Teatro greco: differenze tra le versioni
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Il termine "tragedia" deriva da due parole greche che significano rispettivamente "canto" e "capro". Quindi "canto del capro". Ciò testimonia lo stretto legame che c'è tra il culto di Dioniso e la nascita della tragedia. L'animale sacro a Dioniso era infatti il caprone. Aristotele (Poetica 1449a) dice che la tragedia nasce da origini improvvisate ed esattamente da coloro che intonavano il [[ditirambo]] (un canto corale in onore di Dioniso).
La tragedia rappresentava una vicenda umana incentrata su un problema etico o religioso, con un epilogo drammatico. In questo modo la rappresentazione suscitava nello spettatore pietà e terrore, liberava il cuore e dio la mente del pubblico dalle passioni messe in scena. I protagonisti potevano essere dèi, re, eroi, ma anche uomini comuni. La tradizione attribuisce a [[Tespi]] la prima rappresentazione tragica. Delle sue tragedie sappiamo poco, se non che il coro era ancora formato da satiri e che fu certamente il primo a vincere un concorso drammatico. I più importanti e riconosciuti autori di [[tragedia|tragedie]] furono però, nell'[[Atene]] del [[V secolo a.C.]], [[Eschilo]], [[Sofocle]] ed [[Euripide]].
Nei diversi momenti storici, affrontarono i temi più sentiti dell'epoca. Eschilo fissò le regole fondamentali del dramma tragico: la tragedia inizia generalmente con un prologo (da prò e logos, discorso preliminare), che ha la funzione di introdurre il dramma; segue la parodo, che consiste nell'entrata in scena del coro attraverso dei corridoi laterali, le pàrodoi; l'azione scenica vera e propria si dispiega quindi attraverso tre o più episodi (epeisòdia), intervallati dagli stasimi, degli intermezzi in cui il coro commenta, illustra o analizza la situazione che si sta sviluppando sulla scena; la tragedia si conclude con l'esodo (èxodos).
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