:Il termine Dio, che assume significati diversi a seconda delle culture, indica un'entità superiore dotata di potenza straordinaria<ref>
« Dio: termine ( dal latino omissis) designante con significati diversi a seconda delle culture, un'entità superiore dotata di potenza sovrumana. » (Mario Bendiscioli. Dio in Enciclopedia di filosofia. Milano, Garzanti, 2007, p.288). Cfr. anche ad es. Mario Bendiscioli. Dio in Enciclopedia di filosofia. Milano, Garzanti, 2007, pag.266</ref>.
:Nelle religioni monoteistiche il termine si riferisce all'Essere supremo, generalmente concepito come eterno e creatore dell’universo. Nelle religioni politeistiche l'uso riguarda invece gli esseri venerati, in genere immortali, dotati di personalità e di poteri straordinari<ref>Cfr. Treccani.it: “Nelle religioni monoteistiche, essere supremo, concepito e spesso adorato universalmente come eterno, creatore e ordinatore dell’Universo. Nelle religioni politeistiche, ciascuno degli esseri venerati come superiori all’uomo, dotati di personalità e immortali”.</ref>. Nell'ambito della storia della religione sono possibili anche altri usi del termine <ref>« Nell'ambito della storia delle religioni, sono stati acriticamente intesi con tale categoria vari esseri extraumani o sovrumani concepiti dalle diverse culture religiose, mentre l'uso scientifico del termine copre due sole concezioni: la divinità dei politeismi e il D. unico dei monoteismi. Si tratta di due concezioni diverse, e l'uso comune del nome D. è giustificato dalla loro connessione storica: tutte le formazioni monoteistiche note si sono realizzate contrapponendo un D. unico alla molteplicità degli dèi politeistici, e dunque assumendo per il proprio D. le loro caratteristiche strutturali » (Dario Sabbatucci. Dio in l'Enciclopedia, vol.6. Torino, Utet/La Repubblica, 2003, p.411)</ref>: la parola “Dio” può avere infatti una pluralità di significati ed è, per questo, di problematica definizione<ref>Una riflessione sul tema è proposta da P. Owen « The term god is very vague; its common uses include reference to an extremely wide range of sorts of thing, including living human beings (for example, the Egyptian pharaohs and the Roman emperors), humanlike beings with superhuman powers (for example, the Greek pantheon), and impersonal or even abstract concepts (for example, the Hindu Brahman). The aim of this article is to distinguish between some of the most important of these notions and to introduce some of the main ways in which different cultures have thought about and behaved toward their gods. It’s perhaps worth pointing out at the beginning that the notion of gods is, while not independent of that of religion, certainly not coextensive with it. It’s even more difficult to give a single, universally accepted definition of religion than to do so for gods, but few would deny that it’s possible for a religion to do without gods (as, for example, do many forms of Buddhism) and for someone to believe in the existence of gods while engaging in no religious practices or committing herself or himself to any particular set of religious doctrines. »
« It is very difficult—perhaps impossible—to give a definition of “God” that will cover all usages of the word and of equivalent words in other languages. Even to define God generally as “a superhuman or supernatural being that controls the world” is inadequate. “Superhuman” is contradicted by the worship of divinized Roman emperors, “supernatural” by Benedict Spinoza’s equation of God with Nature, and “control” by the Epicurean denial that the gods influence the lives of men. Therefore, while the above definition satisfies a wide range of usages, it is not universally applicable. This entry will deal with five problems: the transcendence and immanence of God, his relation to the world, his chief attributes, the extent to which he is “personal,” and the ways by which he can be known. In discussing these problems it will be necessary to consult the data provided by both religion and philosophy. But purely religious data (in contrast with theological speculations based on them) will be mentioned only when they are relevant to philosophical understanding. »
(H. P. Owen (1967) ma riproposta nell'edizione del 2006 vol.4 p.107)
</ref><ref>Sulla problematicità della nozione si sofferma anche P. J. King:
