Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord: differenze tra le versioni

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|successore = Occupazione di [[Gioacchino Murat]]
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Dopo il [[colpo di Stato del 18 brumaio]] e dopo avere recuperato, per inciso, tre milioni di franchi destinati a "facilitare" le dimissioni di Barras, Talleyrand ritrova il suo posto di ministro: Napoleone è affascinato dal nome del casato dei Talleyrand e ha molta stima delle qualità diplomatiche del suo nuovo ministro, anche se ne detesta la licenziosità di costumi (Gli impone infatti di lasciare la bella indiana, madame Grand, o di sposarla: cosa che Talleyrand farà prontamente) ([[1801]]). Dalla Worlee Talleyrand ha già avuto nel [[1799]] una figlia, inizialmente dichiarata di padre ignoto e che Talleyrand adotterà nel [[1803]], facendolasposandola poi sposare, nel [[1815]], conal il viscontebarone Alexandre-Daniel de Talleyrand, suo cugino. Il matrimonio viene celebrato solo con rito civile in quanto il [[papa Pio VII]] concede sì la riduzione dell'ex vescovo allo Stato laicale, ma non il permesso di contrarre matrimonio. Napoleone accetta quindi di averlo non solo come ministro ma anche come consigliere.
 
Nella sua posizione di ministro degli affari esteri Talleyrand comincia a tessere una rete di relazioni che gli verranno molto utili in futuro. Partecipa attivamente alla formulazione dei trattati internazionali che seguono i numerosi conflitti scatenati dal Primo Console (poi Imperatore) ma non è un compito facile: Bonaparte non lascia infatti molto spazio ad altri nella gestione del governo, in particolare modo nella gestione del dicastero degli affari esteri. I trattati di [[Trattato di Mortefontaine|Mortefontaine]] (che chiuse il contenzioso con gli Stati Uniti) e di [[Trattato di Lunéville|Lunéville]] sono conclusi praticamente senza l'intervento di Talleyrand, ma da Napoleone suo fratello [[Giuseppe Bonaparte|Giuseppe]], senza però che il ministro si faccia problemi: sa tenersi da parte quando è il caso e comunque approva la pace generale: sa che la Francia ne ha bisogno e ne ha bisogno soprattutto l'economia, nella quale lui stesso ha personali interessi (non ha perso infatti la sua passione per gli affari che conduce con grande abilità e che lo arricchiscono notevolmente). Inoltre si tratta di trattative senza grande importanza che non lo interessano e che lascia volentieri alla volontà accentratrice del Primo Console, anche se svolge un ruolo importante quando viene inviato in missione a [[Milano]], dove con la sua consumata abilità convince gli italiani a eleggere Bonaparte Presidente della [[Repubblica Cisalpina]]. Napoleone dunque sa di aver bisogno del principe di Périgord, per la sua maestria diplomatica e soprattutto nel momento in cui decide un riavvicinamento alla nobiltà francese in vista della sua nomina a Imperatore. Il [[trattato di Amiens (1802)|trattato di Amiens]] (del 25 marzo [[1802]], ben più consistente dei precedenti sul piano internazionale), che sanciva la pace con l'Inghilterra e fu il più importante successo di politica estera del Consolato, viene invece concluso con il fondamentale contributo di Talleyrand, forte anche dei suoi buoni rapporti con la diplomazia d'Oltremanica. L'annessione del [[Piemonte]] alla Francia (11 settembre [[1802]]) è invece un'operazione cui Talleyrand si dimostra subito ostile. Questo provvedimento infatti contrasta con i suggerimenti di Talleyrand che propendeva per una restituzione dei territori conquistati nelle campagne di guerra in Europa, secondo un principio che ispirerà (promosso anche dallo stesso Talleyrand) il [[Congresso di Vienna]] del [[1814]].
 
Sempre su pressione del Bonaparte, ma pure con il suo aiuto finanziario, Talleyrand acquista nel [[1801]] il [[castello di Valençay]]: si tratta, con i suoi 120 km², di una delle più grandi dimore private dell'epoca. Talleyrand vi soggiorna regolarmente, in specie dopo i periodi di cure termali a [[Bourbon-l'Archambault]]. Nel castello saranno ospitati gli Infanti di Spagna, prigionieri di Napoleone.
