]] per aver commesso il crimine di aver dato il fuoco agli uomini – al culto [[Zoroastro|zoroastriano]] del fuoco sacro, sostenendo che le due storie riflettevano una comune origine nel freddo nord, dove il mantenimento di una fiamma eterna era essenziale per la conservazione della vita. Egli scrisse che «poiché il clima ci domina, gli uomini dimostrano con le loro abitudini le terre in cui sono nati» e sostenne, per questo motivo, che la venerazione del fuoco non poteva essere originaria delle terre calde del sud dove non aveva senso di esistere.<ref>Bailly, ''Lettres sur l'Atlantide de Platon'', 199.</ref> Bailly scrisse inoltre che il sole, che «regnava come un despota» ai tropici, poteva essere un oggetto di venerazione solo per i popoli del nord, dove la sua scomparsa minacciava la distruzione della vita mentre il suo ritorno segnava il rinnovamento della speranza, e citò [[Apollo]] come una «divinità di queste terre fredde, un Dio straniero, successivamente adottato dai Greci».<ref>''Ibid.'', 211, 132.</ref>
Lo spostamento di Atlantide, fatto da Bailly, dall'Occidente e a sud dell'Europa, verso Oriente e a nord, e la attribuzione di un suo ruolo centrale per il [[Caucaso]] nella remota preistoria del genere umano, non erano comunque le riflessioni isolate di un pensatore solitario, ma riflettevano le assunzioni storiche, estetiche, e le ipotesi geografiche del suo tempo.
===Bailly e il termine "caucasico"===
(9) L'invenzione del termine "caucasico" come categoria per descrivere i popoli dalla pelle chiara dell'[[Europa]] e dell'[[Asia occidentale]] si basava su teorie illuministe della diversità umana, così come su valori estetici neoclassici comuni per l'élite europea del XVIII secolo. Lo storico Bruce Baum ha notato che «gli antichi greci [...] vedevano la catena del Caucaso come il luogo della sofferenza di Prometeo» e come «la terra della Colchide» da cui [[Giasone]] e gli [[Argonauti]] salparono alla ricerca del [[vello d'oro]]. Baum ha osservato inoltre che «nell'Europa cristiana, la fonte più importante per le convinzioni sulle origini dell'umanità nel Caucaso è stata il racconto, allora prevalente, secondo cui Noè approdò lì dopo il diluvio».<ref>Bruce Baum, ''The Rise and Fall of the Caucasian Race: A Political History of Racial Identity'' (New York, 2006), 82.</ref>
Baum ha osservato anche che il primo autore a utilizzare il termine "caucasico" come categoria razziale fu il tedesco Christoph Meiners nel [[1785]], e che il termine entrò nel mainstream del discorso scientifico con la terza edizione della tesi di [[Johann Friedrich Blumenbach]] ''De generis humani varietate nativa liber'' ("Della naturale varietà dell'Umanità"), pubblicato nel 1795. Blumenbach spiegava la scelta del termine dichiarando che il [[Caucaso]] «produce la più bella razza di uomini [...] e perché [...] in quella regione, semmai, a quanto pare dovremmo poter posizionare con molta probabilità gli autoctoni del genere umano».<ref>''Ibid.'', 5–6.</ref> Dati i fattori estetici, religiosi, storici e politici in gioco, la designazione del Caucaso come il luogo di nascita del genere umano è stata forse sovradeterminata.
(10) A differenza dei suoi contemporanei tedeschi Meiners and Blumenbach, e questo va notato, Bailly non ha mai usato la parola "caucasico" come termine descrittore di una razza; per lui, inoltre, il [[Caucaso]] non era neanche la dimora originaria degli Atlantidei, ma la posizione da cui diffusero la civiltà agli antichi greci. Queste distinzioni sottili, tuttavia, furono facilmente trascurate mentre la nozione di "razza caucasica" a poco a poco metteva le proprie radici nell'immaginario europeo.
