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== Vita ==
Nato il 23 ottobre 1906 nella località [[Istria|istriana]] di Rovigno, all'epoca parte dell'[[Impero austroungarico]], già quattordicenne partecipò a manifestazioni organizzate dal [[Partito Socialista Italiano]] contro il fascismo. Operaio a Monfalcone, nel 1924 tornò a lavorare a Rovigno. Fra le azioni dimostrative contro il regime, rimase celebre l'esposizione della bandiera rossa sul campanile della [[Chiesa di Sant'Eufemia (Rovigno)|chiesa di Sant'Eufemia]] - la principale di Rovigno - e sulla ciminiera della fabbrica ''Ampelea'', il 1° maggio 1936<ref>{{cita|Giuricin 2014|p. 38}}</ref>.
 
Condannato al carcere e al confino, vi rimase fino all'[[Armistizio di Cassibile]], quando assieme ad altri antifascisti venne caricato s'un treno per essere deportato in [[Terzo Reich|Germania]]. Fuggito durante il trasporto, riuscì a tornare con mezzi di fortuna a Rovigno, dove si unì ai partigiani jugoslavi. Qui organizzò un gruppo di guastatori di cui fecero parte Luciano Simetti, Antonio Abbà, Stanko Pauletić, Giuseppe Turcinovich, Giorgio Bognar e Milan Iskra, le cui imprese divennero famose. Questi colpirono con attacchi dinamitardi svariati tratti di vie ferrate, treni, ponti e tralicci<ref>{{cita|Giuricin 2014|pp. 63-65}}</ref>. Clamorosa rimase un'azione organizzata dal Comitato distrettuale del partito comunista croato che comprendeva Pino Budicin, Augusto Ferri, Antun Pavlinić e [[Giusto Massarotto]], portata a termine a Rovigno da Benussi-Cìo assieme a Mario Hrelja e Luciano Simetti. Alle 19:30 del 5 gennaio 1944, riuscirono a fare irruzione nella Casa del Fascio durante un'importante riunione finalizzata a costituire il nuovo corpo della "Guardia civica", per il cui successo era stata promossa una campagna propagandistica in tutta l’Istria, finalizzata al reclutamento del maggior numero possibile di volontari. Dopo aver attaccato con i mitra in pugno la quindicina di fascisti presenti, i tre piazzarono una mina nell'edificio, che venne completamente sventrato. L'attacco diede nuova linfa e coraggio alle organizzazioni antifasciste rovignesi, che reclutarono diversi nuovi attivisti<ref>{{cita|Giuricin 2014|pp. 69-71}}</ref>. Ad aprile dello stesso anno Benussi-Cìo fra l'altro partecipò ad un'azione simile, che colpì la Casa del Fascio di [[Valle (Croazia)|Valle]].
 
Alla fine della guerra, Matteo Benussi-Cìo tornò nella sua Rovigno rifiutando ogni carica pubblica che gli era stata offerta. Secondo quanto riportato dalla stampa jugoslava, morì in un ospedale di Belgrado il 16 giugno 1951, a seguito di una malattia che l'aveva colpito come conseguenza degli sforzi sostenuti durante la guerra.