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Nacque nel 1902, figlio di Emerico Schiffrer e Anna Zanettig. La famiglia paterna era originaria di [[Lubiana]] ed Emerico fu un pittore di una certa notorietà a Trieste. Il giovane Carlo studiò alla "Civica Scuola Reale", rimanendo solo con i nonni negli anni della [[grande guerra]], dopo che i genitori vennero internati in un campo nell'interno dell'[[Impero austro-ungarico|Impero Austro-ungarico]] quali "politicamente infidi".
Nel dopoguerra - con il passaggio di Trieste e della [[Venezia Giulia]] al [[Regno d'Italia (1861-1946)|regno d'Italia]]<ref>Sancito dal [[Trattato di Rapallo (1920)|trattato di Rapallo]] con cui nel novembre del 1920 si stabilirono i confini tra l'Italia e il neonato [[Regno dei Serbi, Croati e Sloveni]].</ref> - riuscì a frequentare l'università di [[Firenze]] grazie ad un sussidio corrisposto dal governo italiano agli studenti delle regioni "''redente''". Gli anni universitari furono segnati in particolare dall'incontro di Schiffrer con [[Gaetano Salvemini]]: lo storico pugliese era stato sovente impegnato nel dibattito in Italia sulla "questione adriatica"<ref>Salvemini era stato forte promotore, tanto durante la guerra che nel dopoguerra, di una politica di conciliazione tra italiani e slavi del sud per i territori dell'[[Mare Adriatico|Adriatico]] orientale. A suo dire i confini tra l'Italia e il neonato [[regno dei Serbi, Croati e Sloveni]] dovevano essere tracciati in modo da includere il minor numero di minoranze di altra stirpe. Per questo proponeva che l'Italia rinunciasse sostanzialmente alla Dalmazia che le era stata promessa col [[Patto di Londra]] - con l'eccezione di Zara - per farsi riconoscere da parte slovena e croata l'autonomia o l'indipendenza per la città di Fiume (che il Patto di Londra attribuiva alla Croazia), nonché il pieno diritto su Trieste e l'Istria. Per questa sua linea politica - che espose in vari articoli, nonché in un'opera scritta con il geografo Carlo Maranelli (''La Questione dell'Adriatico'', edita dalla "Libreria della Voce" in due edizioni, nel 1918 e nel 1919) - lo storico pugliese fu appellato dai nazionalisti e dai fascisti italiani con l'epiteto di "''Slavemini''".</ref>, ed è da lui che Schiffrer decise di farsi assegnare la tesi sulle origini dell'irredentismo triestino. Nel frattempo conobbe sempre a Firenze Geppina Frittelli, che sposerà nel 1929. Passato quindi un periodo di supplenza a Trieste, e svolto il servizio militare in Piemonte negli [[alpini]], nel dicembre del 1925 Schiffrer tornò a Firenze per discutere la tesi, non più però con il Salvemini (espatriato nel frattempo per i suoi aperti contrasti col governo di Mussolini) ma davanti ad una commissione che giudicò il suo lavoro in modo più prevenuto.
Rientrato quindi a Trieste e dedicatosi stabilmente all'insegnamento, Schiffrer approfondì negli anni tra le due guerre varie tematiche di geografia politica. Con [[Giorgio Roletto]] curò vari manuali per le scuole, scrivendo pure articoli per la rivista «''Geopolitica»'' diretta dall'allora ministro dell'educazione nazionale [[Giuseppe Bottai]]. Decise però di evitare la carriera universitaria, per non compromettersi troppo col regime fascista.
Con l'intervento italiano nella nuova [[Seconda guerra mondiale|guerra mondiale]], venne richiamato e quindi destinato nella zona di [[Bisterza|Villa del Nevoso]] (allora nella [[provincia del Carnaro]]). Dopo un periodo di congedo, fu richiamato nuovamente per controllare i convogli di soldati alla stazione ferroviaria di Trieste. Dopo l'armistizio e l'occupazione tedesca, Schiffrer iniziò a lavorare presso l'Istituto di studi geografici a Trieste, conoscendo [[Giovanni Cosattini]], nembro del [[Partito d'Azione]] di Udine. L'amicizia con Cosattini determinò, oltre alla definitiva partecipazione di Schiffrer alla [[
Arrestato una volta dalla polizia e rilasciato su intervento di [[Cesare Pagnini]] - podestà di Trieste sotto la zona di operazioni del Litorale Adriatico - Schiffrer venne nuovamente arrestato nel maggio 1945 insieme al padre, stavolta dopo l'ingresso in città dell'armata jugoslava<ref>L'arresto di Schiffrer per mano jugoslava - come altri episodi della sua vita in quel periodo - è ricordato con un certo dettaglio dallo scrittore istriano [[Pier Antonio Quarantotti Gambini]] nel suo diario sugli avvenimenti triestini del 1945 (''Primavera a Trieste'', p, 138). Questi ricorda che Schiffrer, al rientro dall'Università, seppe che i militari jugoslavi lo attendevano fuori, al che si consegnò spontaneamente ad essi. E aggiunge: "Verrò a conoscere, un giorno, un'astuzia usata dai titini allo scopo di riuscire a catturarlo anche se egli, trovandosi in casa al loro sopraggiungere, avesse tentato la fuga. Precedentemente durante i suoi contatti per un'intesa con gli slavi [...] un agente di Tito, mostrando di preoccuparsi della sua incolumità gli aveva domandato [...] "Ha in casa una seconda uscita, un'uscita di sicurezza?" "Si - aveva risposto Schiffrer - c'è nel cortile un albero che arriva coi suoi rami sino alle mie finestre. [...] Se volessi". Ebbene, ieri, al momento del suo arresto, gli slavi vigilavano armati anche quell'albero". L'episodio è citato anche in </ref>. Verrà comunque liberato dopo qualche giorno, su probabile intervento del vescovo, mons. [[Antonio Santin]].
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