===La problematica del clima===
(12) La teoria di un Atlantide settentrionale di Bailly, tuttavia, sollevato più difficoltà di quante ne risolvesse. Infatti, riflettendo l'ipotesi aristotelica dell′''aurea mediocritas'' (una giusta via di mezzo), la teoria illuministica del clima, come essa era stata sviluppata da Montesquieu e Buffon, presentava entrambi i climi, sia quello polare che quello equatoriale, come barriera allo sviluppo umano.<ref>Minuti, ''Oriente barbarico e storiografia settescentesca''.</ref>
Nella sua risposta a Bailly, Voltaire espresse dubbi sul fatto che l'astronomia sarebbe potuto essere stata inventata in «un clima coperto di neve e gelate orribili», concludendo che «la terra con delle notti incantevoli è l'unica in cui l'astronomia sarebbe potuto essere nata».<ref>''Letter of Voltaire to Bailly'', 9 Feb. 1776, riprodotta in Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 12–14.</ref> Il duro clima dell'Asia settentrionale rappresentava quindi una barriera concettuale per le teorie di Bailly che necessitava di essere spiegata.
Al fine di affrontare queste obiezioni e per spiegare la migrazione verso sud degli antichi Atlantidei, Bailly adottò il modello del raffreddamento globale proposto precedentemente da Buffon, che cercava di spiegare la presenza degli elefanti (in realtà dei [[mammut]]) nel Nord Europa, sostenendo che la terra in passato fosse stata molto più caldo di quanto lo fosse invece allo stato attuale, e che le zone adesso fredde fossero una volta temperate e piacevole da abitare. «Non è strano − sottolineava Bailly − che il signor Buffon, ipotizzando il raffreddamento del globo, immaginava che gli uomini avevano dovuto originariamente abitare l'altopiano della [[Siberia]], zone pianeggianti più elevate rispetto alla maggior parte delle montagne del mondo, in quanto furono le prime ad essersi raffreddate, e quindi le prime terre abitabili».<ref>Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 266.</ref>
Spiegando che il «fuoco centrale» al centro della terra conservava calore sufficiente sul pianeta per renderlo abitabile anche in inverno, Bailly citò l'ipotesi di Buffon secondo cui la Terra fosse inizialmente un globo «riscaldato a incandescenza, che poi si è raffreddato, come risultato della sua grande massa, molto lentamente» nel corso di numerosi secoli in moda da «discendere dallo stato d'incandescenza fino ad una temperatura abitabile». Ovviamente questo processo di raffreddamento, per Bailly sarebbe continuato e quindi la Terra sarebbe stata destinata «ad evolversi, dalla temperatura di cui godiamo oggi, fino alla cessazione del calore, ovvero allo stato di ghiaccio e di morte, che dovrà essere la fine di ogni cosa».<ref>''Ibid.'', 270, 308.</ref>
Osservando che «vi è quindi una causa costante che, nel lungo periodo, ha prodotto questi cambiamenti» Bailly suggerì che la dimora originaria del genere umano si trovava molto a nord, all'interno del [[circolo polare artico]], che, poiché la Terra si era gradualmente raffreddata, fu la prima regione del mondo a diventare abitabil. Però l'uomo in seguito dovette fuggire da questa culla originaria dell'umanità quando questa, a causa del raffreddamento, fu ricoperta da un muro di ghiaccio. Come il paradiso biblico, questo Eden artico diventava inaccessibile: «La natura l'ha bloccato. Il mare lì è solido come lo sono i nostri fiumi durante un inverno rigido; una cintura di ghiaccio avvolge il polo, e questo antico mondo è morto per il freddo».<ref>Bailly, ''Lettres sur l'Atlantide'', 251, 435.</ref>
Il modello di Buffon di un cambiamento climatico globale, offriva a Bailly una spiegazione plausibile per l'ascesa macro-storica e la successiva scomparsa di una civiltà primordiale nel lontano nord. Chiamando la [[Tartaria]] come «la culla di tutti i popoli, il "palco" in cui sono state interpretate grandi scene antiche» Bailly dichiarò che: «Se anche è stata devastata dalle guerre, se anche la costituzione della sua aria è cambiata, se anche i suoi abitanti l'hanno ormai quasi abbandonata per paesi più ricchi e desiderabili, non dobbiamo comunque essere ingiusti, cerchiamo di non avere l'ingratitudine e l'orgoglio dei ''parvenus'', e nella nostra opulenza, dobbiamo comunque ricordare la nostra origine».<ref>''Ibid.'', 273.</ref>
