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</ref> almeno dalla metà del Trecento aveva quale scopo l'assistenza spirituale ai condannati a morte e la sepoltura dei loro cadaveri in un cimitero attiguo alla chiesa. Il manoscritto, intitolato ''Registro de' giustiziati della Nobilissima Scuola di S. Gio. Decolato detto alle Case Rotte dall'anno MCDLXXI in avanti'' contiene un elenco di {{formatnum:3124}} esecuzioni alle queli i confratelli presero parte con l'opera pia di confortare e seppellire i condannati a morte. Probabilmente copia di un più antico testo andato perduto, il manoscritto è oggi conservato presso la [[Biblioteca Ambrosiana]] e fu oggetto di uno studio apparso nel 1882 nel ''Giornale dell'Archivio Storico Lombardo'' a firma di Matteo Benvenuti. E' in quel registro che fra, le altre, sono descritte le condanne a morte e le esecuzioni dei due untori [[Guglielmo Piazza]] e [[Gian Giacomo Mora]], giustiziati durante la peste del 1630 e riportati alla memoria dal Manzoni nel celebre saggio ''[[Storia della colonna infame]]'' (1840).▼
Quando Milano cadde sotto il dominio spagnolo la pena capitale era già applicata nel Ducato retto da [[Galeazzo Sforza]] mediante impiccagione, decapitazione o messa al rogo; i luoghi ove venivano preparate le forche erano solitamente la piazza Mercanti -nei pressi del Duomo-, la piazza Vetra oppure il luogo dove il crimine era stato commesso. Per i nobili invece il patibolo veniva innalzato al Verziere, sul corso di Porta Tosa, oggi nei pressi di largo Augusto. I cadaveri, come detto, venivano seppelliti nel cimitero della chiesa dagli Scolari di San Giovanni Decollato oppure direttamente sul luogo dove era stato comesso i crimine; il quel caso la sepoltura era data direttamente dal boia. Non di rado, però, capitava che del cadavere del giustiziato rimanesse poca parte da seppellire: soprattutto in epoca spagnola, infatti, la pena non si esauriva con la morte del condannato o con i tormenti ad esso inflitti prima dell'esecuzione: anche il cadavere era "oggetto della pena" e spesso accadeva che la colpa dovesse essere espiata anche dal cadavere stesso. Ne sono esempio le condanne per squartamento, quando accadeva che la testa e i quarti del giustiziato venissero esposti sul luogo del crimine come monito e come simbolo del crimine commesso. In quei casi poteva succedere che quanto rimaneva del giustiziato venisse lasciato per giorni esposto alle intemperie e all'azione degli animali: quanto restava veniva raccolto dagli Scolari e seppellito, con tutte le difficoltà del caso.{{citazione|La pena di morte non era esente da esacerbazioni. In alcuni casi il condannato si trascinava al patibolo, a coda di cavallo. In altri casi lo si poneva sopra un carro ed a determinate località lo si attanagliava al dorso fino a tre volte con ferro rovente. Avveniva ancora, specie ai ladri, che prima dell' appensione o decapitazione, gli si tagliasse una ed anche ambe le mani. Fatti cadavere li si lasciavano esposti fino alla notte , ed alcune fiate li si squartavano, si mandavano i quarti nei luoghi ove eransi commessi i misfatti, e di frequente non rimanevano alla Nobilissima confraternita, che le interiora da seppellire nella fossa comune pei condan- ▼
▲</ref> almeno dalla metà del Trecento aveva quale scopo l'assistenza spirituale ai condannati a morte e la sepoltura dei loro cadaveri in un cimitero attiguo alla chiesa. Il manoscritto, intitolato ''Registro de' giustiziati della Nobilissima Scuola di S. Gio. Decolato detto alle Case Rotte dall'anno MCDLXXI in avanti'' contiene un elenco di {{formatnum:3124}} esecuzioni alle queli i confratelli presero parte con l'opera pia di confortare e seppellire i condannati a morte. Probabilmente copia di un più antico testo andato perduto, il manoscritto è oggi conservato presso la [[Biblioteca Ambrosiana]] e fu oggetto di uno studio apparso nel 1882 nel ''Giornale dell'Archivio Storico Lombardo'' a firma di Matteo Benvenuti. E' in quel registro che fra, le altre, sono descritte le condanne a morte e le esecuzioni dei due untori [[Guglielmo Piazza]] e [[Gian Giacomo Mora]], giustiziati durante la peste del 1630 e riportati alla memoria dal Manzoni nel celebre saggio ''[[Storia della colonna infame]]'' (1840).
