Giosuè Carducci: differenze tra le versioni

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Con gratitudine Carducci, pur declinando i venti del Nord della penisola - per non allontanarsi troppo dalla famiglia - si dimostrò pronto ad accettare la nomina presso qualsiasi università. Intanto i mesi passavano e il periodo pistoiese diventava gradevole, in quanto consentiva numerose sortite fiorentine, nella città in cui sognava di insegnare. Il 18 agosto, però, Carducci ricevette da Mamiani una lettera in cui gli comunicava che [[Giovanni Prati]], «per ragioni al tutto speciali», aveva ricusato la nomina a professore di Eloquenza presso l'[[Università di Bologna|Ateneo Felsineo]], e sarebbe quindi stato onorato nel sapere il Carducci disposto ad accettare la cattedra.<ref>G.Chiarini, pp.130-132</ref>
 
Così, con decreto del 26 settembre [[1860]] venne incaricato dal Mamiani a tenere la cattedra di Eloquenza italiana, in seguito chiamata [[Storia della letteratura italiana|Letteratura italiana]] presso l'[[Università di Bologna]], dove rimarrà in carica fino al [[1904]].<ref>Carducci fu docente severo, stando ad un aneddoto famoso (raccontato, fra i tanti, da Aldo Gabrielli, ''Il museo degli errori'', Milano, Mondadori, 1977, p. 183) secondo il quale avrebbe cacciato uno studente che volendogli far firmare il libretto di frequenza, si era presentato col cognome prima del nome.</ref>
[[File:Emilio Teza 2.jpg|thumb|left|upright=0.7|Emilio Teza]]
 
{{Citazione|La sera del 10 novembre 1860 la diligenza di Firenze si fermava dinnanzi alla posta di Bologna, e ne saltava giù un giovane dall'aspetto irsuto e quasi selvatico, impaziente di uscir fuori dall'aria soffocante della vettura chiusa durante un così lungo viaggio.<ref>L. Federzoni, «Giosue Carducci nella scuola», in Regia Università di Bologna (AA.VV.), ''Carducci. Discorsi nel centenario della nascita'', Bologna, Zanichelli, 1935, p.3</ref>}}
 
Ad accoglierlo c'era un giovane insegnante veneto, [[Emilio Teza]], nominato quell'anno professore di Letterature comparate nell'Ateneo. Questi l'accompagnò in un alloggio provvisorio sito in Piazza dei Caprara, e gli mostrò poi la città, che apprezzò molto. Nei primi tempi passarono assieme molto tempo, e anche successivamente fu uno dei pochi che Carducci frequentò, chiuso in casa a studiare e preparare i corsi o nell'aula universitaria a fare lezione.<ref>G.Chiarini, pp.133-135</ref>
 
Carducci prendeva il posto di monsignor [[Gaetano Golfieri]], bolognese, estroso [[Poesia estemporanea|poeta estemporaneo]] i cui sonetti celebrativi per eventi di ogni sorta - lauree, matrimoni, guarigioni, ecc. - erano noti in tutta Bologna e venivano affissi alle colonne della città. La loro fama si diffuse anche nella campagna circostante. Avendo rifiutato di partecipare al ''Te Deum'' nella [[basilica di San Petronio]] in occasione del [[Plebisciti risorgimentali|plebiscito]], fu esonerato dall'incarico di professore, e perdette anche il titolo di dottore collegiato della Facoltà, quando rifiutò di prestare giuramento al re d'Italia. Si consolò quindi mantenendo il ruolo indiscusso di autore ufficiale di sonetti.<ref>P.Bargellini, pp.134-135; L.Federzoni, p.4</ref>
[[File:Aula Carducci.jpg|thumb|upright=1.4|L'aula in cui Carducci tenne le lezioni dal 1860 al 1904]]
La prima fatica di Carducci consistette nella preparazione della prolusione, pronunciata il 27 novembre in un'aula gremita e che, ampliata notevolmente, andò a comporre i cinque discorsi ''Dello svolgimento della letteratura nazionale''. Il 3 dicembre fu raggiunto dalla famiglia, con cui si accomodò alla meglio in una piccola abitazione presso San Salvatore, per passare a maggio - che a Bologna è il tempo degli sgomberi - in via Broccaindosso, stradina fra le più modeste della città in cui sarebbe rimasto fino al [[1876]].<ref>G.Chiarini, p.135</ref>
 
Il 15 gennaio cominciò le lezioni: il programma prevedeva lo studio della letteratura italiana prima di Dante. L'università felsinea viveva un periodo di degrado cronico, e non era che l'ombra dello splendore dei secoli passati. Il numero degli allievi del neoprofessore andò via via calando, «perché la lezione di diritto commerciale messa su ultimamente mi toglie tutti i giovani», finché la mattina del 22 non poté nemmeno fare lezione, essendosi presentati solo in tre.<ref>Lettera di G.Carducci a G.Chiarini, 22 gennaio 1861</ref>
 
Intanto molte idee si affastellavano nella testa del Carducci, e molti progetti. Scriveva un saggio su [[Giovita Scalvini]], pensava ad una biografia leopardiana per la ''Galleria contemporanea'' e continuava a lavorare all'edizione polizianea. Tutto ciò gli toglieva tempo per le creazioni poetiche, ma non si arrendeva, tanto che aveva in mente di comporre una canzone sul monumento a Leopardi, un canto in terzine su Roma, un'ode intitolata ''La plebe'' e molto altro, senza contare la prosecuzione dell'avventura barberiana, per la cui collezione Diamante erano ormai pronte le ''Rime di Cino e d'altri del secolo XIV'', per le quali chiedeva notizie agli amici fiorentini che potevano vedere direttamente i codici.