Bailly concluse con un appello a Voltaire, «Mi permetto di pregarla, signore, a credere nel raffreddamento della terra, come lei ha creduto nell'attrazione di Newton. Lei è in Francia un apostolo di questa grande verità; offro a lei un'altra verità che merita lo stesso omaggio».<ref>''Ibid.'', 440.</ref>
===Il metodo di Bailly===
(14) L'eclettica metodologia di Bailly si basava non solo sulla mitologia, sulla geologia, e sulla teoria del clima, ma faceva anche uso della [[filologia]]. Ciò non è affatto sorprendente, in quanto l'etimologia era centrale alla moderna "geografia sacra", che cercava di ricavare le origini dei popoli contemporanei progenitori dalla [[Bibbia]], mentre, nel [[XIX secolo]], una molto più rigorosa scienza della filologia sarebbe diventata centrale per la ricostruzione degli alberi genealogici delle civiltà mondiali.<ref>Maurice Olender, ''The Languages of Paradise: Race, Religion, and Philology in the Nineteenth Century''</ref>
Bailly stesso non era un linguista (infatti, la sua limitata padronanza delle lingue classiche fu citata da coloro che si opposero alla sua entrata nell'[[Académie des inscriptions et belles lettres]]<ref>Smith, ''Jean-Sylvain Bailly: Astronmer, Mystic, Revolutionary'' 497</ref>), ma in una delle sue prime opere, l′''[[Elogio di Leibniz (Bailly)|Éloge de Leibniz]]'', composto un decennio prima per l'[[Accademia di Berlino]], Bailly aveva lodato il filosofo tedesco per aver riconosciuto l'importanza dello studio comparativo del linguaggio nella ricostruzione della preistoria dei popoli, notando che proponeva «di scavare dalle stesse lingue dei popoli la tanto ricercata conoscenza delle proprie origini e i legami di parentela con gli altri popoli».<ref>Bailly, ''Discours et mémoires'' (Parigi, 1790), 181–235, 197</ref>
Bailly ritornò su questo tema nella sua corrispondenza con Voltaire, scrivendo: «La struttura del linguaggio riflette l'accento del clima. [...] Le lingue, se ben comprese e ben studiate, possono quindi rivelare l'origine dei popoli, la loro parentela, le terre che un tempo abitavano, il livello di conoscenza che essi hanno raggiunto e il grado di maturità del loro spirito».<ref>Bailly,''Lettres sur l'Atlantide de Platon'', 293.</ref>
In risposta all'obiezione di [[Voltaire]] che nessuna solida evidenza storica aveva dimostrato l'esistenza di questa civiltà settentrionale primordiale, Bailly insistette: «In realtà è rimasto un bel monumento a questi educatori stranieri [...] è il sanscrito, è questa lingua dotta, abbandonata da coloro che la parlavano a persone che ormai non la capiscono più. [...] Quale più grande prova può essere data ad un filosofo come te, signore? Una lingua morta presuppone un popolo distrutto, questa è una verità inconfutabile».<ref>''Ibid.'', 17, 19.</ref>
Bailly paragonò la conservazione del sanscrito tra l'élite [[Brahmani|Brahmanica]] con l'uso continuato del latino tra gli eruditi francesi, e suggerì che, proprio come i francesi erano stati originariamente civilizzati dai Romani, questa evidenza linguistica dimostrava che gli Indiani in passato sono stati civilizzati da un popolo straniero che parlava il [[sanscrito]].<ref>Bailly, ''Lettres sur l'origine des sciences'', 85.</ref>
Anche se Bailly non sapeva né poteva leggere il sanscrito, né qualsiasi altra lingua asiatica antica o moderna, egli anticipò il ruolo che la filologia avrebbe giocato nella ricostruzione delle rotte migratorie e nella costruzione del mito ariano nei decenni successivi.
Egli ha poi discusso gli sforzi storico-linguistici di Leibniz, de Brosses, e Court de Gebelin, notando con approvazione la classificazione di Leibniz in lingue del nord come "Iafetiche" (dopo che il figlio di Noè, i cui discendenti si credeva che avessero colonizzato l'Europa), e in quelle del sud come "Aramee", una divisione che Bailly associava ai due lati del [[Caucaso]].<ref>Bailly, ''Lettres sur l'Atlantide de Platon'', 302.</ref> Come vedremo, i filologi e filosofi successivi avrebbero costruito una nuova scienza dell'uomo su questa distinzione linguistica, che descrive il primo gruppo indo-tedesco, [[indoeuropeo]] o [[ariano]] e il secondo come semitico.<ref>Poliakov, ''The Aryan Myth'', 193.</ref>
==Le ''Lettres'' a Voltaire==
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