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Nel marzo [[1804]] avviene un fatto clamoroso la cui responsabilità viene attribuita da molti al Talleyrand, se non altro come colui che lo ideò e lo consigliò a Napoleone: il rapimento e l'esecuzione del [[Luigi-Antonio Enrico di Borbone-Condé|duca d'Enghien]], (21 marzo [[1804]])<ref>[[Luigi-Antonio Enrico di Borbone-Condé|Louis Antoine Henry, duca d'Enghien]] (1772 – 1804), ultimo discendente dell'illustre casata dei principi di [[Borbone-Condé]] (risalenti a Carlo, duca di Vendôme e nonno di [[Enrico IV di Francia|Enrico IV]]), era fuggito in Inghilterra per scampare alla Rivoluzione e successivamente si era stabilito a Ettenheim, nel Baden, ove aveva segretamente sposato Charlotte de Rohan-Rochefort. Attivo antirivoluzionario, fu indicato, senza che poi il fatto fosse stato accertato, come ideatore e organizzatore di un piano per rovesciare [[Napoleone Bonaparte]] e restaurare la monarchia borbonica, in combutta con un famoso ''chouan'', come si definirono i capi delle rivolte vandeane, [[Georges Cadoudal]]. Quest'ultimo fu arrestato, poco prima del blitz francese in Ettenheim, e giustiziato a giugno dello stesso anno.[[Joseph Fouché|Fouché]], abile Ministro di Polizia, aveva smascherato l'intero complotto, ma si era opposto fermamente al rapimento (non tanto per spirito di umanità, quanto perché consapvole del danno diplomatico che sarebbe stato arrecato al regime da questo gesto).</ref> Pare che sia proprio dopo l'eco d'indignazione sollevata in Europa da questo evento (Il duca di Enghien fu prelevato per ordine di Napoleone da un reparto di cavalleggeri appartenenti alla [[Guardia imperiale (Primo Impero)|Guardia imperiale]] comandati dal generale Ordener nel paese di [[Ettenheim]], nel [[Baden (stato)|Baden]], violando apertamente la sovranità di uno Stato estero) che Talleyrand abbia pronunciato la famosa frase (in realtà attribuita al collega [[Joseph Fouché|Fouché]]): «È stato peggio di un crimine, è stato un errore».<ref>[[Guido Gerosa]], ''Napoleone, un rivoluzionario alla conquista di un impero'', Milano, Mondadori, 1995, p. 297. Questa frase tuttavia viene attribuita a sé stesso dal capo della polizia [[Joseph Fouché|Fouché]] nelle sue ''Mémoires'', edite da L. Madelin, Parigi, 1945, vol. I pp. 215-217 (citate così da David G. Chandler, ''Le Campagne di Napoleone'', Milano, R.C.S. Libri S.p.A., 1998, pag. 400, vedi anche Stefan Zweig, ''Fouché'', Ed. Frassinelli, Como, 1991)</ref> Nelle sue memorie Napoleone comunque attribuirà solo a sé stesso la responsabilità dell'«errore».
