Fortuna caeca est: differenze tra le versioni

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'''''Fortuna caeca est''''' è una [[locuzione latina]] che si traduce con «La fortuna è cieca».
 
È una espressione tratta da un passo di [[Cicerone]] che, nel ''[[Laelius de amicitia]]'' (15,54), scrive precisamente che: ''Non enim solum ipsa Fortuna caeca est, sed eos etiam plerumque efficit caecos quos complexa est'' (Non solo, infatti, la fortuna è cieca essa stessa, ma per lo più rende ciechi anche coloro che abbraccia).
 
Il motivo è unaripreso ripresa delladalla commedia greca, in particolare deldal [[Pluto (Aristofane)|Pluto]] di [[Aristofane]], dove a essere cieca e a rendere ciechi è però la ricchezza. Tuttavia, il parallelismo resistenon ne soffre in quanto la dea [[Fortuna (divinità)|Fortuna]] dei Romani ricopre funzioni simili a quelle del dio greco Plutos. La fortuna è cieca anche per altri autori latini quali [[Marziale]], [[Ovidio]], [[Plinio il Vecchio]], e [[Seneca]]. Si dissocia dal ritenere cieca la fortuna, [[Dionisio Catone]], secondo cui è l'individuo che deve imparare ad agire con raziocinio e con le dovute cautele, e quindi a essere cieco è più l'uomo che la fortuna.
 
In epoca moderna, il motivo torna, tra gli altri, in [[William Shakespeare|Shakespeare]] che, nell' [[Enrico V (Shakespeare)|Enrico V]] fa dire a Fluellen: ''La fortuna è dipinta cieca, con una benda sugli occhi''; e in [[Gente in Aspromonte]] di [[Corrado Alvaro]], con l'interessante variante: ''L'invidia ha gli occhi e la fortuna è cieca.<ref>''Dizionario delle sentenze latine e greche'', a cura di Renzo Tosi, Rizzoli, Milano, 2000, p. 393.</ref>