Saepinum: differenze tra le versioni

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[[File:Saepinum Fontana del Grifo.jpg|thumb|upright=1.2|Fontana del Grifo (Saepinum romana).]]
===Il territorio===
''Saepinum'' è un'area archeologica di epoca romana, ubicata nella regione Molise, in [[provincia di Campobasso]], e situata nella piana alle falde del Matese aperta sulla valle del fiume Tammaro, a tre km. dall'attuale borgo di Sepino, cinto da mura medievali e posto a circa 700 m.l.m. Una collocazione geografica certamente favorevole e strategica, perché posizionata su un importante nodo stradale di collegamento tra il Sannio Pentro, l’Irpinia, la Campania e la costa adriatica della Daunia. Infatti le indagini archeologiche hanno evidenziato la presenza di una economia essenzialmente articolata su due poli, l’agricoltura e l’allevamento transumante, con una naturale ricaduta a livello di artigianato locale e di scambi commerciali. Lo dimostrano gli scavi stratigrafici effettuati nei pressi dell’area del foro, lungo il decumano, che hanno riportato alla luce i resti di due edifici destinati ad attività industriali, uno identificabile come una conceria per la produzione di pelli e l’altro come una '''fullonica''', un impianto utilizzato per il processo di lavorazione della lana. La conformazione della cinta muraria, del resto, lascerebbe supporre all'interno della città la presenza di un '''forum pecuarium''' cioè un’area recintata destinata a ricovero delle greggi, oltre che a luogo di mercato e scambi, come suggerisce lo stesso toponimo derivato da '''saepire''' = recintare. Anche se la documentazione disponibile consente di conoscere con notevole precisione le vicende storiche di '''Saepinum''' dagli inizi dell’età imperiale, tuttavia è quasi certo che la progressiva romanizzazione del centro ebbe inizio già nel periodo successivo alle guerre sannitiche.<ref>{{Cita libro|autore=Marcello Gaggiotti|titolo=Saepinum, in Samnium. Archeologia del Molise|anno=1991 |editore= |città=Roma|p=|pp=243-245|ISBN=}}</ref> La prima testimonianza documentaria della esplorazione archeologica di '''Saepinum''' è costituita dalla “Topografia dell’Altilia” redatta nel maggio 1877 da Francesco Di Iorio.<ref>{{Il documento, in scala 1:2500, è attualmente conservato presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma}}</ref> La pianta, naturalmente incompleta, è costruita con notevole esattezza e ben definita anche nei dettagli. Testimonia, tra l’altro, che già all'epoca della sua redazione esistevano nell'area strutture scavate e successivamente in tutto o in parte rinterrate. Maggiori informazioni forniscono tre relazioni, redatte negli ultimi mesi del 1878, contenenti un dettagliato resoconto dello scavo condotto nell'area della basilica ed inviate al Direttore Generale dei Musei e degli Scavi di Antichità del Regno, due a firma di L. Mucci, ispettore onorario, ed una compilata dal’ingegnere L. Fulvio, inviato da Roma per sovrintendere agli scavi per conto del Ministero. Essendo redatte da tecnici, le relazioni forniscono una gran quantità di dati scientifici e di annotazioni descrittive, senza avere la pretesa di offrire una lettura articolata ed una analisi puntuale della situazione.<ref>{{Cita libro|autore=Maurizio Matteini Chiari|titolo=Il lato lungo nord orientale, in Saepinum. Museo documentario dell'Altilia|anno=1982 |editore= |città=Campobasso|p=|pp=75-78|ISBN=}}</ref> Le prime sistematiche esplorazioni archeologiche della città romana vennero effettuate nel periodo 1950-1955 dall'allora soprintendente archeologo dell’Abruzzo, Valerio Cianfarani, da cui il Molise all'epoca dipendeva: furono riportati alla luce e restaurati gli ambienti del foro, la basilica, parte della cinta muraria, porta Bojano e numerosi edifici adibiti ad abitazioni private ed a botteghe ('''tabernae'''). L’indagine venne orientata nella zona di maggiore concentrazione edilizia, quella in cui si intersecavano le due arterie stradali principali, il cardo, orientato da sud-ovest a nord-est, con andamento declinante dalle alture collinari verso il fondovalle del Tammaro ed il decumano, che attraversa l’abitato con un orientamento da nord-ovest a sud-est e coincide col percorso tratturale Pescasseroli-Candela, che dal Sannio Pentro conduce all'Apulia, passando per il territorio degli Irpini. Un’antica strada che potrebbe identificarsi, secondo lo stesso Cianfarani,<ref>{{Cita libro|autore=Valerio Cianfarani|titolo=Guida delle antichità di Sepino|anno=1958|editore=|città=Milano|p=53|pp=|ISBN=}}</ref> con la '''Via Minucia''' citata in una orazione di Cicerone<ref>{{Cicerone, '''Ad Atticum''' IX, 6, 1}}</ref> ed in