 
[[File:Jacques-Louis David, The Coronation of Napoleon edit.jpg|thumb|upright=1.4|left|Il [[L'incoronazione di Napoleone|celebre dipinto]] di [[Jacques-Louis David|David]] raffigurante l'incoronazione di Napoleone I a Imperatore dei francesi: Talleyrand è l'ultimo personaggio in primo a piano a destra, con il mantello rosso.]]Ormai divenuto gran ciambellano Talleyrand riceve a [[Fontainebleau]] [[papa Pio VII]] (dal quale ha nel frattempo ottenuto la definitiva riduzione allo Stato laicale), venuto a [[Parigi]] per incoronare Napoleone imperatore dei francesi e assiste il 2 dicembre [[1804]] alla sua consacrazione, da lui stesso promossa come garanzia della stabilità del nuovo regime. Assisterà poco dopo anche all'incoronazione del Bonaparte a re d'Italia in [[Milano]] (18 maggio [[1805]]), pur essendovi contrario. Nel frattempo la politica di pacificazione europea perseguita da Talleyrand e dallo stesso Napoleone è naufragata: disattendendo i consigli del suo ministro infatti, il neo-imperatore ha chiaramente manifestato una volontà di egemonia europea che gli ha nuovamente messo contro le altre potenze del continente, [[Gran Bretagna]] in testa le quali si uniscono nella [[Terza coalizione]], rompendo tutti i precedenti Trattati di pace. Dopo la [[Battaglia di Ulma|vittoria di Ulm]], Talleyrand invia da [[Strasburgo]] un dispaccio all'Imperatore in cui gli suggerisce di usare il successo appena conseguito per spingere l'Austria a costituire una Lega delle Potenze europee (Austria, Francia, Russia, Regno Unito e Prussia), allo scopo di garantire la pace del Continente. Non verrà ascoltato.[[File:Charles Thévenin - Reddition de la ville d'Ulm.jpg|upright=1.4|thumb|''La Resa della città di Ulma'' di Charles Thévenin.]] Nel [[1805]] è comunque Talleyrand a firmare con molte riserve, dopo la brillante campagna d'[[Austria]] e la sfolgorante vittoria di [[Battaglia di Austerlitz|Austerlitz]] (e dopo la disfatta navale di [[battaglia di Trafalgar|Trafalgar]]), il [[pace di Presburgo|trattato di Presburgo]], che pone fine alla guerra in maniera ancora favorevole alla [[Francia]]. In ogni caso il ministro non segue alla lettera le indicazioni di Napoleone e apporta alcune modifiche meno punitive al Trattato, in particolare accordando uno "sconto" del 10% sulle riparazioni di guerra imposte dal vincitore: per questo Bonaparte lo accusa, infondatamente, di essere stato corrotto dagli Austriaci. In realtà egli ha cercato solo di mitigare, dove poteva, le clausole della pace, poiché riteneva che l'[[Impero austriaco|Austria]] fosse un elemento fondamentale dell'equilibrio e della stessa civiltà europea e dunque la Francia dovesse ricercarne la collaborazione e non la distruzione. Talleyrand intuisce a questo punto con il suo sesto senso che la via imboccata da Napoleone è senza uscita e rovinosa. Il genio militare di Bonaparte non sarà infatti sufficiente in eterno per tenere a bada le potenze europee coalizzate e il ministro comincia a perorare sempre di più presso l'Imperatore la causa della pace della moderazione: sostiene (e i fatti gli daranno ragione), che è necessario attuare una politica che garantisca l'equilibrio tra potenze in [[Europa]], che le Nazioni più forti non prevarichino quelle più deboli e collaborino tra loro in un assetto nel quale i governi sono tali perché legittimamente costituiti e riconosciuti dalle diplomazie e dai popoli (gli stessi concetti che riproporrà, questa volta con successo, al [[Congresso di Vienna]]). È fin troppo evidente la critica allo strapotere francese e ai mercanteggiamenti di troni sui quali Napoleone pone invariabilmente suoi parenti senza alcuna legittimazione storica: la costruzione è interamente legata alla sua persona e per questo troppo fragile: Talleyrand lo sa e lo fa presente all'Imperatore. Quest'ultimo però, ormai accecato dall'ambizione, non se ne dà per inteso e comincia a sospettare del suo ministro pur continuando a servirsi di lui. Il 12 luglio [[1806]] firma il Trattato che dà vita alla [[Confederazione del Reno]], che lui ritiene, giustamente, solo uno strumento di dominio di Napoleone e non una garanzia della pace. Costretto a seguire l'Imperatore da una capitale all'altra durante le continue campagne militari, il principe di Périgord, che alla vita movimentata di questi viaggi preferisce di gran lunga i comodi conversari dei salotti parigini, si disamora sempre più del Bonaparte per il quale anni prima aveva avuto una quasi venerazione. Comincia infatti a intuire che l'ambizione di Napoleone è eccessiva e può portare la Francia alla rovina: Talleyrand teme per sé stesso e per la [[Francia]]; l'imperatore comincia a intuire sempre di più la disaffezione del suo ministro ma conoscendo la sua abilità e intelligenza diplomatica non intende privarsi della sua preziosa collaborazione. È in questo periodo che Talleyrand comincia a tessere una diplomazia parallela e segreta con lo Zar di [[Russia]], [[Alessandro I di Russia|Alessandro I]] e con l'[[Impero austriaco|Austria]], allo scopo di accreditarsi come alternativa a Napoleone e assicurare a sé stesso e alla [[Francia]] un futuro dopo la sua caduta.
