Giosuè Carducci: differenze tra le versioni
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Nei dieci anni a Bolgheri la famiglia visse in povertà e non era possibile per Giosuè frequentare le scuole; il padre incaricò così il sacerdote Giovanni Bertinelli di dargli lezioni di latino durante il giorno, mentre la sera era direttamente Michele a impartirgli l'insegnamento di una lingua che il giovane amò profondamente sin dall'inizio.<ref>F.Giannessi, pp.8-10</ref> Già in questi anni cominciò a cimentarsi nella composizione di qualche verso, la ''Satira a una donna'' ([[1845]]) e l'appassionato ''Canto all'Italia'' ([[1847]]), entrambi in [[terzina (metrica)|terzine]]. Il [[1848]] è l'anno del [[sonetto]] ''A Dio'' e del racconto in ottave ''La presa del castello di Bolgheri''. Il progetto didattico paterno prevedeva la lettura dei classici latini (si dice che il ragazzo sapesse a memoria i primi quattro libri delle ''[[Le metamorfosi (Ovidio)|Metamorfosi]]'') ma anche del [[Alessandro Manzoni|Manzoni]] e del [[Silvio Pellico|Pellico]], che il figlio obbedientemente studiava, pur covando una vena antimanzoniana che andrà acuendosi negli anni appresso.<ref>M.Saponaro, pp.28-30</ref>
Le idee politiche di Michele Carducci, intanto, cominciarono a rendergli la vita impossibile in paese,<ref>L'eccessiva irruenza gli aveva attirato le antipatie di alcuni facinorosi che spararono colpi di fucile contro la sua abitazione il 21 e il 23 maggio 1848; cfr. R.della Torre, p.16</ref> tanto che dovette migrare dapprima a Castagneto (oggi [[Castagneto Carducci]] il cui Comune ingloba gli antichi borghi di Castagneto e Bolgheri) e poi a [[Lajatico]], dove in breve si ripropose lo stesso problema, che convinse il dottore a cercar rifugio nella grande città.<ref>M.Saponaro, pp.32-33</ref>
Fu così che il 28 aprile [[1849]] i Carducci si stabilirono a [[Firenze]] (in una misera abitazione di [[via Romana]]) dove il primogenito, quattordicenne, conobbe la quindicenne Elvira, figlia del sarto Francesco Menicucci e della sua prima moglie. Menicucci aveva sposato in seconde nozze la sorella di Ildegonda Celli ed era divenuto così parente della famiglia, instaurando un'assidua frequentazione che permise ai due ragazzi di vedersi spesso.<ref>R.della Torre, p.18</ref>
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