Ancona: differenze tra le versioni
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Il mito di Diomede riguarda Ancona nella sua parte centrale, compresa tra la fine della [[Guerra di Troia]] e il suo definitivo stabilirsi in Italia; per le parti restanti del mito vedi alla voce [[Diomede]]. Dopo la distruzione di Troia Diomede tornò velocemente nella città di [[Argo (Grecia)|Argo]], della quale era il re. Diomede scoprì però ben presto che nessuno si ricordava di lui: né i suoi sudditi, né sua moglie. Diomede non voleva cedere alla disperazione, ma ormai non aveva più senso rimanere. Abbandonò perciò le sue armi ed il suo scudo sull'altare del tempio di [[Era (mitologia)|Era]] e decise di riprendere le vie del mare insieme a sei compagni, ai quali era legato fin dall'infanzia: Akmon, Likos, Abas, Ida, Rexenor e Niktis<ref>I nomi dei compagni di Diomede ci sono noti grazie ad Ovidio, che li elenca nel 14 libro delle ''Metamorfosi''; vedi David Ansell Slater, Lactantius, Lactantius Placidus, ''Towards a Text of the Metamorphosis of Ovid'', Clarendon Press, 1927 (pagina 162)</ref>. Navigarono verso Ovest, entrando in Adriatico. Durante la navigazione Diomede ripensò alla guerra e capì che ciò che gli era capitato ad Argo era opera di [[Afrodite]], che si era vendicata dell'affronto ricevuto durante la guerra: Diomede infatti l'aveva ferita ed offesa; aver perso il trono e la moglie era la diretta conseguenza della sua ''[[hýbris]]'' (tracotanza). Ora poteva fare solo una cosa: cercare di ottenere il perdono della dea. Trasformò così il suo navigare in un'opera di diffusione dell'arte della navigazione, per onorare Afrodite, che come è noto oltre ad essere la dea della bellezza e dell'amore, sotto l'epiteto di "euplea" era anche considerata la divinità della buona navigazione. L'eroe si fermava con le sue navi ovunque ci fosse un porto naturale e istruiva le popolazioni sull'arte di viaggiare per mare. Oltre a ciò, insegnava ad addomesticare i cavalli, altra sua grande passione. Si fermò così in un punto della costa dove un gomito di roccia proteggeva un porto naturale: era il luogo dove più tardi sarebbe sorta Ancona. Insegnò agli abitanti l'arte di costruire le navi e di orientarsi con le stelle. Diomede sentì infine di avere ottenuto il perdono di Afrodite, e si stabilì in terra italiana, fondando città e diffondendo la civiltà greca. Alla sua morte, ad Ancona venne eretto sulla riva del mare un tempio in suo onore, sulla cui facciata si leggeva: "Al nostro benefattore"<ref>Fonti di questo mito sono l'[[Iliade]], vari mitografi greci, l'[[Eneide]] e alcuni passi di Scilace</ref>.
==== Gli specchi ustori ====
[[immagine:Archimedes Setting Roman Ships of Consul Marcellus.jpg|miniatura|''Gli specchi ustori'' (Cherubino Cornienti - XIX sec.)]]
La leggenda trae spunto da dati storici, come la fondazione di Ancona da parte dei [[Greci]] di [[Siracusa]], l'assedio e la conquista romana di questa città, avvenuta nel [[212 a.C.]] e si sofferma sulla figura del celebre scienziato siracusano [[Archimede]]. Egli aveva partecipato alla difesa della sua città inventando nuove e straordinarie armi per respingere i Romani, nuovi tipi di fortificazioni, e soprattutto avendo ideato gli [[specchio ustorio|specchi ustori]], in grado di concentrare i raggi del sole e di rifletterli potenziati verso le navi nemiche per incendiarle. Durante il saccheggio Archimede venne ucciso, e i suoi discepoli, addolorati per la morte del loro grande maestro, cercarono almeno di non far cadere nelle mani dei nemici le sue geniali invenzioni. Pensarono così di inviarli clandestinamente ad Ancona, città fondata proprio dai Siracusani, di lingua e cultura greca e in ottimi rapporti con la propria città madre.
Dato che i Romani minacciavano di conquistare anche Ancona gli specchi sarebbero serviti ancora, e vennero nascosti in una grotta che il mare aveva scavato alla base delle rupi sulle quali sorge la città. La città di Ancona però non diventò romana con un atto di forza, ma lentamente e senza colpo ferire. Secondo la leggenda gli specchi ustori sono così ancora nascosti sotto la città, in una cavità delle rupi della quale nessuno ricorda più l'accesso. A volte, però, all'alba, per brevi istanti un raggio di sole riesce a penetrare all'interno della grotta e si riflette sugli antichissimi specchi. Se qualcuno, in quel momento, da una barca guarda verso le rupi, vede un bagliore, quasi un incendio, che poco dopo, quando il sole si solleva dall'orizzonte, svanisce.<ref>La leggenda, di antica tradizione orale, è riportata nel libro di [[Joyce Lussu]] "Anarchici e siluri"</ref>
====La campana sommersa====
Sotto lo sperone del Guasco ci sono ancora i resti di un'antichissima roccia sulla quale sorgeva la chiesa di [[San Clemente]]: con il nome della chiesa è infatti indicato lo scoglio. La chiesa non esiste più, crollata secoli or sono in mare a causa dell'erosione delle onde. Secondo la leggenda la campana della chiesa è ancora nascosta sul fondo del mare, e durante le tempeste ancora si può sentire il suo suono, in mezzo al fragore delle onde. Non sono però più i fedeli ad essere richiamati, ma le creature del mare, che accorrono a frotte sotto l'antico scoglio. Una variante localizza la campana sommersa al largo di un altro scoglio, quello del Trave. Secondo alcuni il compositore [[Ottorino Respighi]] si ispirò a questa leggenda quando compose "La campana sommersa"<ref>La fonte di questa leggenda è orale, ma è riportata i vari libri di [[Sanzio Blasi]]</ref>
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