 
[[File:Gillray-Tiddy-Doll.png|thumb|upright=1.6|left|Tiddy-Doll, il grande panettiere francese, tira fuori un'altra infornata di re, mentre il suo aiutante Talley, cioè Talleyrand, fa l'impasto (Caricatura inglese, opera di [[James Gillray]], [[1806]]). In realtà Talleyrand era contrario a questa politica, ma vi si adattava per non insospettire l'Imperatore.]] Nel [[1806]] Talleyrand è nominato principe sovranoregnante di [[Principato di Benevento (età napoleonica)|Benevento]], piccolo Stato fondato nella città sottratta allo [[Stato Pontificio|Stato della Chiesa]], come riconoscimento per i suoi servigi. Non si recherà mai in visita nel suo piccolo regno, delegando un ottimo governatore per il disbrigo delle incombenze di un capo di Stato, ma ci si affeziona ugualmente, evita di approfittarne per arricchirsi ancor di più a spese anche dei beneventani e quello sarà per il piccolo regno un periodo di ottimo governo (durato però solo otto anni).
 
[[File:Treaty of Tilsit.jpg|thumb|[[Nicolas Gosse]], Il trattato di Tilsit fu un evento chiave dell'epopea napoleonica cui Talleyrand partecipò in qualità di ministro degli Esteri (è riconoscibile in cima alla scala, sulla sinistra).]]
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=== La fine dell'Impero ===
[[File:Charles Maurice de Talleyrand-Perigond.jpg|thumb|left|Talleyrand in uniforme di Gran Ciambellano di Francia, di [[Pierre Paul Prud'hon|Pierre-Paul Prud'hon]]; la carica gli venne assegnata da Napoleone ma Talleyarand la mantenne anche sotto la [[Restaurazione]].]]
Da questo momento i rapporti fra l'imperatore e il principe di Périgord diventano sempre più tesi e Napoleone non si lascia sfuggire occasione per rendere difficile la vita al suo ex ministro, come quando impone con la forza l'allontanamento da Parigi della moglie di Talleyrand, Catherine Noele Grand (1762-1834), a causa della sua condotta licenziosa (è pubblicamente l'amante del principeduca di San Carlos). Nello stesso tempo però l'imperatore avverte la mancanza di un consigliere e ministro della capacità e acume di un Talleyrand, soprattutto se paragonato alla mediocrità di coloro che al momento lo circondano, tanto da proporgli un paio di volte di riprendere il suo incarico ministeriale, ma l'ex vescovo si nega e prende sempre di più e pubblicamente, nel modo vellutato e salottiero che gli è tipico, le distanze da quell'uomo che, secondo lui e a ragione, rovinerà molto presto. Tuttavia Talleyrand non ha perso l'ammirazione nei confronti di Bonaparte, pur disapprovandone l'espansionismo: sa bene che, se Napoleone gli deve molto, lui stesso deve molto a Napoleone: l'uno non potrebbe esistere senza l'altro, e senza l'Imperatore la sua stessa carriera sarebbe stata compromessa; forse è per questo che Talleyrand, nonostante la sua crescente disapprovazione, si rifiuterà sempre di infierire su Napoleone, sempre consapevole della sua grandezza e del debito che lui stesso ha nei suoi confronti. D'altra parte nei salotti parigini, in quel tempo, monta sempre più un clima anti-napoleonico e Talleyrand in quel mondo ci sguazza: conversatore persuasivo e affascinante, la battuta dissacrante e il paradosso sono le sue armi dialettiche migliori e per questo la sua presenza era ed è ambita in tutti i salotti che nello stesso tempo fanno cassa di risonanza a quanto il principe di Périgord si lascia, volutamente, sfuggire dalle labbra. Nonostante questo Talleyrand continua a mantenere la sua collaborazione con Bonaparte: sarà lui infatti a organizzare insieme a [[Joseph Fouché|Fouché]] e con l'aiuto del ministro austriaco [[Klemens von Metternich]], il matrimonio con l'arciduchessa [[Maria Luisa d'Asburgo-Lorena]] anziché con la granduchessa di Russia Anna Romanov, come in un primo tempo pensava Napoleone.[[File:Napoleon Marie Louise Marriage.jpeg|thumb|Le nozze di Napoleone e Maria Luisa al Louvre. Talleyarand negoziò le nozze con [[Klemens von Metternich|Metternich]] su richiesta dell'Imperatore.]] Non ascolta invece il consiglio di trattare, che Talleyrand, richiestone, gli dà dopo la sconfitta della [[Beresina]] e si rivelerà un errore. Poi arriva la disfatta di [[battaglia di Lipsia|Lipsia]] (16-18 ottobre [[1813]]) e il successivo breve e precario armistizio.
