Suicidio: differenze tra le versioni

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Tra gli stoici che scelsero il suicidio vi furono, oltre allo stesso Seneca, il fondatore della scuola [[Zenone di Cizio]] del quale così [[Diogene Laerzio]] racconta la morte:
{{quote|Mentre andava via dalla scuola incespicò e si ruppe un dito. Batté allora la terra con la mano e pronunciò quel verso della ''Niobe'': "Vengo, perché mi chiami gridando?" e, soffocato il grido, morì all’istante.|Diogene Laerzio, ''op.cit.'' VII, 28<ref>[https://www.jstor.org/stable/40235927?seq=1#page_scan_tab_contents Pierangiolo Berrettoni, ''Il dito rotto di Zenone'']</ref>}}
AntriAltri seguaci del suicidio stoico furono [[Catone Uticense]], per evitare la cattura da parte di [[Cesare]], e il suo genero [[Marco Giunio Bruto]], uno dei [[cesaricidi]], per evitare analogamente di cadere vivo nelle mani di [[Augusto|Ottaviano]].<ref>{{Cita web|url=http://www.filosofico.net/stoici.html|titolo=GLI STOICI|accesso=12 ottobre 2016}}</ref>
 
Agli stoici si oppose [[Plotino]], che nel III secolo d.C. scrisse un trattato riguardante il suicidio.<ref name="Enneadi">''[[Enneadi]]'', I, 9, 16.</ref> Poiché la vita per il filosofo è un percorso evolutivo, che permette di elevarsi attraverso la legge che regola il ciclo delle [[Reincarnazione|reincarnazioni]], è necessario seguire il suo corso naturale: «E se il rango che ciascuno avrà lassù corrisponde alla sua condizione al momento della [[morte]], non bisogna suicidarsi finché c'è la possibilità di progredire».<ref name="Enneadi" /> La vita stessa, in quanto espressione dell'[[anima]] che illumina una natura inferiore, è concepita infatti come portatrice di una «presenza divina», quale prodotto ultimo della [[Processione (teologia)|processione]] da [[Dio]]: «Non ti toglierai la vita, affinché l'anima non se ne vada».<ref name="Enneadi" /> Il suicidio provoca, secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata a forza e in maniera innaturale: non esiste per Plotino il suicidio razionale, poiché la violenza al proprio corpo è sempre accompagnata da «angoscia, dolore o ira».<ref name="Enneadi" />