una epistola di Orazio<ref>{{Orazio, '''Epistulae''' I, 18,20}}</ref>, probabilmente costruita dal console Quinto Minucio Rufo, ma ancora oggi non identificata con certezza. L’insediamento abitativo è interamente delimitato da una cinta muraria, lunga circa 1.270 metri, edificata tra il 2 a.C. ed il 4 d.C. in '''opus reticulatum''', nella quale si aprono, a cavallo dei due assi stradali principali, quattro porte monumentali, che ripetono lo schema dell’arco onorario romano, un solo fornice a tutto sesto, fiancheggiato da due torri circolari. Lungo il tracciato della cinta muraria si innesta un sistema di 29 torri a pianta circolare (attualmente solo 19 rimangono in vista), poste a circa trenta metri di distanza fra loro (100 piedi). Nell'insieme il perimetro dell’area corrisponde ad un quadrilatero, con i lati contrapposti paralleli ed i quattro vertici leggermente arrotondati. La superficie interna alle mura ha un andamento in costante tenue declivio, da sud-est verso nord-est, che certamente favorì la realizzazione del sistema fognante e della rete idrica. Immediatamente all'esterno delle mura, ai margini del tratturo, si trova la necropoli, che ha restituito una consistente quantità di frammenti di cippi e di epigrafi sepolcrali. Dopo un periodo piuttosto lungo di inattività esplorativa, a seguito della istituzione della Soprintendenza del Molise, l’area è stata nuovamente oggetto di scavo a partire dall'estate del 1974. Negli anni ottanta e novanta sono stati effettuati sostanziosi interventi di restauro e consolidamento, concentrati prevalentemente nella zona del foro e del teatro, resi necessari dallo stato di degrado cui versavano i materiali. Proprio in questi anni si impose anche una difficile scelta tecnica, se smantellare le casette rurali costruite nel XVIII secolo utilizzando come fondazioni l’emiciclo della '''summa cavea''' del teatro oppure conservare, magari valorizzandolo, quell'insediamento rurale particolare ed ormai perfettamente inserito nel contesto architettonico.<ref>{{Cita libro|autore=Valeria Ceglia - Oreste Muccilli|titolo=La città di Sepino, in Conoscenze 1|anno=1984|editore=|città=Campobasso|p=|pp=137-138|ISBN=}}</ref>
A partire dalla fine del IX secolo, infatti, le invasioni prima dei Saraceni e poi dei Normanni avevano determinato l’abbandono della città romana ed il progressivo deterioramento della sua struttura urbana. Solo dopo molti secoli riprende l’attività agricola nella piana del Tammaro e la transumanza torna a ridare vita al percorso tratturale: nuovi insediamenti abitativi cominciano a sorgere nell'area della antica '''Saepinum'''. Con gli elementi di spoglio degli edifici romani ed utilizzando come fondazioni i resti affioranti degli antichi monumenti, a partire dal sec. XVIII, vennero edificate nuove abitazioni e l’antica città riprese il suo ciclo vitale. Abitazioni contadine modeste, realizzate con blocchi di pietra calcarea, su due livelli, con pavimenti rudimentali e solai in legno, ricoperte da tetti con tradizionali coppi di argilla, dettero vita al borgo rurale di Altilia. Si trattava di ambienti poveri, adibiti ad attività agricolo - pastorali, soprattutto stalle e fienili, che garantivano solo un minimo vitale di spazio abitativo, spesso in condizioni precarie. Nonostante quasi tutte le unità abitative fossero in condizioni di estremo degrado, non vennero demolite, ma, anche grazie alla sensibilità di un grande archeologo, Adriano La Regina, furono espropriate per essere destinate ad altri usi (sale espositive, laboratori di restauro, depositi di materiale archeologico). Ormai, sostituendosi da decenni alla '''summa cavea''', andata perduta, quelle modeste abitazioni contadine rappresentavano un insieme organico con le antiche strutture romane, quasi un naturale completamento del teatro, concrete testimonianze dell’evoluzione storica e funzionale dell’antica città e dei suoi processi stratigrafici. Pertanto, operando nell'ottica del riuso, la scelta più pertinente sembrò quella di recuperare l’intero complesso rurale, utilizzandolo come sede del Museo documentario della area archeologica di '''Saepinum''' contenente soprattutto materiale pertinente alla necropoli ed al teatro.<ref>{{Cita libro|autore=Antonio Giovannucci|titolo=Il recupero architettonico di Altilia, in Saepinum. Museo documentario dell'Altilia|anno=1982 |editore= |città=Campobasso|p=|pp=225-231|ISBN=}}</ref>
Nel 2016 il sito archeologico ha fatto registrare 13&nbsp;407 visitatori.<ref>{{Dati rilevati per l'anno 2016 dal SISTAN, l'Ufficio Statistica del Ministero Beni Culturali (www.statistica.beniculturali.it}}</ref> L'ingresso è gratuito ad esclusione del museo.