 
Nel novembre del medesimo anno Napoleone gli offre ancora un volta il ministero degli affari esteri, ma il lungimirante principe di Périgord declina ancora l'offerta. Non può rifiutarsi però di accettare di divenire membro del Consiglio Imperiale di Reggenza, presieduto dal fratello dell'imperatore [[Giuseppe Bonaparte]], che deve sostituire lo stesso Napoleone durante la sua assenza dovuta alla necessità di respingere l'invasione della Francia da parte delle truppe della [[sesta coalizione]].
 
All'inizio del [[1814]] gli eventi precipitano: le truppe del maresciallo [[Gebhard Leberecht von Blücher|Blücher]] attraversano il [[Reno]] in tre punti, i Paesi Bassi e il Belgio si ribellano, appoggiate dalle truppe di [[Friedrich Wilhelm von Bülow|von Bülow]] e dell'inglese Graham, il cognato [[Gioacchino Murat]], auspice la moglie, e sorella dell'imperatore, [[Carolina Bonaparte|Carolina]], gli negano il contingente promesso, da sud, sotto i [[Pirenei]], avanzano gli uomini di [[Arthur Wellesley, I duca di Wellington|Wellington]]. Le truppe della [[sesta coalizione]] antinapoleonica sono ormai sul territorio francese, l'Imperatore lascia Parigi per combatterle affidando al fratello [[Giuseppe Bonaparte|Giuseppe]] (cacciato l'anno prima dal trono di Spagna) la reggenza dell'Impero con delega piena a trattare. Talleyrand si adopera per informare lo zar Alessandro I e il principe di [[Klemens von Metternich|Metternich]] (da lui conosciuto quando era ministro degli esteri e il cancelliere era appena stato nominato ambasciatore d'Austria a [[Parigi]] nell'agosto [[1806]]) sul modo migliore di prendere Parigi senza eccessivo spargimento di sangue (e per preparare il ritorno dei Borbone nella persona del fratello del re ghigliottinato, Luigi, conte di Provenza, che regnerà con il nome di [[Luigi XVIII di Francia|Luigi XVIII]]).
