Storiografia sull'attentato di via Rasella: differenze tra le versioni

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Recensendo il saggio di Portelli, Paolo Pezzino scrive che «la valutazione della ricaduta dell'azione sulla popolazione non poteva non essere stata presa in considerazione dai gappisti, e appare poco convincente Portelli quando sostiene che non era affatto scontata la reazione tedesca, dato che in passato l'automatismo fra azione partigiana e rappresaglia tedesca non era scattato, e "al centro di Roma erano già avvenuti attentati in cui erano stati uccisi parecchi tedeschi, senza che ne seguisse una rappresaglia sulla popolazione". Egli stesso deve ammettere che via Rasella non era "il primo attentato partigiano – ma il primo ''che non si può pubblicamente fingere di ignorare''", e quindi, proprio per la sua "combinazione di gravità e visibilità", una rappresaglia era da considerare più che probabile, anche se non se ne potevano prevedere le esatte dimensioni»<ref name=pezzino243>{{cita|Pezzino 2000|p. 243}}.</ref>.
 
Pezzino ribadisce la propria tesi secondo cui la rappresaglia fu «una delle conseguenze volute dai gappisti» per costringere la popolazione a schierarsi, come spiegato da Giorgio Bocca «in un libro che per essere stato scritto in tempi più tolleranti verso le ideologie rivoluzionarie è senz'altro meno reticente su questo punto»<ref>{{cita|Pezzino 2000|ppp. 244}}.</ref>. Tale mutamento interpretativo nella storiografia più favorevole ai gappisti va inquadrato, secondo Pezzino, in una generale «autocensura partigiana» sulla propria «identità rivoluzionaria», dovuta a «un imbarazzo, precisamente quello di riportare la giustificazione delle proprie azioni a motivazioni di un'ideologia rivoluzionaria oggi non solo sconfitta sul terreno politico, ma anche accompagnata da un generale e progressivamente incontrastato disdoro sul piano etico. Eppure è da presumere, considerando i caratteri di quell'ideologia, nella specifica declinazione [[stalinismo|stalinista]] che era propria di quegli anni, che proprio l'intento rivoluzionario fosse prevalente in molti di quei giovani che con cosciente scelta politica parteciparono alla resistenza, e tanto più in gappisti come quelli romani, per lo più intellettuali di giovane età, e perciò propensi ad una valutazione positiva di gesti estremi»<ref name=pezzino243/>.
 
=== Rab Bennett, ''Under the Shadow of the Swastika'' (1999) ===