Frou Frou (brano musicale): differenze tra le versioni

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'''''Frou Frou''''' è una celebre canzone composta nel 1897 da [[Hector Monréal]]<ref>[[Hector Monréal]] (pseudonimo di Joseph Rieunier) nacque a [[Carcassonne]] nel 1839. Egli si trasferì in gioventù a [[Parigi]], iniziando la sua carriera come disegnatore a ''[[Le Petit Journal]]''. Il direttore di questo quotidiano, colpito dalla sua vena artistica, gli chiese di realizzare ogni giorno in maniera umoristica un cartello da affiggere sulla porta, con le varie incombenze da assegnare ai suoi colleghi. Questi cartelli, estremamente originali e zeppi di caricature bizzarre, non potevano certo passare inosservati, e divennero presto molto popolari. Ma il suo talento originale non poteva limitarsi a disegnare vignette e caricature, così egli abbandonò ''Le Petit Journal'' per divenire attore e ''chansonnier'' e poi (grazie all'incontro con [[Henri Blondeau]]) autore di riviste, operette e « pièces de théâtre »). Per circa 40 anni, la coppia fissa Monréal &nbsp;– Blondeau firmò una serie ininterrotta di successi nei principali teatri e varietà parigini, come lo Château d'Eau, l'Eldorado, le [[Folies Dramatiques]], e l'[[Olympia (teatro)|Olympia]]. Morì a [[Parigi]] nel 1910.</ref>. ed [[Henri Blondeau]],<ref>[[Henri Blondeau]], nato a [[Parigi]] nel 1841, e ivi deceduto nel 1925, fu librettista di operette e di varietà, ma anche autore drammatico.</ref> autori [[Francia|francesi]] di operette attivi durante la [[Belle Époque]], su una preesistente musica di [[Henry Chatau]].
 