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Per tutto febbraio e marzo Napoleone combatte come un leone contro il soverchiante nemico: il 10 febbraio sconfigge Blücher a Champaubert, l'11 [[Fabian Gottlieb von Osten-Sacken|Sacken]] a [[Battaglia di Montmirail|Montmirail]] e a [[Battaglia di Vauchamps|Vauchamps]], il 17 mette in rotta, dopo un'aspra battaglia, il principe Eugenio di Württemberg a [[Montereau-Fault-Yonne|Montereau]], il 7 marzo sconfigge di nuovo il Blücher a [[Battaglia di Craonne|Craonne]], il 14, cogliendo di sorpresa i russi di [[Le Priest]] e costringendoli alla fuga riconquista [[Reims]]. In questo frenetico ''tour de force'' emerge ancora, se mai fosse necessario, la differenza fra l'ordinaria abilità dei comandanti degli eserciti alleati e il genio di Napoleone. Ma si tratta degli ultimi guizzi di fiamma di un falò destinato ormai a spegnersi. Il 31 marzo lo zar Alessandro I, primo degli alleati, entra alla testa delle sue truppe in [[Parigi]] ove alloggerà proprio nella casa di Talleyrand in Rue Saint-Florentin in qualità di ospite.[[File:Alexander I of Russia by F.Kruger (1837, Hermitage).jpg|thumb|left|[[Franz Krüger]], ritratto equestre di Alessandro I, (1812). Alessandro e Talleyrand si conobbero a Tilsit e strinsero un profondo rapporto di amicizia.]] L'indomani viene affisso sui muri di Parigi il famoso [[proclama di Parigi]] a firma dello zar. La farina però appartiene al sacco del principe di Périgord. Il 6 aprile [[1814]] Napoleone, sconvolto dal tradimento del suo generale [[Auguste Marmont]], del quale ha appreso che si è arreso senza combattere alle porte di Parigi, firma a [[Fontainebleau]] l'atto d'incondizionata abdicazione. L'Impero è finito.
 
=== La Restaurazione borbonicamonarchica e il Congresso di Vienna ===
All'indomani dell'ingresso in Parigi di Alessandro I Talleyrand è eletto dal senato presidente del Consiglio provvisorio, costituito da cinque membri. Nei giorni che seguono il Senato dichiara decaduto l'Imperatore. Il 5 di aprile Talleyrand presenta al Senato il progetto di Costituzione che viene approvato all'unanimità con qualche modesta variazione. Il giorno prima il generale Marmont s'era arreso con le sue truppe agli Alleati dichiarando di non esser più disposto a combattere per Napoleone. Questi firma il 12 l'accettazione delle condizioni per la sua capitolazione: è l'esilio all'[[isola d'Elba]]. Il capo del governo provvisorio riesce a convincere il Senato ad accettare Carlo di Borbone, conte d'Artois, fratello di Luigi XVIII (e futuro re, alla morte di questi, con il nome di [[Carlo X di Francia|Carlo X]]), quale luogotenente generale sovrano. In tale veste sostituisce il governo Talleyrand (grazie al quale il Senato ha conferito il potere a Carlo di Borbone di formare e presiedere un nuovo governo) e dà corso alle trattative di pace con gli alleati che cominciano già lo sgombero delle loro truppe dal territorio francese. A fine mese si installa sul trono [[Luigi XVIII di Francia|Luigi XVIII]], che nomina Talleyrand, ministro degli affari esteri (13 maggio [[1814]]) non senza nascondere una certa diffidenza per l'ex vescovo,<ref>Pare che Talleyrand abbia percepito chiaramente questa diffidenza ed abbia detto al re al momento di giurare: «Sire, è il tredicesimo giuramento che faccio: spero che sarà l'ultimo» (Pier Damiano Ori e Giovanni Perich, ''op. cit.'', p. 151)</ref>[[File:Gros - Louis XVIII of France in Coronation Robes.jpg|thumb|Luigi XVIII, re di Francia e fratello di Luigi XVI, gestì con Talleyrand la transizione dall'Impero alla Reastaurazione monarchica]] del quale comunque ha un gran bisogno vista l'assoluta mancanza di personaggi dotati di una discreta caratura fra i politici del momento, affidandogli l'incarico specifico di negoziare con le potenze vincitrici le condizioni per la pace. Alla fine del mese si giunge a un primo trattato di pace, il [[Trattato di Parigi (1814)|trattato di Parigi]] che pone anche le premesse del [[Congresso di Vienna]]. Con questo trattato la Francia restituirà immediatamente i territori conquistati e annessi senza un accordo, ancorché estorto, con i legittimi sovrani, dopo il [[1792]]: un apposito Congresso stabilirà la parte residua. Tutto ciò è un grande successo della regia di Talleyrand, che riesce a ottenere il mantenimento del territorio francese intatto (30 maggio [[1814]]). Senza la sua opera, la Francia avrebbe seriamente rischiato di finire come la [[Germania]] dopo la [[seconda guerra mondiale]], smembrata in più pezzi.
