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Rientrato quindi a Trieste e dedicatosi stabilmente all'insegnamento, Schiffrer approfondì negli anni tra le due guerre varie tematiche di geografia politica. Con [[Giorgio Roletto]] curò vari manuali per le scuole, scrivendo pure articoli per la rivista «''Geopolitica»'' diretta dall'allora ministro dell'educazione nazionale [[Giuseppe Bottai]]. Decise però di evitare la carriera universitaria, per non compromettersi troppo col regime fascista.
Con l'intervento italiano nella nuova [[Seconda guerra mondiale|guerra mondiale]], venne richiamato e quindi destinato nella zona di [[Bisterza|Villa del Nevoso]] (allora nella [[provincia del Carnaro]]). Dopo un periodo di congedo, fu richiamato nuovamente per controllare i convogli di soldati alla stazione ferroviaria di Trieste. Dopo l'armistizio e l'occupazione tedesca, Schiffrer iniziò a lavorare presso l'Istituto di studi geografici a Trieste, conoscendo [[Giovanni Cosattini]], nembro del [[Partito d'Azione]] di Udine. L'amicizia con Cosattini determinò, oltre alla definitiva partecipazione di Schiffrer alla [[Resistenza italiana|Resistenza]], anche il suo inevitabile coinvolgimento nelle discussioni con il movimento resistenziale jugoslavo a proposito del confine orientale. Date le sue competenze in materia, Cosattini chiese infatti a Schiffrer di redigere uno studio sulla composizione etnica della Venezia Giulia, da poter utilizzare negli incontri tra gli esponenti del
Arrestato una volta dalla polizia e rilasciato su intervento di [[Cesare Pagnini]] - podestà di Trieste sotto la zona di operazioni del Litorale Adriatico - Schiffrer venne nuovamente arrestato nel maggio 1945 insieme al padre, stavolta dopo l'ingresso in città dell'armata jugoslava<ref>L'arresto di Schiffrer per mano jugoslava - come altri episodi della sua vita in quel periodo - è ricordato con un certo dettaglio dallo scrittore istriano [[Pier Antonio Quarantotti Gambini]] nel suo diario sugli avvenimenti triestini del 1945 (''Primavera a Trieste'', p, 138). Questi ricorda che Schiffrer, al rientro dall'Università, seppe che i militari jugoslavi lo attendevano fuori, consegnandosi spontaneamente ad essi. E aggiunse: "Verrò a conoscere, un giorno, un'astuzia usata dai titini allo scopo di riuscire a catturarlo anche se egli, trovandosi in casa al loro sopraggiungere, avesse tentato la fuga. Precedentemente durante i suoi contatti per un'intesa con gli slavi [...] un agente di Tito, mostrando di preoccuparsi della sua incolumità gli aveva domandato [...] "Ha in casa una seconda uscita, un'uscita di sicurezza?" "Si - aveva risposto Schiffrer - c'è nel cortile un albero che arriva coi suoi rami sino alle mie finestre. [...] Se volessi". Ebbene, ieri, al momento del suo arresto, gli slavi vigilavano armati anche quell'albero". L'episodio è citato anche in </ref>. Verrà comunque liberato dopo qualche giorno, su probabile intervento del vescovo, mons. [[Antonio Santin]].
Inserito quindi del gruppo di esperti giuliani aggregato alla delegazione italiana nella [[Trattati di Parigi (1947)|
Dopo alcuni mesi di insegnamento universitario, e nominato nel frattempo anche "vice-commissario di zona" (carica analoga a quella di sotto-prefetto italiano), in seguito alla chiusura della [[Questione di Trieste|vertenza per Trieste]] col ritorno della città all'Italia (1954) scelse per l'incompatibilità delle cariche di riprendere l'insegnamento superiore, invitato a farlo anche dal ministero dell'istruzione e rinunciando quindi definitivamente ad ogni ipotesi di carriera universitaria.
Ormai dedito perlopiù alla sua attività, trascorse gli anni a venire anche scrivendo articoli e tenendo conferenze sulla recente storia di Trieste e della Venezia Giulia, pure presso i circoli dei pochi italiani rimasti nei territori passati alla Jugoslavia.
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