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Il 23 ottobre 1946 - dopo due solleciti da parte britannica e jugoslava - il governo di Roma produsse un primo breve elenco di presunti criminali di guerra individuati dalla Commissione d'inchiesta. Tale elenco si ampliò nei mesi seguenti: fra gennaio e maggio del 1947 il totale degli accusati passò a ventisei. Tutti questi avevano operato nel teatro jugoslavo-balcanico durante la guerra. Fra gli accusati direttamente coinvolti con le vicende del Tribunale Straordinario della Dalmazia vi erano Giuseppe Bastianini (governatore della Dalmazia, istitutore del Tribunale), Gherardo Magaldi e Vincenzo Serrentino (giudici), Giuseppe Alacevich (segretario del Fascio di Sebenico, aveva fra l'altro partecipato ai rastrellamenti di Vodice del 25-26 ottobre 1941) e Gualtiero Sestilli (Tenente Colonnello dei Carabinieri e comandante dei RR.Carabinieri di Sebenico, aveva ordinato e comandato i suddetti rastrellamenti)<ref>{{cita|Commissione parlamentare 2006|pp. 115-116}}</ref>.
 
== La tattica del temporeggiamento e la chiusura della commissione ==
== Le schermaglie politiche e diplomatiche degli anni successivi ==
Dopo che furono riallacciate le relazioni diplomatiche fra Italia e Jugoslavia (23 gennaio 1947) e fu firmato il Trattato di Pace (10 febbraio 1947) Palazzo Chigi comunicò ai governi di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna la propria "assoluta indisponibilità" a consegnare alla Jugoslavia i presunti criminali di guerra, chiedendo alle tre potenze di rinunciare unilateralmente all'applicazione dell'articolo 45. Gli stati Uniti accettarono formalmente a tale richiesta il 14 agosto 1947, mentre Parigi e Londra condizionarono il proprio sì ad un'effettiva azione punitiva dei tribunali italiani contro i criminali di guerra<ref>{{cita|Commissione 2006|p. 121}}</ref>.
 
Nel contempo, i vari solleciti del governo alla Commissione e ai giudici militari chiarirono sempre più come le inchieste dovessero servire specificamente non tanto per raccogliere prove contro gli accusati, quanto per raccogliere prove delle atrocità jugoslave contro gli italiani: tutto ciò doveva "creare le premesse necessarie per rifiutare la consegna di italiani alla Jugoslavia"<ref>Così un appunto del dirigente del ministero degli affari esteri G.Castellani al direttore generale degli affari politici [[Vittorio Zoppi (diplomatico)|Vittorio Zoppi]], citato in {{cita|Commisisone parlamentare 2006|p. 121}}</ref>.
 
Il temporeggiamento del governo italiano fu una tattica decisa per evitare contraccolpi interni e internazionali: negli anni in cui operò la Commissione d'inchiesta l'Italia firmò il Trattato di Pace che le fece perdere gran parte della [[Venezia Giulia]] e che inasprì la complessa vicenda della [[questione di Trieste]], città le cui sorti avevano costituito un capitolo a parte nei rapporti italo-jugoslavi fin dagli anni finali della guerra, divenendo causa di contrasto anche fra i comunisti italiani e jugoslavi. Sullo sfondo rimaneva la vicenda dell'[[esodo istriano]], mentre il ruolo nello scacchiere internazionale della Jugoslavia fu completamente modificato a seguito della [[Conflitto sovietico-jugoslavo|rottura fra Tito e Stalin]] (28 giugno 1948), che seguì di poco le [[Elezioni politiche italiane del 1948|elezioni politiche italiane del 1948]]. Mentre le potenze occidentali in tempi rapidi evitarono di ritornare sulla questione dei presunti criminali di guerra italiani lasciando cadere le iniziali pressioni, la perdita dell'appoggio sovietico da parte della Jugoslavia fece sì che pure quest'ultima - a partire dal 1948 - non reclamasse più la consegna dei presunti criminali<ref>{{cita|Commissione 2006|pp. 128-136}}</ref>.
 
Nel 1951 l'allora ministro della difesa [[Randolfo Pacciardi]] ricevette il rapporto conclusivo della Commissione d'inchiesta, cui rispose ringraziando i membri per il loro "alto senso di scrupolosa e coscienziosa obiettività"<ref>{{cita|Commissione 2006|p. 132}}</ref>. "L'azione
di salvataggio organizzata dal Ministero degli affari esteri, d’intesa con il Ministero della guerra (poi della Difesa) e con la Presidenza del Consiglio, ebbe pieno successo. Nessuno degli italiani denunciati dagli Stati esteri fu consegnato nelle loro mani. Per di più nessuno di loro fu mai processato e condannato in Italia per i delitti ascritti"<ref>{{cita|Commissione 2006|pp. 135-136}}</ref>.
 
Dei tre principali paesi aderenti all'[[Potenze dell'Asse|Asse]] - Germania, Giappone e Italia - quest'ultima fu quindi l'unica che non subì alcun giudizio per i propri crimini di guerra. La mancanza di una "[[Processo di Norimberga|Norimberga]] italiana" ha contribuito per decenni a dare una visione parziale e distorta della partecipazione italiana alla seconda guerra mondiale<ref>{{cita|Commissione 2006|p. 136}}. Quest'interpretazione oramai è condivisa da tutti gli storici che hanno analizzato la vicenda dei criminali di guerra italiani. A titolo d'esempio si rimanda a {{cita|Focardi 2000}}, {{cita|Battini 2003}}, {{cita|Di Sante 2005}}, {{cita|Conti 2011}}</ref>.
 
==La sorte dei giudici==