[[File:Congresso di Vienna.png|thumb|destra|upright=1.8|Il Congresso di Vienna in un celebre dipinto: da sinistra [[Karl August von Hardenberg|Hardenberg]], [[Klemens von Metternich|Metternich]] e Talleyrand con indosso la parrucca.]]
Il 16 settembre [[1814]] prende avvio il congresso di Vienna e Luigi XVIII pone a capo della delegazione francese il principe di Périgord e sarà proprio lui a firmarne l'atto finale il 9 giugno [[1815]]. Il principio che Talleyrand riesce a far accettare è quello della legittimità della sovranità: ogni nazione deve essere costituita in Stato, sia esso monarchico o repubblicano, legittimamente per naturale evoluzione, per tradizione storica e non per una imposizione di forza dall'esterno. Tutto ciò che è stato frutto di atti di forza, e cioè le conquiste e la costituzione artificiosa di Stati da parte di Napoleone a seguito delle sue campagne militari, deve ritornare come prima, con la sola eccezione dei casi in cui questo «ritorno» risultasse più dannoso per i popoli interessati di quanto lo sia la situazione attuale. Talleyrand riesce così, giocando anche sulle divisioni della altre grandi potenze europee, non soltanto a limitare le sanzioni a danno della Francia (che altrimenti sarebbero ampiamente giustificate dai pesanti danni subiti dalle potenze vincitrici a causa della arroganza e furia distruttiva del Bonaparte), ma a influenzare pure le altre decisioni che riguardavano l'equilibrio dell'Europa in generale. Il ringraziamento per tutto ciò sarà l'obbligo delle dimissioni da primo ministro (poiché tale diventerà dopo il ritorno del re dalla poco dignitosa fuga al termine dei cento giorni di Napoleone) che Luigi XVIII, spinto da aristocratici ultraconservatori memori del suo passato di rivoluzionario, costringe Talleyrand a rassegnare le dimissioni, con il contentino della conferma nella carica di gran ciambellano di Francia il 24 settembre [[1815]].
[[File:Coronation of Charles X of France by François Gérard, circa 1827.jpg|thumb|upright=1.3|left|Incoronazione nella [[cattedrale di Reims]] di Carlo X. Talleyrand è sempre presente, al centro con il cappello piumato, mentre osserva Carlo X che riceve gli omaggi dei principi del sangue.]]
Prima però c'è appunto l'ultimo colpo di coda del Bonaparte: la fuga dall'Isola d'Elba il 26 febbraio 1815 e il suo reinsediamento a Parigi. [[Luigi XVIII di Francia|Luigi XVIII]], appena venuto a conoscenza dello sbarco di Napoleone in [[Provenza]], fugge. Napoleone, giunto a [[Parigi]] sugli scudi, confisca subito i beni del principe di Périgord e poi gli scrive a Vienna per offrirgli l'incarico di ministro degli esteri, incarico che Talleyrand non esita a rifiutare: egli sa benissimo che quello di Napoleone sarà un breve fuoco di paglia e quindi si dà un gran daffare presso le potenze del Congresso per dissociare in qualche modo le responsabilità della nazione che rappresenta dalle future imprese del redivivo Corso (senza gran fatica si direbbe, se, come pare, la fuga dall'Isola d'Elba è stata organizzata all'insaputa di Napoleone da Metternich, [[Robert Stewart, II marchese di Londonderry|Castlereagh]], il rappresentante inglese a [[Vienna]], e Talleyrand, per mettere fine allo stallo delle trattative di Vienna, sotto l'incombenza del pericolo di un ritorno vittorioso del Bonaparte). Ironia della sorte: il suo successore è il [[Armand Emmanuel de Vignerot du Plessis de Richelieu|duca di Richelieu]] (la stessa casata del ben più famoso [[Armand-Jean du Plessis de Richelieu|cardinale di Richelieu]]). Comincia così nuovamente per il principe di Périgord un lungo periodo di riposo forzato. La carica di Gran Ciambellano gli consente di parlare alla Camera dei Pari ove non perde occasione di scagliare la sua oratoria sarcastica e dissacrante contro il nuovo governo. E proprio da quel pulpito si scagliò nel 1821 contro il tentativo del governo di limitare la libertà di stampa, un suo vecchio cavallo di battaglia.