nati a S. Giovanni alle Case Rotte.}}▼
La prima condanna a morte riportata nel ''registro'' è del 26 gennaio 1471:
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{{citazione|Le prime note si limitano all'indicazione del nome, nomignolo, età, paternità e giorno dell' esecuzione del condannato. In avanti, particolarmente dopo preso stabile piede la dominazione di Spagna, le rubriche diventano più colme e giungono non di rado, con ispagnolesca tronfia vacuità, a narrare con dettaglio i fatti incriminati e gli incidenti processuali}}
▲Quando Milano cadde sotto il dominio spagnolo la pena capitale era già applicata nel Ducato retto da [[Galeazzo Sforza]] mediante impiccagione, decapitazione o messa al rogo; i luoghi ove venivano preparate le forche erano solitamente la piazza Mercanti -nei pressi del Duomo-, la piazza Vetra oppure il luogo dove il crimine era stato commesso. Per i nobili invece il patibolo veniva innalzato al Verziere, sul corso di Porta Tosa, oggi nei pressi di largo Augusto. I cadaveri, come detto, venivano seppelliti nel cimitero della chiesa dagli Scolari di San Giovanni Decollato oppure direttamente sul luogo dove era stato comesso i crimine; il quel caso la sepoltura era data direttamente dal boia. Non di rado, però, capitava che del cadavere del giustiziato rimanesse poca parte da seppellire: soprattutto in epoca spagnola, infatti, la pena non si esauriva con la morte del condannato o con i tormenti ad esso inflitti prima dell'esecuzione: anche il cadavere era "oggetto della pena" e spesso accadeva che la colpa dovesse essere espiata anche dal cadavere stesso. Ne sono esempio le condanne per squartamento, quando accadeva che la testa e i quarti del giustiziato venissero esposti sul luogo del crimine come monito e come simbolo del crimine commesso. In quei casi poteva succedere che quanto rimaneva del giustiziato venisse lasciato per giorni esposto alle intemperie e all'azione degli animali: quanto restava veniva raccolto dagli Scolari e seppellito, con tutte le difficoltà del caso.{{citazione|La pena di morte non era esente da esacerbazioni. In alcuni casi il condannato si trascinava al patibolo, a coda di cavallo. In altri casi lo si poneva sopra un carro ed a determinate località lo si attanagliava al dorso fino a tre volte con ferro rovente. Avveniva ancora, specie ai ladri, che prima dell' appensione o decapitazione, gli si tagliasse una ed anche ambe le mani. Fatti cadavere li si lasciavano esposti fino alla notte , ed alcune fiate li si squartavano, si mandavano i quarti nei luoghi ove eransi commessi i misfatti, e di frequente non rimanevano alla Nobilissima confraternita, che le interiora da seppellire nella fossa comune pei condan-
▲nati a S. Giovanni alle Case Rotte.}}
Ne è un esempio l'esecuzione di un tal Giorgio Senese nel 1552:
{{citazione|1552. Adi 8 Giugno , Giustizia fatta In la Piazza Castello , fu squartato vivo un Giorgio Senese, la Testa fu messa sopra il Torrione del Castello , et li quarti alle muraglie delle Porte , p. causa di voler dar via il Castello alli Francesi}}
{{citazione|1471 addì 26 Genaro Giustizia fatta a Vigentino, decapitata una Lucia Fontana et sepolta nel detto luogo}}
==Note==
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