== Storia della canzone ==
 
In origine su questa melodia (nata come [[polca]]) era stato adattato un testo dal paroliere [[Lucien Delormel]]<ref>[[Lucien Delormel]], (che si firmava a volte con lo pseudonimo di ''Grim''), fu un paroliere, compositore, librettista ed editore francese, nato a [[Parigi]] nel 1847 e morto nel 1899. Egli collaborò anche in coppia con gli altri celebri autori parigini di operette e varietà, come Gaston Villemer e Léon Garnier. Nel corso della sua carriera, egli fu autore di più di quattromila canzoni.</ref> dal titolo ''Frou Frou Polka'', per la rivista parigina ''La fête du souffleur'' che andò in scena nel [[1889]]. Questa canzone era stata composta per la cantante Gabrielle Lange, ma non sollevò più di tanto l'entusiasmo del pubblico parigino. Un musicista tedesco di passaggio per [[Parigi]] assistette però allo spettacolo, udì la melodia, e ne intuì le potenzialità. Egli ne modificò l'arrangiamento trasformandola in un [[valzer]] poi, dopo averla ribattezzata ''Beim-Supper Waltz'' la portò con sé a [[Vienna]] e la fece conoscere al pubblico della Capitale dell'[[Impero Austro-ungarico]]. Questo valzer incontrò un immediato favore, e sull'onda del successo in tutta [[Europa]] del valzer viennese, ritornò a [[Parigi]], proprio nel momento in cui Hector Monréal ed Henri Blondeau, avendo ricevuto l'incarico dal ''Théâtre des Variétés'' di allestire la rivista ''Paris qui marche'', erano alla ricerca di arie da impiegare nello spettacolo. Venne loro in mente di utilizzare la melodia di ''Beim-Supper Waltz''; essi composero un nuovo testo, ispirandosi a un fatto in quel momento d'attualità: la scoperta della bicicletta da parte del pubblico femminile. Le lunghe gonne di fine Ottocento impacciavano la pedalata, ma soltanto le donne più coraggiose ed emancipate osavano indossare dei [[pantaloni alla zuava]], simili a quelli usati dai ciclisti dell'epoca (i famosi [[knickerbockers]]), che agli occhi dell'opinione pubblica addosso ad una donna parevano una bizzariabizzarria ridicola e sconveniente. Li indossava, per esempio, l'americana [[Annie “Londonderry” Kopchovsky]],<ref>Nell'Ottocento, la donna veniva vista essenzialmente come un essere debole, languido e malinconico, sostanzialmente inferiore all'uomo: ciò era la conseguenza di convenzioni sociali che intendevano relegare la donna a un ruolo generalmente subordinato, limitato alla sfera dei lavori domestici e alla procreazione. La donna doveva mostrare in ogni occasione autocontrollo, modestia, decoro e morale. Per questo motivo, le prime manifestazioni sportive femminili, che non fossero di sport ritenuti appropriati per una signora come il croquet, il tennis, o l'equitazione, suscitavano riprovazione e sarcasmo. [[Thomas Stevens]] era stato il primo uomo ad aver percorso il giro del mondo con il velocipede (partendo da [[San Francisco]] il 22 aprile [[1884]], dirigendosi verso est, e facendovi ritorno nel [[1887]]) e la sua impresa aveva avuto vasta eco sui giornali di tutto il mondo. Poiché la bicicletta veniva vista come un mezzo essenzialmente maschile, due facoltosi signori di [[Boston]], dileggiando le prime donne che volevano usare la bicicletta, sostennero pubblicamente che mai nessuna donna sarebbe riuscita ad eguagliare l'impresa di Stevens, e che essi erano pronti ad elargire cinquemila dollari alla prima donna che fosse riuscita a dimostrare il contrario. [[Annie “Londonderry” Kopchovsky]], un'Ebrea Lettone di 23 anni immigrata da poco negli [[Stati Uniti]], raccolse la sfida: imparò ad andare in bicicletta e, il 25 luglio [[1894]], abbandonando il marito e i tre figlioletti, partì dal [[Massachusetts]] in sella ad una bicicletta Columbia. Lasciati a casa gonne lunghe e corsetti, portò con sé solo un cambio di biancheria e una pistola. Pedalando arrivò fino a [[Singapore]], dopo aver attraversato gli [[Stati Uniti]] e la [[Francia]], e aver toccato l'[[Egitto]] e lo [[Yemen]]. Dovette superare incredibili difficoltà e sopportare innumerevoli ostracismi, ostacoli e maldicenze («è troppo mascolina per essere una donna», «deve essere sicuramente un eunuco travestito»), e persino la prigione. Ritornò in patria 15 mesi dopo a testa alta, dopo aver compiuto il giro del mondo e aver quindi vinto la scommessa che l'aveva spinta a partire. Ella scrisse delle sue avventure di viaggio per diversi mesi sul [[New York World]] e divenne uno dei simboli della lotta per l'emancipazione femminile.</ref> la prima donna a compiere nel [[1894]] il giro del mondo in bicicletta.<ref>«In Italia, Francia e Germania, come pure in Inghilterra e negli Stati Uniti, si registrarono numerosi e acrimoniosi dibattiti fra coloro che salutavano con entusiasmo la prospettiva della diffusione delle attività sportive fra le donne e coloro che invece temevano che le atlete agissero come elementi di disordine sociale e decadenza morale e fisica nel paese. Pur divenendo l'oggetto di una vera e propria moda e offrendo alle donne nuove possibilità di movimento, uno sport come la bicicletta, per es., non fu immediatamente accolto né ebbe una rapida e indiscussa diffusione come attività competitiva. In Inghilterra già dal 1880, le donne venivano ammesse nell'associazione nazionale di cicloturismo, ma è solo nel 1916 che tale associazione consentì la prima gara di ciclismo femminile». (tratto da: Roberta Sassatelli, '' Lo sport al femminile nella società moderna'', in ''Enciclopedia dello Sport'', Treccani Editore, Roma, 2003).</ref> Ma nella [[Parigi]] di quel tempo vigeva, fin dal [[1799]], il divieto per le donne parigine di “vestire come un uomo”. Nello specifico il veto proveniva da un'ordinanza della Prefettura di [[Parigi]], che concedeva l'uso dei pantaloni alle signore unicamente dopo essere state autorizzate dalla polizia previa esibizione di un certificato medico. A causa di questo divieto, la polizia poteva arrestare qualsiasi donna fosse stata sorpresa con indosso questo capo di abbigliamento. Questa rigida norma aveva subito una prima deroga nel [[1892]], quando era stato eccezionalmente permesso alle donne che avessero voluto andare a cavallo di indossare pantaloni femminili da equitazione. Nel [[1908]] verrà concessa una seconda deroga, permettendo finalmente di indossare i pantaloni anche alle donne in sella ad una bicicletta.<ref>«Lo sviluppo delle attività sportive fra le donne fu del resto in larga misura facilitato dal graduale mutamento della moda, che ne venne a sua volta influenzata, per cui cominciarono a modificarsi le fogge degli abiti femminili. La diffusione della bicicletta a partire dall'ultimo scorcio dell'Ottocento, per es., si configurò sia come un simbolo delle richieste di libertà delle donne sia come un'occasione per legittimare abiti meno formali, meno decorativi e più funzionali al movimento. I nuovi vestiti disegnati per la bicicletta ‒ gonne più corte e gonne pantaloni, l'inserimento di elastici e nastri per accorciare e fissare le gonne, ecc. ‒ concedevano infatti alle donne una nuova libertà fisica e di movimento e delle donne simboleggiavano le rivendicazioni di controllo sul proprio corpo e sui propri movimenti e la loro rivolta contro le restrizioni sociali. Allo stesso tempo, in questa prima fase di sviluppo dello sport femminile, i vestiti che lasciavano più libero il corpo dovevano evitare di suggerire immagini di femminilità sessualmente troppo aggressive e libere: si proposero quindi fogge funzionali e modeste.». (tratto da: Roberta Sassatelli, '' Lo sport al femminile nella società moderna'', in ''Enciclopedia dello Sport'', Treccani Editore, Roma, 2003).</ref> La nuova canzone, dal titolo ''Frou Frou'', composta quando il divieto era ancora in vigore, prendeva bonariamente in giro<ref>L'uso dei primi pantaloni da parte delle donne suscitò ilarità e ironie, come in queste coeve rime italiane: {{citazione| O popol maschile dal sonno ti desta<br/>orribil tempesta s'addensa su te.<br/>La donna con empia sacrilega azione <br/>ci impone il calzone, ci ruba il gilè.<br/>E invece delle ampie gonnelle fluenti<br/>si stringe alle gambe due tubi indecenti.}}.</ref>.le velleità femminili di indossare i pantaloni per praticare gli sport, e venne interpretata per la prima volta dalla cantante Juliette Méaly. Fu un trionfo. La canzone venne anche utilizzata dal regista [[Jean Renoir]] nel suo film del [[1937]] [[La grande illusione]], ambientato sul Fronte francese nel periodo [[1914]] - [[1918]].
 
== Testo francese originario del 1889 (di Lucien Delormel, polca) ==