 
=== La monarchia di Luglio ===
Nel [[1830]] [[Luigi Filippo di Francia|Luigi Filippo]] diviene re dopo la [[Rivoluzione di Luglio]] che caccia Carlo X. Il nuovo sovrano, dietro la cui ascesa si intravede ancora la mano del "Diavolo zoppo", nomina Talleyrand ambasciatore a [[Londra]] con lo scopo di rassicurare gli altri Paesi europei, sotto la dipendenza nominale del ministro degli esteri [[Louis-Mathieu Molé|Molé]] al quale naturalmente il principe di Benevento si guarda bene dall'obbedire. Come diplomatico contribuisce in modo determinante all'indipendenza del [[Belgio]], che il Congresso di Vienna, contro il suo parere, aveva annesso ai [[Paesi Bassi]]: reagendo alla sollevazione in armi dei belgi, riesce a far indire una Conferenza a Londra fra le grandi potenze che sancisce l'indipendenza del [[Belgio]]. I riottosi Paesi Bassi tentano l'occupazione armata del nuovo Stato ma Talleyrand riesce a far votare all'assemblea francese la decisione di intervenire militarmente e i Paesi Bassi si ritirano. Potrà così permettersi anche di far salire al trono belga il suo candidato, il principe [[Leopoldo I del Belgio|Leopoldo di Sassonia-Coburgo]]. NelL'ultimo [[1832]]risultato assunseprima perdel brevesuo temporitiro è la caricaquadruplice dialleanza ambasciatorefra franceseInghilterra, inFrancia, Spagna e [[Portogallo]].

Nell'agosto [[1834]] Talleyrand lascia la vita pubblica e si ritira nel castello di [[Valençay]], che abbandona soltanto nel [[1837]], quando si rende conto che i suoi giorni sono contati.

L'avvicinarsi della morte pone Talleyrand in un grande imbarazzo. Se rifiuta i sacramenti getta un'ombra sulle consacrazioni a vescovo costituzionale da lui fatte, dall'altro mal si vede a condurre una vita da penitente per gli ultimi giorni. Solamente quando sente che gli resta poco da vivere acconsente a ricevere il giovane [[Félix Dupanloup]] e a firmare la dichiarazione di ritrattazione che gli viene richiesta, della quale ha soppesato tutti i termini, e a ricevere l'[[unzione degli infermi|estrema unzione]] e il [[eucaristia|viatico]]. Quando il sacerdote&nbsp;– conformemente al rito&nbsp;– deve ungergli le mani con il santo [[olio degli infermi]], gli dice «non dimentichi che sono un [[vescovo]]»: infatti il rito prescrive che l'unzione dei palmi delle mani sia sostituita da quella sul dorso quando essa è conferita a sacerdoti e vescovi, essendo le palme già state consacrate nell'ordinazione sacerdotale e nella consacrazione episcopale,<ref>(Pier Damiano Ori e Giovanni Perich, ''Talleyrand'', p. 195)</ref> riconoscendo così ''in extremis'' la sua qualità episcopale e quindi le consacrazioni da lui fatte. Poco prima di morire riceve l'omaggio di una gran parte del mondo parigino, incluso il re.<ref>A proposito di questa visita del re all'ormai moribondo principe, circolò questa storiella. Talleyrand, che stava soffrendo molto, avrebbe detto al re: «Sire, soffro le pene dell'inferno!» al che [[Luigi Filippo di Francia|Luigi Filippo]], distratto, avrebbe risposto: «Di già?». Inutile dire che non esistono prove storiche del fatto. (Pier Damiano Ori e Giovanni Perich, ''op. cit.'', p. 196)</ref>
 
Alla sua morte lo scrittore [[Ernest Renan|Renan]] disse che Talleyrand, uomo per tutte le stagioni, era riuscito a ingannare la terra e il cielo.