« The concept of god with which most readers will be familiar is probably that associated with the standard monotheistic religions: an infinite being described as the omnipotent, omniscient, transcendent creator of the world. This notion is extremely variable, though, even leaving aside pantheism and panentheism. For example, the one god is sometimes thought of as a person and sometimes as an abstract existence; sometimes as eternal (that is, outside time) and sometimes as sempiternal (that is, in time but without beginning or end); sometimes as involved with the world and sometimes as detached from it. »
(Peter J. King p.1095)</ref>
:La credenza in un Essere divino, pur nella pluralità delle sue forme, è trasversale alle diverse culture, tanto da assumere carattere quasi universale<ref>
« Quel che non ammette alcun dubbio è la quasi-universalità della credenza in un Essere divino celeste, creatore dell'Universo e garante della fecondità della terra (grazie alle piogge che versa). Questi Esseri sono dotati di prescienza e sapienza infinite, hanno instaurato le leggi morali, spesso anche rituali del clan, durante la loro breve dimora sulla terra; sovrintendono all'osservanza delle leggi, e fulminano con la folgore chi le viola. »
(Mircea Eliade. Traité di historie des religions (1948). In italiano:Trattato di storia delle religioni. Torino, Boringhieri, 1984, pag.42)
</ref><ref>
« Una delle maggiori conquiste dell'attuale ricerca storico-religiosa va senz'altro considerata la dimostrazione che quasi tutti i popoli, quelli senza scrittura e quelli civilizzati, hanno una fede in Dio. La fede in Dio rappresenta dunque il punto centrale della religione. Questa fede presenta, com'è ovvio, i caratteri più disparati da una religione all'altra; ma si possono osservare delle tipiche varianti che ricorrono con sorprendente regolarità nel corso della storia delle religioni. Grosso modo avviene questo: le specie principali di fede in Dio a noi note si distribuiscono attraverso l'intero spettro delle varie religioni storiche, cosicché non è in base a una diversa forma di fede nella divinità che l'una religione si distingue dall'altra. È dato invece di rilevare che spesso in una stessa religione coesistono diverse immagini e concezioni della stessa divinità. »
(Geo Widengren. Religionsphänomenologie (1969). In italiano: Fenomenologia della religione. Brescia. EDB, 1984, pag.121)
</ref>: un elemento comune può essere rintracciato nella sensazione di meraviglia, o stupore, provati di fronte a una potenza percepita come straordinariamente diversa, che rimanda al [[sacro]]<ref>
« Quando diciamo che Dio è l'oggetto dell'esperienza religiosa vissuta, dobbiamo tener presente che Dio è spesso una nozione assai poco precisa; molte volte questa nozione non si identifica affatto con quel che abitualmente intendiamo per Dio. L'esperienza religiosa vissuta si riferisce a qualche cosa: in molti casi è impossibile dire più di questo, e perché l'uomo possa a attribuire a questo qualche cosa un qualsiasi predicato, è necessario che venga costretto a rappresentarselo come qualche cosa di diverso. Sull'oggetto della religione quindi si potrà dire anzitutto questo: è qualche cosa di diverso, che sorprende. Con Söderblom, è il caso di trovare la meraviglia all'inizio non solo della filosofia, ma anche della religione. Finora non parla affatto di soprannaturale o di trascendente, anzi si può parlare di Dio soltanto in modo improprio; abbiamo soltanto un'esperienza vissuta, collegata al diverso che stupisce. Lungi dal prospettare la minima teoria e neppure la più elementare generalizzazione, ci contentiamo della constatazione empirica: quest'oggetto esce dall'ordinario. E ciò risulta dalla potenza che l'oggetto sprigiona. »
(Gerardus van der Leeuw. Phanomenologie der Religion (1933). In italiano: Gerardus van der Leeuw. Fenomenologia della religione. Torino, Boringhieri, 2002, pag.8-9)
</ref><ref>
« Infine, la relazione degli uomini con questa potenza è caratterizzata dallo stupore, dal timore, in casi estremi dallo spavento (Marett usa qui la bella parola inglese awe). Questo perché la potenza è considerata non soprannaturale ma straordinaria diversa. Gli oggetti e le persone investiti di potenza hanno una natura specifica, quella che noi chiamiamo sacra. »
(Gerardus van der Leeuw. Phanomenologie der Religion (1933). In italiano: Gerardus van der Leeuw. Fenomenologia della religione. Torino, Boringhieri, 2002, pag.11-12)
</ref>.
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