Giuseppe Setola: differenze tra le versioni

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Setola passa la sua latitanza insieme alla famiglia in un monolocale di [[Trentola-Ducenta]], in via [[Giuseppe Cottolengo|San Giuseppe Cottolengo]] nelle vicinanza di una chiesa. Il monolocale, con una piccola stanza da letto, un cucinino e un bagno, è difeso da una squadra di fiancheggiatori.<ref name="city"/><ref>Quotidiano ''[http://www.ilnapoli.sm il Napoli] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20090426103410/http://www.ilnapoli.sm/ |data=26 aprile 2009 }}'', Anno VI Nº8, 13 gennaio 2009, "''Il boss Setola beffa i carabinieri fuga dal covo attraverso le fogne''" di Arnaldo Capezzuto</ref>
La sera del 12 Dicembre [[2008]] parte una spedizione punitiva contro 2 nemici ma loro non sanno che la macchina è intercettata dalle forze dell'ordine,l'intercettazione racconta in diretta due tentati omicidi. I centosette colpi, canzoni intonate dai killer e il tempo persino per concedersi un caffè. Il tutto condito da recriminazioni e volgarità contro i due bersagli che sono sfuggiti al loro grilletto. È l'ultimo raid firmato da Setola, quasi un mese prima della sua resa a un'imponente caccia all'uomo. Si tratta del duplice agguato di [[Trentola Ducenta]], nel casertano.
Sono le 22,le due spedizioni punitive vengono messe a segno a distanza di pochi secondi, sempre nel cuore del paese di [[Trentola Ducenta]], lo stesso paese dove - venti giorni più tardi - si scoprirà il covo di Setola (Via Cottolengo) in cui Setola si rifugia con la moglie, che si è trascinata lì con la sua shopping Louis Vuitton, gioielli, profumi e 17mila euro in contanti, un basso dal quale il boss riesce a fuggire calandosi nelle fogne e strisciando nella melma. La sera del 12, dunque. Setola si sente ancora spavaldo e imprendibile. Escono armati di almeno quattro armi. A terra, tanti bossoli: tracce di un fucile mitragliatore calibro 7.62, tipo AK 47, di una pistola calibro 9 per 21 ed un'altra semiautomatica calibro 9 corto. La follia criminale si concentra contro due nemici, Salvatore Orabona e Pietro Falcone. Il primo, vanno a colpirlo in via Caravaggio a [[Trentola-Ducenta]] Il secondo, a pochi minuti di auto, in via Vittorio Alfieri ad [[Aversa]] entrambi sono "colpevoli", agli occhi del capobranco, di non aver versato parte delle tangenti raccolte sul territorio nella cassa di Setola. Non lo riconoscono come il plenipotenziario del padrino Bidognetti, oggi in carcere. In azione, c'è un commando di cinque o sei uomini. Due auto portano i killer, una delle quali è la [[Lancia Y]] sotto intercettazione. Il viaggio raccontato da "loro", dai sicari, è un sonoro raggelante. "Ma noi quando arriviamo là sopra, chi vogliamo trovare?". L'altro risponde: "Ci vuole una botta in faccia. Dobbiamo uccidere a tutti e due". Passano pochi minuti, cantano. Poi arrivano in via Caravaggio a [[Trentola-Ducenta]] Si fanno avanti Raffaele Granata e Giuseppe Barbato, due dei killer. Ma il trucco di attrarre fuori del portone Orabona con un vassoio di dolci e una bottiglia di spumante non funziona. Allora quelli sparano come pazzi. Le vittime si richiudono in casa, chiamano il 113. E i killer si scatenano. "Cornuto vieni fuori", gridano. "Dai esci cornuto, che uomo sei". E ancora: "Mannaggia ora ho finito il caricatore e adesso ho soltanto la 38". Insulti alla moglie, bestemmie. "Lo dobbiamo appicciare anche di notte", gli appicchiamo il fuoco.
 
La mattina dell'11 gennaio [[2009]] i carabinieri riescono ad individuare il covo e il giorno successivo, il 12 gennaio, scatta il [[blitz]] delle forze dell'ordine. All'ingresso dei soldati, la moglie di Setola, Stefania Martinelli, trovata rannicchiata in un angolo del monolocale, viene portata alla caserma di [[Aversa]], interrogata e poi arrestata per detenzione e porto abusivo di armi.